Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29658 del 12/12/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 29658 Anno 2017
Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: DELL’UTRI MARCO

ORDINANZA

sul ricorso 1229-2015 proposto da:
SOC CONSORTILE ARL CENTRO COMMERCIALE CDN

in persona

del suo legale rappresentante p.t. sig. LUIGI
PASSARIELLO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
AMBRA ARADAM,34, presso lo studio dell’avvocato
CRISTIANO COLONNELLI, rappresentata e difesa dagli
avvocati GABRIELE IERVESE, DARIO IERVESE giusta
procura in calce al ricorso;
– ricorrente –

2017
contro

1892

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE , in
persona del Dott. ADRIANO MORRONE, Direttore Ufficio
di

Segreteria

della

Presidenza,

elettivamente

Data pubblicazione: 12/12/2017

domiciliata in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo
studio dell’avvocato GIUSEPPE CIPRIANI, che la
rappresenta

e

difende giusta procura a margine del

controricorso;
– controricorrente

di NAPOLI, depositata il 30/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 05/10/2017 dal Consigliere Dott. MARCO
DELL’UTRI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero,
in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
CORRADO MISTRI che ha concluso chiedendo la
declaratoria di parziale inammissibilità e comunque il
rigetto del ricorso proposto dalla società consortile
a r.l. Centro Commerciale CDN;

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avverso la sentenza n. 3494/2014 della CORTE D’APPELLO

Rilevato che, con sentenza resa in data 30/7/2014, la Corte
d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello proposto dall’Inps e in
riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda originariamente proposta dall’Inpdap (di seguito Inps, quale successore ex
lege), in proprio e quale procuratore speciale della Scip (società di

per inadempimento della Società Consortile a r.l. Centro Commerciale
CDN (già Società Consortile a r.l. Centro Commerciale Centro Direzionale di Napoli) di un contratto di locazione commerciale intercorso
tra le parti, avendo la società consortile omesso il pagamento dei canoni dovuti, con la conseguente condanna della stessa al rilascio
dell’immobile locato e al pagamento degli importi non corrisposti;
che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale – rilevata la sussistenza di una valida procura ad litem a sostegno del ricorso originariamente proposto dall’Inpdap (in dissenso rispetto alla
contrario decisione sul punto adottata dal primo giudice), e dichiarati
estinti i rapporti processuali tra l’Inpdap, la Scip e la società convenuta (tenuto conto che nel corso del giudizio i beni oggetto della locazione non erano stati alienati ed erano tornati in proprietà
dell’Inpdap) – ha accertato il mancato pagamento, da parte della società consortile conduttrice, dei canoni dalla stessa dovuti in relazione
ai periodi specificati in motivazione, conseguentemente pronunciando
la risoluzione del contratto di locazione intercorso tra le parti per inadempimento della società conduttrice, oltre alla condanna della stessa
al rilascio dell’immobile locato e al pagamento di quanto dovuto;
che, avverso la sentenza d’appello, la Società Consortile a r.l.
Centro Commerciale CDN propone ricorso per cassazione sulla base di
cinque motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria integrata dal deposito di documenti;
che l’Inps resiste con controricorso;

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cartolarizzazione degli immobili pubblici) s.r.I., diretta alla risoluzione

che il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha depositato le proprie conclusioni per iscritto, invocando la declaratoria
della parziale inammissibilità e, in ogni caso, il rigetto del ricorso;
considerato che, con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 324 e 100

c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di rilevare l’intervenuta
formazione del giudicato sulla domanda originariamente proposta
dall’Inpdap, non avendo nessuna delle parti contestato l’affermazione
resa dal giudice di primo grado circa l’intervenuta cessazione del rapporto processuale tra Inpdap, Scip e società convenuta, con la conseguente estinzione del relativo rapporto processuale;
che, in particolare, avendo il giudice di primo grado ritenuto, mediante tale statuizione, che fosse cessata la materia del contendere,
comunque dichiarando l’estinzione del processo senza decidere la
causa nel merito, la mancata impugnazione di tale punto della decisione avrebbe precluso l’esame nel merito della domanda dell’Inpdap,
avendo la corte territoriale aperto la fase rescissoria del giudizio
d’appello senza preliminarmente riformare la decisione del primo giudice circa l’estinzione del processo (non impugnata con l’appello);
che il motivo è infondato;
che, infatti, la pronuncia di estinzione emessa dal primo giudice
risulta espressamente correlata alla circostanza secondo cui «nel corso del giudizio i beni oggetto della locazione non erano stati alienati
ed erano tornati in proprietà dell’Inpdap» (cfr. pagg. 2 3 della sen-

