Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29655 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. II, 16/11/2018, (ud. 23/05/2018, dep. 16/11/2018), n.29655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26616/2014 proposto da:

AUTOFFICINA O.Q. s.n.c., di O.F. e C., in persona del

suo rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato

GIOVANNI PORCELLI ed elettivamente domiciliata presso il suo studio

in ROMA, VIA MALCESINE 30;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO di (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli Avvocati PIETRO

LUCA e ARTURO IANELLI ed elettivamente domiciliato presso lo studio

di quest’ultimo in ROMA, VIA FAA’ DI BRUNO 52;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1132/14 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 5/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/05/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 24.7.2001 l’assemblea del CONDOMINIO (OMISSIS) deliberava la rimozione del piccolo manufatto in lamiera che O.Q. aveva costruito nel 1972 sul suolo condominiale, adibendolo a ricovero di attrezzi dell’Autofficina.

Avverso detta delibera la AUTOFFICINA O.Q. S.N.C. DI O.F. E C. proponeva opposizione innanzi al Tribunale di Bologna, chiedendo che venisse accertato l’acquisto a titolo originario del predetto suolo per usucapione, quale conseguenza del possesso uti dominus scaturito dalla costruzione del manufatto, senza il consenso delle originarie proprietarie dello stabile, G.A. e G., possesso proseguito per oltre venti anni, senza opposizione dei successivi proprietari.

Si costituiva in giudizio il Condominio suddetto, il quale eccepiva l’impossibilità di far decorrere il termine per l’usucapione del suolo condominiale dal momento della costruzione del manufatto, in quanto l’immobile d’impresa e le annesse parti condominiali pro quota erano a quel tempo condotti in locazione, e lo furono fino al 27.1.1983, data di acquisto degli stessi da parte dell’Autofficina. Del resto, dal rogito notarile del 27.1.1983 risultava che l’Autofficina avesse riconosciuto che prima di tale data la proprietà e comproprietà dell’area fossero di spettanza della venditrice.

Con la sentenza n. 542/2007, depositata il 15.3.2007, il Tribunale di Bologna rigettava la domanda dell’Autofficina, ritenendo che questa non avesse provato di aver usucapito la proprietà della porzione di area comune: avendo acquistato il fabbricato artigianale solo in data 27.1.1983, il possesso della baracca e della relativa area comune si era protratto solo dal 1983 al 2001, per un periodo insufficiente ai sensi dell’art. 1158 c.c..

Avverso detta sentenza proponeva appello l’Autofficina chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, l’accertamento e la dichiarazione, per intervenuta usucapione, dell’acquisto della proprietà del terreno su cui insisteva il piccolo manufatto in lamiera costruito dalla stessa. Si costituiva in giudizio il Condominio chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 1132/2014, depositata il 5.5.2014, la Corte d’Appello di Bologna rigettava l’appello, confermando la sentenza di primo grado e condannando l’appellante alle spese del grado.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Autofficina sulla base di quattro motivi, illustrati da note; resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1102,1140,1141,1158,1164 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello di Bologna ritenuto che ci sia stata soluzione di continuità nel possesso uti dominus in seguito al cambio di titolo giuridico in capo al possessore”. La Corte di merito avrebbe interpretato in modo errato le norme di diritto richiamate, ritenendo che il mutamento del titolo di godimento della superficie condominiale da parte dell’Autofficina, da locazione a successiva comproprietà, comportasse la necessità di far decorrere il possesso utile per l’usucapione solo data di stipula del rogito di acquisto del 27.1.1983. Secondo la ricorrente, invece, l’acquisto della comproprietà del suolo condominiale non avrebbe comportato la necessità di modificare il modo e i tempi di utilizzo del manufatto in lamiera, che è stato adoperato dall’Autofficina in modo esclusivo, così da escludere che altri potesse rivendicare una qualche forma di potere su di esso.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Va premesso, in termini generali, che per la configurabilità del possesso ad usucapionem, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno ius in re aliena (ex plurimis Cass. 9 agosto 2001 n. 11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto. E che non è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Cass. n. 7332 del 2013; Cass. n. 16878 del 2013).

1.3. – La Corte di merito osserva che “bene ha fatto il Tribunale a far decorrere il termine prescrizionale dall’acquisto in data 27/1/1983. Infatti, l’acquisto è la dimostrazione che in precedenza non vi era possesso ma detenzione, e in effetti quell’acquisto da parte di O.Q. e Ga.Fa. riguardò anche la comproprietà proprio di quell’area su parte della quale sorge il fabbricato e in ragione del quale si chiede l’acquisto per usucapione. Se di possesso si fosse trattato non si vede perchè O.Q. e Ga.Fa. non abbiano preteso di escludere la porzione di area in questione dall’atto di compravendita” (sentenza impugnata, pag. 3).

Per la Corte territoriale, dunque (secondo un congruo apprezzamento di merito non contestabile in questa sede), la ricorrente conosceva il titolo per il quale esercitava il godimento, cioè il contratto di locazione stipulato con la proprietà dell’immobile, rapporto che, di per sè stesso, esclude, quanto meno, ogni elemento psicologico che possa far ritenere un’attività corrispondente al diritto di proprietà.

