Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2966 del 08/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2021, (ud. 14/07/2020, dep. 08/02/2021), n.2966

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28751-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso

la sede della Società (avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO),

rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO CAVUOTO;

– ricorrente –

contro

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 366/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 09/06/2015, R.G.N. 317/2014.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 366/2015 la Corte di appello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado la quale, in accoglimento del ricorso di S.P., accertata la violazione del divieto di intermediazione di manodopera ai sensi della L. n. 1369 del 1960, art. 1 in relazione all’esecuzione di servizi oggetto di appalto tra Poste Italiane s.p.a. ed i soggetti che via via nel tempo si erano succeduti quali formali datori di lavoro del S., ha dichiarato la esistenza tra questi e Poste Italiane s.p.a. di un rapporto di lavoro subordinato svoltosi, di fatto, dal gennaio 1999 all’agosto 2010, il diritto del ricorrente al trattamento economico e normativo previsto dal c.c.n.l. per la categoria D, profilo professionale autista, e l’obbligo della società alla relativa riammissione in servizio;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso successivamente illustrato con memoria depositata ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c.;

3. la società Poste Italiane s.p.a. ha presentato istanza di riunione del presente giudizio con altro (iscritto al n. RG 28329/2017) pendente fra le stesse parti, avente ad oggetto il trattamento retributivo spettante in relazione al medesimo rapporto di lavoro.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. preliminarmente il Collegio osserva che non si ravvisano i presupposti per farsi luogo alla riunione del presente procedimento con quello indicato nella istanza di riunione della società ricorrente; parte istante, infatti, si è limitata ad allegare di avere depositato altro ricorso nei confronti del S., “avente ad oggetto la retribuzione del lavoratore per il medesimo rapporto di lavoro”, senza ulteriori specificazioni; in conseguenza, considerato che non risulta precisato se e quando è stata fissata la udienza (o adunanza camerale) per la trattazione del secondo ricorso, considerato che alla luce di quanto rappresentato dall’istante medesimo emerge prima facie che gli esiti del presente giudizio non possano essere condizionati da quello relativo al ricorso recante il n. RG 28329/2017, non si evidenzia alcuna ragione, ordinamentale o di opportunità, per il differimento ad altra data, non coerente con il principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., del presente giudizio iscritto a ruolo nell’anno 2015 e, quindi, ben due anni prima di quello con il quale si chiede la riunione;

2. con il primo motivo di ricorso la società Poste Italiane deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e dell’art. 2697 c.c.; censura la sentenza impugnata per avere fondato l’accertamento relativa al fatto che il S. era stato, con continuità nel tempo, dipendente dei soggetti che si erano succeduti nel servizio di trasporto della corrispondenza, oggetto dell’appalto conferito dalla società Poste Italiane, sul certificato storico di servizio della Provincia di Pisa e sull’estratto conto previdenziale INPS. Richiama a riguardo le difese articolate con il ricorso in appello in ordine alla valenza probatoria della scheda anagrafica in quanto atto di provenienza del lavoratore medesimo il cui contenuto era stato oggetto di contestazione da parte di essa Poste; si duole, inoltre, del malgoverno della prova orale con riferimento al contenuto delle mansioni espletate dal lavoratore. Deduce, infine, la violazione della regola dell’onere probatorio per avere il giudice di appello, in concreto, onerato la società committente della prova negativa del fatto che il S. non rientrava nel novero dei dipendenti delle società appaltatrici impegnati nell’esecuzione dell’appalto con Poste Italiane; tanto si evinceva dalla valorizzazione della circostanza relativa alla mancata produzione da parte della società delle comunicazioni inviatele dai soggetti appaltatori con l’indicazione nominativa dei propri dipendenti addetti all’appalto medesimo;

3. con il secondo motivo di ricorso deduce nullità della sentenza per omessa pronunzia su uno dei motivi di gravame formulati con il ricorso in appello; con tale motivo aveva sostenuto che alla stregua delle clausole riportate nel contratto di appalto intervenuto fra Poste Italiane s.p.a. e l’impresa C. era da escludere che lo stesso avesse ad oggetto mere prestazioni di lavoro, configurandosi quale contratto di trasporto di effetti postali;

4. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per avere posto a carico di essa Poste l’onere di documentare gli accordi con la s.r.l. Magy Service laddove tale onere, così come la dimostrazione della non genuinità dell’appalto, ricadeva sul prestatore di lavoro; denunzia, inoltre, contraddittorietà di motivazione per avere la Corte di merito affermato la genuinità del servizio di appalto per il periodo fino all’anno 2010, anno in cui era subentrata quale appaltatrice la società Magy Service; critica, infine, che fosse stato ritenuto pacifico lo svolgimento delle mansioni allegate dal lavoratore senza considerare l’ampia contestazione a riguardo articolata dalla società i cui assunti avevano trovato, peraltro, riscontro nella prova orale;

5. con il quarto motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 nonchè nullità della sentenza per omessa pronunzia su uno dei motivi di appello aventi ad oggetto la prescrizione quinquennale della pretesa azionata dal lavoratore; la sentenza impugnata si era, infatti, limitata ad escludere l’applicabilità della prescrizione decennale;

6. con il quinto motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. censurando la sentenza impugnata per non avere considerato che sul lavoratore gravava la prova relativa all’inquadramento contrattuale reclamato – categoria D del c.c.n.l. applicabile – e che, a differenza di quanto affermato dal giudice di appello, lo svolgimento di mansioni corrispondenti a tale livello aveva costituito oggetto di contestazione;

7. il primo motivo di ricorso è infondato;

7.1. il giudice di appello ha disatteso il motivo di gravame della società Poste Italiane, motivo inteso a contestare lo svolgimento costante nel tempo della prestazione del S. in relazione alle diverse imprese succedutesi nell’appalto, evidenziando che dagli atti (certificato storico di servizio ed estratto conto previdenziale INPS) emergeva, da un lato, che dal 1987 al 2010 il S. era stato dipendente con continuità delle imprese e società in oggetto e che, quantomeno dal gennaio 1999 all’agosto 2010, gli appalti dei datori di lavoro con Poste Italiane si erano rinnovati di anno in anno senza soluzione di continuità; quanto alla Magy Service s.r.l. vi era certificazione che attestava che il S. era stato dipendente della detta società dall’anno 2010 all’anno 2011; infine, per il periodo dall’anno 2004 all’anno 2011, la teste Si. aveva riferito con sicurezza che il lavoratore era stato addetto in modo costante ai servizi in appalto presso Poste Italiane. Premesso, inoltre, che l’onere della prova relativo all’adibizione continuativa, nel periodo dedotto, ai servizi oggetto di appalto, gravava indubbiamente sul lavoratore, la Corte di merito ha ritenuto di condividere l’affermazione del giudice di prime cure in ordine al fatto che, in relazione al periodo dal 1999 al 2004, la circostanza che la società Poste non avesse, o comunque avesse omesso di evocare il contenuto delle comunicazioni con l’elenco dei lavoratori addetti all’appalto che, per contratto, le imprese appaltatrici erano tenute ad inviarle, equivaleva alla dimostrazione della costante adibizione del lavoratore ai servizi oggetto di appalto;

7.2. dal percorso argomentativo alla base dell’accertamento della continuità di impiego del S. nell’appalto presso Poste, che sorregge la statuizione di seconde cure, deve escludersi che tale accertamento costituisca frutto della violazione della regola di ripartizione dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c.; al contrario, esso risulta coerente con la enunciazione della sentenza impugnata, conforme a principi consolidati da questa Corte (Cass. n. 670/2004; n. 13388/2000, n. 6860/1998), secondo la quale era indubbio che era il lavoratore ad essere onerato della prova della illecita intermediazione giustificativa della costituzione del rapporto con la società quale effettiva datrice di lavoro nel corso del tempo;