tenza d’appello);
che, pertanto, l’ambito della ridetta pronuncia di estinzione deve
ritenersi limitato al solo rilievo della sopravvenuta estraneità della
Scip s.r.l. alla materia del contendere;
che, a conferma di tale interpretazione della sentenza di primo
grado (e dunque della limitazione della rilevata estinzione al solo rap-

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c.p.c., e dell’art. 2909 c.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5

porto processuale coinvolgente la Scip s.r.I.), vale evidenziare la circostanza che il primo giudice abbia deciso la controversia (non già limitandosi a rilevare l’estinzione del processo, bensì) accogliendo
l’eccezione pregiudiziale di rito (relativa al difetto di procura
dell’Inpdap) sollevata dalla società conduttrice;

tale punto della decisione da parte dell’Inps (quale successore ex lege
dell’Inpdap), del tutto correttamente la corte d’appello, riformando la
sentenza di primo grado in relazione alla validità della procura ad litem, ha proceduto all’esame nel merito della controversia;
che, con il secondo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 39, co. 1, e 382, co. 3,
c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.), per avere la corte
territoriale erroneamente omesso di rilevare la previa pendenza tra le
parti di un diverso giudizio per la risoluzione del contratto di locazione
in esame (con le connesse richieste restitutorie e risarcitorie), con la
conseguente erronea mancata dichiarazione dell’improcedibilità del
giudizio;
che, con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 342 e 163 c.p.c., nonché per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.), per
avere la corte territoriale omesso di rilevare la nullità della sentenza
impugnata per avere la controparte introdotto la fase d’appello con ricorso e non con citazione (con la conseguente tardività
dell’impugnazione proposta), nonché per aver omesso di esaminare
l’appello incidentale proposto dalla società odierna ricorrente, le relative eccezioni preliminari e pregiudiziali e le difese di merito dalla
stessa prospettate;
che entrambi i motivi sono inammissibili;
che, al riguardo, osserva il collegio come, sulla base del principio
di autosufficienza del ricorso per cassazione (valido oltre che per il vi-

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che, conseguentemente, a seguito della rituale impugnazione di

zio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5 anche per quelli previsti dai
nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali
quelle processuali, non può limitarsi a specificare soltanto la singola
norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli

detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv.
588498);
che siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi
che una data circostanza debba reputarsi sottratta al thema decidendum, perché non contestata (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 17253 del
23/07/2009, Rv. 609289), con la conseguenza che, in tale ipotesi, il
ricorrente medesimo è tenuto a indicare nel ricorso elementi idonei
ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la completezza dell’atto introduttivo della controversia e la mancata contestazione del contenuto di tale atto, non potendo limitarsi al generico richiamo della
mancata contestazione o alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali della controparte;
che è appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa
Corte (cfr, per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le
quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366, n. 6,
c.p.c., è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum,
attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli
atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non
può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la
formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del
31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specifi-

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elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di

cato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4
(cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con

nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua
allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto
fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del
25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011,
Rv. 619317);
che nella violazione di tali principi deve ritenersi incorsa la società
ricorrente con i motivi d’impugnazione in esame, atteso che la stessa,
nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente: 1) omesso di
rilevare la previa pendenza tra le parti di un diverso giudizio per la risoluzione del contratto di locazione in esame; 2) omesso di rilevare
tardività dell’appello proposto; 3) omesso di esaminare l’appello incidentale proposto dalla società odierna ricorrente, le relative eccezioni
preliminari e pregiudiziali e le difese di merito dalla stessa prospettate, ha tuttavia omesso di fornire alcuna indicazione circa i documenti
(e il relativo contenuto) attestanti l’effettività delle omissioni in cui la
corte territoriale sarebbe incorsa, con ciò precludendo a questa Corte
la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al
fine di giudicare la fondatezza dei motivi d’impugnazione proposti;
che, in particolare, la natura di ‘durata’ e ‘ad esecuzione periodica’ del rapporto oggetto d’esame impedisce di conferire rilievo, in relazione alla contestata violazione dell’art. 39 c.p.c., all’astratta pendenza di altro giudizio, tra le stesse parti e in relazione al medesimo
rapporto, avente ad oggetto una domanda di risoluzione per inadem-

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l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto

pimento, là dove non sia chiarita (e opportunamente documentata)
l’identità delle singole obbligazioni (necessariamente diverse nel tempo) cui le contestazioni sono riferite nei diversi giudizi pendenti;
che, allo stesso modo, le contestazioni riferite alla tardività
dell’appello, così come all’insufficienza dell’esame condotto dal giudi-

dell’odierna società ricorrente, non possono prescindere dalla necessaria e puntuale allegazione documentale attraverso la quale la Corte
di cassazione è posta in condizione di operare un compiuto e consapevole controllo sulla fondatezza dell’impugnazione proposta;
che, con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 83, 125, 182, 183, 156, 159, 190,
163, co. 3 n. 6, c.p.c. (in relazione all’artt. 360 nn 3 e 4 c.p.c.), per
avere la corte territoriale omesso di rilevare come l’Inpdap non avesse originariamente agito in giudizio solo in proprio, ma anche per delega della Scip s.r.I., senza che quest’ultima avesse provveduto a
conferire alcuna procura alle liti, tenuto peraltro conto
dell’impossibilità della nomina di un unico procuratore per l’Inpdap e
per la Scip attesa la sussistenza di un conflitto di interessi tra le parti
in ordine alla definizione della controversia;
che il motivo è inammissibile;
che, infatti, la censura così come proposta dalla società ricorrente
risulta diretta a colpire l’eventuale difetto di costituzione della Scip
s.r.l. per difetto di valida procura ad litem;
che, ciò posto, l’intervenuta dichiarazione, da parte del giudice di
primo grado, dell’estinzione del rapporto processuale coinvolgente la
Scip s.r.I., vale a escludere la persistente rilevanza delle questioni
processuali (e il conseguente interesse delle parti rimaste in giudizio
a controvertirne) che attengono a un soggetto ormai estraneo al giudizio;

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ce a quo sulle domande, le eccezioni o le difese in generale

che tale premessa induce altresì a ritenere superata la stessa affermazione circa la (supposta ma non suffragata) sussistenza di un
preteso conflitto di interessi tra Inps e Scip s.r.I., tale da escludere la
legittimità di un unico comune difensore;
che, con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impu-

co. 1, c.p.c., 382, co. 3, c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn 3, 4 e 5
c.p.c.), nonché per violazione del principio del ne bis in idem ex art.
39 c.p.c., per avere la corte territoriale trascurato di rilevare la persistente pendenza di altra causa avente per oggetto la risoluzione del
contratto di locazione intercorso tra le parti, con la conseguente
omessa dichiarazione di improponibilità o inammissibilità dell’appello;
che, peraltro, i giudici d’appello avrebbero pronunciato la propria
sentenza in contrasto con l’intervenuto giudicato di merito che ha
escluso l’inadempimento per morosità della conduttrice, rigettando la
domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di locazione,
nonché in contrasto con la circostanza costituita dall’intervenuto acquisto della proprietà dell’immobile da parte della società conduttrice
a seguito dell’adesione alla proposta contrattuale alla stessa notificata
dall’istituto proprietario, con la conseguente intervenuta cessazione
dell’obbligo di corresponsione dei canoni di locazione;
che, da ultimo, la corte territoriale avrebbe errato nel non consentire – prima della pronuncia della risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice – la sanatoria della morosità maturata,
in applicazione degli artt. 5 e 55 della legge n. 392/78, la cui disciplina era stata dalle parti convenzionalmente estesa al rapporto in esame;
che il motivo è inammissibile;
che le contestazioni concernenti il preteso omesso rilievo, da parte del giudice d’appello, della persistente pendenza di altra causa
avente per oggetto la risoluzione del contratto di locazione intercorso