1.4. – Costituisce principio consolidato che la detenzione non può trasformarsi in possesso finchè il titolo non muti. La ricorrente ha cominciato ad avere la detenzione per locazione, e non il possesso, dell’area in questione, per cui la Corte di merito ha correttamente applicato l’art. 1141 c.c., u.c., a norma del quale se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione non può acquistare il possesso finchè il titolo non venga ad essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore; principio questo che appunto esclude la rilevanza giuridica delle attività che, anche ove volessero ritenersi indicative di un animus rem sibi habendi, non potrebbero comunque modificare in possesso l’originario rapporto con la cosa (Cass. n. 26610/2008).

D’altronde, l’interversione nel possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente animus detinendi dell’animus rem sibi habendi; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua (Cass. n. 2392 del 2009; conf. Cass. n. 6237 del 2010; Cass. n. 26327 del 2016).

1.5. – Pertanto, la Corte d’Appello ha correttamente confermato la decisione del Tribunale, che aveva fatto decorrere il termine prescrizionale dall’acquisto in data 27.1.1983. Con il suddetto rogito l’Autofficina ha acquistato, dalle legittime proprietarie dell’epoca, non anche la proprietà esclusiva della parte di area su cui insiste il manufatto in lamiera, ma la comproprietà delle parti comuni del fabbricato, riconoscendo l’esistenza del diritto di comproprietà dell’area come spettante ad altri comproprietari.

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 832,1102,1140,1141,1158 e 1164 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello di Bologna ritenuto che il riconoscimento dell’altrui proprietà della cosa comporti automaticamente il riconoscimento dell’altrui possesso”. Osserva la ricorrente che tale interpretazione della Corte di merito non può essere condivisa poichè il possesso, essendo una situazione di fatto derivante dall’esercizio del potere sulla cosa, non può essere modificato, interrotto o impedito dal riconoscimento dell’altrui diritto di proprietà, per le ragioni già svolte nel primo motivo.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – La ricorrente attribuisce alla Corte d’appello una affermazione di contenuto diverso da quanto motivato. Infatti, nella sentenza (pag. 3), la Corte osserva che l’acquisto del 27.1.1983 è la dimostrazione che in precedenza non vi fosse possesso in capo alla ricorrente ma mera detenzione. La Corte, quindi, ha esattamente escluso il possesso uti dominus, fino a tale data, proprio in assenza dei presupposti di una situazione qualificabile come possessoria in capo alla locataria.

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1158,1164 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello di Bologna ritenuto che, al momento del mutamento del titolo giuridico, il possessore in usucapione avrebbe dovuto escludere dall’acquisto la porzione di suolo oggetto del suo potere di fatto sulla cosa”. Anche tale interpretazione non sarebbe condivisibile, in quanto il già conseguito potere utenti domino su un bene non esclude l’interesse del possessore ad acquistarne la proprietà pro quota, non fosse altro per ottenere il beneficio di ridurre l’ambito di rivendica nei confronti degli altri.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – Come per il precedente motivo, va rilevato che, del tutto correttamente, la Corte di merito ha affermato che il comportamento tenuto dall’odierna ricorrente al momento della stipulazione del contratto di acquisto, comprendente anche la comproprietà dell’area in questione, fosse in netto contrastocon la tesi dell’asserita esistenza sul bene di un “possesso uti dominus”. Appare, quindi, pienamente giustificata la considerazione esposta dalla Corte d’appello, secondo la quale la ricorrente avrebbe dovuto pretendere l’esclusione dall’atto di acquisto del 27.1.1983 della porzione di area comune su cui già sorgeva il manufatto in lamiera. La non esclusione di tale area dall’oggetto del contratto di compravendita costituisce dunque ulteriore elemento negativo in ordine alla pretesa esistenza in capo alla ricorrente dell’animus circa il possesso uti dominus.

4. – Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta l'”Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’Appello di Bologna trascurato l’esistenza del fabbricato in lamiera sin dal 1972″, e che il possesso uti dominus del suolo condominiale (in ragione delle caratteristiche strutturali del manufatto) fosse iniziato da quel momento. Tale fatto storico risulta dagli atti processuali, in particolare, dalle risultanze istruttorie; è stato oggetto di discussione processuale tra le parti, che hanno dibattuto sull’idoneità del manufatto a essere considerato “edificio” e/o “fabbricato” (comparse conclusionali delle parti in appello); ed è decisivo, in quanto è chiaro che la valutazione del fatto storico costruzione del manufatto-inizio del possesso avrebbe dovuto condurre il Giudice di merito ad accogliere la domanda dell’odierna ricorrente.

4.1. – Il motivo non è fondato.

4.2. – Anche sotto tale profilo, la ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata, che si fonda sulla negata configurabilità di una situazione possessoria in capo alla ricorrente, prima della compravendita del 1983 e quindi anche dopo la realizzazione del manufatto nel 1972 (di cui, peraltro, viene fatto esplicito riferimento a pag. 2 della sentenza). Tale edificazione, evidentemente, non muta l’affermazione del giudicante circa la insussistenza di una situazione possessoria in capo alla ricorrente, e pertanto non risulta in sè decisiva, onde diversamente definire il periodo temporale antecedente al rogito del 27.1.1983, ritenuto non valido agli effetti della pretesa usucapione, in assenza di comprovato animus possidendi.

D’altronde, come già detto, non è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Cass. n. 7332 del 2013; Cass. n. 16878 del 2013).

5. – Il ricorso va, dunque, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla refusione delle spese di lite al controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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