7.3. la ricostruzione fattuale alla base del decisum scaturisce quindi dalla valutazione di un complesso di elementi rivenienti dalla prova orale e documentale, alla stregua dei quali, anche in via presuntiva, è stata ritenuta confermata la costante adibizione del S., nel periodo dal gennaio 1999 all’agosto 2010, ai servizi postali oggetto dell’appalto intervenuto fra Poste Italiane s.p.a. ed i soggetti via via formalmente datori di lavoro dell’originario ricorrente; in tale contesto argomentativo il riferimento alla mancata produzione da parte di Poste Italiane s.p.a. delle comunicazioni relative agli addetti all’appalto inviate dalle imprese appaltatrici, si configura, al di là della improprietà della espressione utilizzata equivale alla dimostrazione…, quale argomentazione aggiuntiva intesa a corroborare attraverso il riferimento alla condotta processuale della società le conclusioni già aliunde attinte in ordine alla costante adibizione del S. all’esecuzione dei servizi oggetto di appalto;

7.4. le ulteriori doglianze articolate con il motivo in esame, intese a denunziare l’errata valutazione del materiale probatorio e, quindi, il vizio di motivazione della decisione, peraltro neppure formalmente dedotto, risultano precluse ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis, non avendo la ricorrente assolto all’onere di dimostrare, attraverso l’indicazione delle ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e di quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, che le stesse erano diverse (Cass. n. 209942019, n. 26774/2016, n. 19001//2016, n. 5528 2014);

7.5. tanto assorbe il rilievo secondo il quale la denunzia che ascrive alla sentenza impugnata la incongrua valutazione delle risultanze istruttorie e la errata convinzione in ordine all’assolvimento da parte del soggetto onerato dell’onus probandi è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente negli angusti limiti del novellato art. 360 c.p.c., n. 5, nello specifico neanche formalmente sollevato;

8. il secondo motivo di ricorso è inammissibile; la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c. prospettata dal ricorrente è, infatti, configurabile solo qualora vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308/2017, n. 7653/2012) laddove, in concreto, la doglianza di parte ricorrente denunzia omessa motivazione su un “punto” investito dall’impugnazione relativo in sintesi, alla interpretazione del contratto di appalto tra Poste Italiane e la ditta C.; tale punto risulta, peraltro, preso in considerazione dal giudice del gravame il quale ha confermato la interpretazione del primo giudice in ordine al fatto che dal testo contrattuale si evinceva che alle imprese esterne erano state affidate singole fasi di complessive procedure dirette da Poste, non qualificabili come un servizio autonomo (v. sentenza, pag. 3, terz’ultimo capoverso);

9. il terzo motivo di ricorso è infondato laddove ascrive alla sentenza impugnata la violazione del criterio di distribuzione dell’onere della prova, questione che può porsi solo nelle fattispecie in cui il giudice del merito, in applicazione della regola di giudizio basata sull’onere della prova, abbia individuato erroneamente la parte onerata della prova;

9.1. nel caso di specie la decisione, infatti, non è frutto dell’applicazione del criterio di cui all’art. 2697 c.c. ma scaturisce dal concreto accertamento, argomentato con puntuale riferimento alle risultanze di causa, della esistenza di un’intermediazione vietata; a tale conclusione il giudice di appello è pervenuto sia in considerazione del fatto che l’oggetto dei vari contratti di appalto concerneva singole fasi delle procedure aziendali e non era finalizzato alla realizzazione di un risultato produttivo autonomo, sia in considerazione del fatto, che la utilizzazione del S. era proseguita pur dopo la fine dei contratti di appalto con le imprese C. ed in assenza di formale contratto con Magy Service, sia in considerazione del fatto, non oggetto di puntuale contestazione, che la prestazione aveva avuto ad oggetto anche attività ulteriori rispetto a quelle riconducibili al contratto di appalto;

9.2. alla luce dell’accertamento operato il riferimento della Corte di merito alla mancata produzione da parte della società Poste degli accordi con la Magy Service, si qualifica non come frutto di errata individuazione del soggetto onerato della dimostrazione della illecita intermediazione ma come evidenziazione che la società Poste, a fronte della prova che gli incarichi alle imprese esterne erano proseguiti fino all’anno 2011, non aveva offerto elementi, con riguardo al rapporto intercorso con la Magy Service, che giustificassero l’assunto difensivo della società relativo alla genuinità di tale appalto;

