Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29654 del 12/12/2017


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 29654 Anno 2017
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: ROSSI RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 7909-2016 proposto da:
TALVACCHIA VINCENZO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DI PORTONACCIO, 200, presso lo studio
dell’avvocato DANIELE MARIOTTI, rappresentato e difeso
dall’avvocato PIERO SANTIN giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente –

2017

contro

1788

EQUITALIA

NORD

SPA

persona

in

del

legale

rappresentante pro tempore e per esso Avv. LISETTA
CUBEDDU nella sua qualità di responsabile del

1

Data pubblicazione: 12/12/2017

Contenzioso

Veneto,

Esattoriale

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, rappresentata e
difesa dall’avvocato GIANFRANCO IVANCICH giusta
procura speciale a margine del controricorso;

avverso la sentenza n. 2302/2015 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 05/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/09/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
ROSSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato DANIELE MARIOTTI per delega;
udito l’Avvocato CESIRA TERESINA SCANU per delega
orale;

2

– controricorrente

FATTI DI CAUSA
Vincenzo Talvacchia e Rita Longo, coniugi in regime di comunione
legale, proposero opposizione avverso l’espropriazione immobiliare
intrapresa nelle forme della procedura di riscossione mediante ruolo
(con la notifica di avviso di vendita ex art. 79 del d.P.R. 29 settembre
1973, n. 602) dalla Ge.Ri.Co. S.p.A. (concessionario) per la

Talvacchia, deducendo la impignorabilità del bene immobile pignorato
(di proprietà comune) poiché costituito in fondo patrimoniale in epoca
anteriore alla formazione del ruolo.
Il rigetto della opposizione, pronunciato dalla Corte di Appello di
Venezia a conferma della decisione di primo grado, venne cassato da
questa Corte (con la sentenza del 07 luglio 2009, n. 15862), con
l’affermazione del seguente principio di diritto: «Il criterio
identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in
via esecutiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale va ricercato non
già nella natura delle obbligazioni (legale o contrattuale), ma nella
relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della
famiglia, essendo irrilevante l’anteriorità o posteriorità del credito
rispetto alla costituzione del fondo».
La sentenza resa dalla Corte di Appello di Venezia a seguito del
rinvio così disposto venne poi dichiarata nulla da questa Corte (con
ordinanza del 12 novembre 2014, n. 24042) per vizio di composizione
del giudice ex art. 158 cod. proc. civ., in quanto pronunciata, in
violazione del principio dell’alterità del giudice del rinvio, da un
collegio composto anche da un magistrato che aveva pronunciato il
provvedimento in precedenza cassato.
Riassunta la controversia, la Corte di Appello di Venezia – con la
sentenza del 5 ottobre 2015, n. 2302 – disattendeva l’opposizione.
Ricorrono per cassazione Vincenzo Talvacchia e Rita Longo„
affidandosi a due motivi illustrati da memoria; resiste, con

R.G. 7909.2016

3

igliere Est.
ii C
Dott. Rekej,é Rossi

soddisfazione di un credito di natura tributaria nei riguardi del

controricorso, la Equitalia Nord S.p.A., succeduta nelle more del
giudizio, per effetto di plurime vicende successorie, all’originario
contraddittore Ge.Ri.Co. S.p.A..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art.
170 cod. civ. e dell’art. 53 Cost., parte ricorrente assume che i beni

rispondono soltanto per le obbligazioni assunte per la soddisfazione
delle esigenze familiari, dalle quali sono «istituzionalmente» estranei i
debiti di natura fiscale, per essere i tributi per loro funzione finalizzati
al soddisfacimento delle spese e dei bisogni pubblici.
Il motivo è infondato.
Ai fini dell’esame della censura, occorre muovere dai principi di
diritti affermati da questa Corte nella sentenza n. 15862/2009 di
cassazione della prima pronuncia di appello: «il criterio identificativo
dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva
sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle
obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di
esse e i bisogni della famiglia, di talché risulta senz’altro erronea la
sentenza impugnata ove ha ritenuto di eludere il divieto di esecuzione
sui beni del fondo di cui all’art. 170 cod. civ., sulla base della natura
legale e non contrattuale dell’obbligazione tributaria azionata in via
esecutiva. Facendo, dunque, corretta applicazione dei principi, va
accertato, in punto di fatto, se il debito de quo possa dirsi contratto o
meno per soddisfare i bisogni della famiglia, considerato che, se è
vero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che tale finalità non
può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto
nell’esercizio dell’impresa, è evidente tuttavia che la richiamata
circostanza non è, a contrario, nemmeno idonea ad escludere in via di
principio che il debito possa dirsi contratto per soddisfare detti
bisogni. L’accertamento relativo alla riconducibilità dei debiti alle

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4

Il Ci4 jjt e Est.
Dotti affaele Rossi

costituti in fondo patrimoniale, integranti un patrimonio separato,

esigenze della famiglia costituisce un accertamento istituzionale
rimesso al giudice di merito. Quanto ai criteri cui tale accertamento
deve conformarsi, la giurisprudenza in prevalenza accoglie un
parametro negativo, affermando che sono ricom presi nei detti bisogni
anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico
sviluppo della famiglia nonché al potenziamento della sua capacità

caratterizzate da interessi meramente speculativi. A tali principi si
atterrà il giudice di rinvio, con l’avvertenza, tuttavia, che anche
operazioni meramente speculative possono essere ricondotte ai
bisogni della famiglia, allorché appaia certo, in punto di fatto, che
esse siano state poste in essere al solo fine di impedire un danno
sicuro al nucleo familiare. E’ invece irrilevante in questa sede
qualsiasi indagine riguardo alla anteriorità del credito rispetto alla
costituzione del fondo, in quanto l’art. 170 cod. civ. non limita il
divieto di esecuzione forzata ai soli crediti (estranei ai bisogni della
famiglia) sorti successivamente alla costituzione del fondo, ma
estende la sua efficacia anche ai crediti sorti anteriormente, salva la
possibilità per il creditore, ricorrendone i presupposti, di agire in
revocatoria ordinaria».
L’accertamento così richiesto è stato analiticamente compiuto
nella sentenza in questo giudizio impugnata.
La