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gnata per violazione degli artt. 324 c.p.c., 1453 c.c., 2932 c.c., 39,

tra le parti – così come il denunciato contrasto della decisione
d’appello con l’intervenuto giudicato di merito che avrebbe escluso
l’inadempimento per morosità della conduttrice, nonché con la circostanza costituita dall’intervenuto acquisto della proprietà
dell’immobile da parte della società conduttrice – devono ritenersi

alla decisione sul secondo e il terzo motivo di ricorso) di autosufficienza di cui all’art. 366, n. 6, c.p.c. (cui integralmente si rimanda),
quanto in contrasto con l’evidenza costituita dall’espressa decisione
sul punto adottata dal giudice a quo;
che, peraltro, la stessa sentenza n. 20633/2016 emessa da questa Corte di cassazione tra le parti di questo giudizio (e prodotta dalla
società ricorrente con la memoria difensiva ex art. 380-bis.1 c.p.c.)
risulta espressamente riferita alla definizione della domanda di risoluzione per inadempimento concernente la contestazione del mancato
pagamento dei canoni di locazione per i periodi anteriori al gennaio
2000 (cfr. pag. 9 della sentenza n. 20633/2016 citata), là dove
l’odierna controversia ha riguardo all’inadempimento concernente il
mancato pagamento dei canoni dal settembre 2002 fino al gennaio
2005 (cfr. pag. 5 della sentenza d’appello impugnata in questa sede),
con la conseguente totale autonomia dei due giudizi e l’irrilevanza
della definizione del primo giudizio su quello oggetto dell’odierno
esame;
che, in ordine al rilievo del preteso acquisto della proprietà
dell’immobile locato da parte della società odierna ricorrente, osserva
il Collegio come la corte territoriale abbia espressamente sottolineato
come, pur quando fosse stata accolta la domanda di esecuzione in
forma specifica proposta dalla società conduttrice ex art. 2932 c.c. ai
fini dell’acquisto dell’immobile condotto in locazione, tale vicenda non
avrebbe in ogni caso escluso – attesa la natura costitutiva della sentenza che dispone il trasferimento coattivo – la permanenza, prima

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sollevate, tanto in violazione del principio (già ricordato in relazione

della rilevata definitività di detta sentenza, dell’obbligo del conduttore
di corrispondere in ogni caso il canone di locazione al locatore;
che, in ogni caso, detta domanda di esecuzione in forma specifica
risulta esser stata rigettata in primo grado con sentenza del Tribunale
di Napoli n. 10649/11 (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), senza

zione documentale idonea ad attestare l’eventuale definitivo accoglimento di quella domanda, in contrasto con la decisione negativa del
primo giudice;
che, peraltro, le dedotta questione relativa alla pretesa conclusione tra le parti di un contratto di vendita immediatamente traslativo
della proprietà dei cespiti locati, nonché quella relativa all’invocata
volontà della società conduttrice di esercitare la facoltà di integrale
sanatoria della morosità contestata (cfr. pagg. 30 ss. del ricorso), in
difetto di alcuna idonea corrispondente allegazione documentale da
parte della società odierna ricorrente (nel rispetto del più volte richiamato art. 366, n 6, c.p.c.), devono ritenersi proposte per la prima
volta in questa sede e come tali inammissibili;
che, sulla base delle considerazioni sin qui richiamate, rilevata la
complessiva infondatezza dei motivi d’impugnazione, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della società ricorrente al rimborso, in favore dell’Istituto controricorrente, delle
spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di
cui al dispositivo;

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore
del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
complessivi euro 8.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del
15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per
legge.

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che l’odierna società ricorrente abbia fornito alcuna contraria indica-

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso
articolo 13.

Civile della Corte Suprema di Cassazione del 5/10/2017.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione

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