9.3. la doglianza con la quale si deduce l’omesso rilievo del carattere non pacifico delle circostanze oggetto di allegazione attorea, relative allo svolgimento da parte del lavoratore di attività ulteriori a quelle oggetto dei contratti di appalto, non è articolata con modalità idonee alla valida censura della decisione mancando la completa trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, così come prescritto (Cass. n. 20637/2016; in tema di autosufficienza del ricorso per cassazione laddove si denunzi l’omesso rilievo della pacificità di alcune circostanze v. Cass. n. 24062/2017); nel caso in esame il giudice di appello ha ritenuto non specificamente contestate le circostanze in oggetto richiamando espressamente i relativi capitoli come numericamente identificati nel ricorso di primo grado (v. sentenza, pag. 3, 4 capoverso); la trascrizione di tali capitoli, omessa dalla odierna ricorrente, costituiva, pertanto, adempimento indispensabile al fine di consentire il concreto apprezzamento delle difese formulate in prime cure dalla società (quali richiamate nel ricorso per cassazione) sotto il profilo della idoneità delle stesse ad integrare una puntuale contestazione delle allegazioni attoree;

9.4. le ulteriori deduzioni intese a censurare la valutazione della prova orale e documentale risultano inammissibili in quanto veicolabili solo attraverso il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in concreto precluso, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., per la esistenza di “doppia conforme” (per cui v. parag. 7.4);

10. il quarto motivo di ricorso è inammissibile per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione; a differenza di quanto assume la odierna ricorrente, infatti, la Corte di merito ha preso in considerazione entrambe le eccezioni di prescrizione, decennale e quinquennale (v. sentenza, pag. 4, 3 capoverso) e le ha ritenuto non accoglibili in base al principio, conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale il termine di prescrizione non decorre nel corso del rapporto di lavoro laddove sulla base delle concrete modalità (anche soggettive) di svolgimento detto rapporto risulti non assistito da stabilità reale (v. in particolare con riguardo alla illecita interposizione Cass. n. 22847/2019, in motivazione, n. 12553/2014, n. 4942/2012, n. 3031/1989);

10.1. parte ricorrente non si confronta con tale specifica ratio decidendi ma affida le critiche alla decisione sul punto ad una ricostruzione fattuale della vicenda in esame diversa da quella alla base della sentenza di appello, così finendo con il sollecitare un sindacato di merito in radice precluso al giudice di legittimità secondo quanto evidenziato nel paragrafo 6.4. e nel paragrafo 9.4.;

11. il quinto motivo è inammissibile;

11.1. la sentenza impugnata ha dichiarato di condividere la valutazione di prime cure che aveva ritenuto non contestata in modo puntuale la corrispondenza fra il ruolo svolto dal S. e la declaratoria del livello D del c.c.n.l. di Poste, allegata dal ricorrente come corrispondente alle mansioni espletate nell’ambito dell’appalto; tanto premesso la denunzia di violazione della regola di distribuzione dell’onere probatorio risulta inconfigurabile in quanto l’accertamento delle circostanze alla base del decisum è frutto dell’applicazione del principio di non contestazione il quale ha effetti vincolanti sul giudice che deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e, perciò, ritenerlo sussistente (Cass. n. 15658/2013, n. 5356/2009); la critica alla valutazione del giudice di merito relativa alla idoneità della difesa di Poste ad integrare contestazione dell’espletamento di mansioni inquadrabili nel livello reclamato dall’originario ricorrente è inammissibile rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, che costituisce funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. n. 27490/2019, n. 3680/2019), neppure formalmente prospettato dall’odierna ricorrente;

11.2. tanto rende ultroneo il rilievo connesso alla mancata trascrizione delle allegazioni sul punto formulate nel ricorso introduttivo, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6;

12. al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite;

13. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (Cass. Sez. Un. 20/09/2019, n. 23535).

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00ter compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2021

 

 

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