Corte territoriale

ha

infatti

ritenuto che:

«l’attività

imprenditoriale del Talvacchia, peraltro svolta individualmente e non
già in forma societaria, aveva l’eminente scopo di garantire reddito,
per poter vivere adeguatamente a sé ed alla sua famiglia»;
«l’imposizione risulta correlata alla produzione di reddito»;
«l’imposizione indiretta concorre alla definizione del reddito di
impresa destinato ai bisogni di vita propri e della famiglia»; «la
genesi dell’obbligazione erariale, quale ripresa a tassazione connessa
ad operazioni commerciali in nero» è correlata ai bisogni della

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Il Con i li e st.
Dott. RWfeIe Rossi

lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o

famiglia, «poiché sorge in connessione con il reddito prodotto
dall’impresa e goduto dall’imprenditore per sé e la propria famiglia».
Ha poi affermato, conclusivamente, che l’onere della prova della
destinazione del reddito ad altri scopi, diversi dal soddisfacimento
delle esigenze della famiglia, incombeva agli opponenti e non era
stato in alcun modo assolto.

di diritto enunciati da Cass. 15862/2009, più volte ribaditi da questa
Corte con successive pronunce afferenti la aggredibilità in executivis o
la sottoponibilità ad ipoteca di beni costituiti in fondo patrimoniale per
la soddisfazione di crediti tributari (tra le ultime, Cass. 22/02/2017,
n. 4593; Cass. 09/11/2016, n. 22761/2016; Cass. 24/02/2016, n.
3600; Cass. 29/01/2016, n. 1652; Cass. 13/11/2015, n. 23328;
Cass., 21/10/2015, n. 21396; Cass. 24/02/2015, n. 3738).
A fronte di ciò, il motivo di ricorso si concreta nella riproposizione
di argomentazioni di carattere astratto e generale sulla natura del
fondo patrimoniale e sulla funzione delle obbligazioni tributarie, senza
specifici riferimenti alla vicenda controversa e, soprattutto, senza una
puntuale confutazione dell’articolata

ratio decidendi della sentenza

della Corte di Appello.
2. Con il secondo motivo, rubricato «omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti», parte ricorrente deduce
come la Corte di Appello non abbia debitamente valutato la
documentazione prodotta nei gradi di merito — in specie, le cartelle
esattoriali a carico del Talvacchia per tributi — da cui potevano
evincersi, nella prospettazione dell’impugnante, indici sufficienti a
ritenere provata, in via presuntiva, l’estraneità dei debiti ai bisogni
familiari.
La censura è inammissibile.

R.G. 7909.2016

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st.
I
Il Co
Dott. a aele Rossi

Così argomentando, il giudice del rinvio si è conformato ai principi

Alla vicenda, per essere stata la sentenza impugnata pubblicata
nell’ottobre 2015, trova applicazione il disposto dell’art. 360, comma
1, num. 5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dall’art. 54 del
d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n.
134, che ha operato la riduzione al minimo del sindacato di legittimità

questa Corte, soltanto in presenza di un’anomalia che si tramuti in
violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all’esistenza della motivazione in sé, e che si esaurisce nella
«mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico»,
nella

«motivazione apparente»,

affermazioni inconciliabili»

nel

e nella

obiettivamente incomprensibile»,

«contrasto irriducibile tra
«motivazione perplessa ed

esclusa qualunque rilevanza del

semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (sul punto, sia
sufficiente il richiamo a Cass., Sez. U, 22/09/2014, n. 19881 e a
Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Il motivo formulato, tuttavia, lungi dal prospettare un’anomalia
motivazionale del genere, non individua nemmeno il fatto (da
intendersi non come una questione o un punto della sentenza, ma
come un fatto vero e proprio, ovvero un fatto principale -costitutivo,
modificativo, impeditivo o estintivo- od anche un fatto secondario,
purchè dedotto in funzione prova di un fatto principale: Cass.
13/09/2013, n. 20931) la cui valutazione sarebbe stata omessa né, a
fortiori, il carattere di decisività ai fini della risoluzione della lite:
denunciando la – peraltro inadeguata e non già omessa – valutazione
delle cartelle esattoriali, parte ricorrente intende rimarcare la natura
tributaria delle obbligazioni inadempiute dal Talvacchia e la riferibilità
delle stesse all’attività commerciale da questi esercitata, circostanze
fattuali diffusamente considerate dalla Corte territoriale al fine di

R.G. 7909.2016

7

Es
li
Il Co
Dott. a ele ossi

sui vizi di motivazione, possibile ora, alla stregua dell’orientamento di

escludere l’estraneità di siffatti debiti alle esigenze familiari tutelate
dal fondo patrimoniale.
3. Rigettato il ricorso, la disciplina delle spese del giudizio di
legittimità segue il principio della soccombenza ex art. 91 cod. proc.
civ., con liquidazione operata alla stregua dei parametri fissati dal
D.M. 55/2014, come in dispositivo.

(posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità
dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel
testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012,
n. 228): il rigetto del ricorso costituisce il presupposto per il
pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore del contro
ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro
10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del
15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori,
fiscali e previdenziali, di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza
Sezione Civile, il giorno 21 settembre 2017.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione

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