Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29653 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. II, 16/11/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 16/11/2018), n.29653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19267/2014 proposto da:

M.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROCCA SINIBALDA

10, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA ZARBA MELI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE BIONDARO;

– ricorrente –

contro

MOLINAUTO SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CONFALONIERI

5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato STEFANO SARTORI BARANA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2774/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/05/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCON FULVIO, che ha concluso per rigetto 1-2-3 motivo,

inammissibilità 4-5 motivo del ricorso;

udito l’Avvocato ROSSIGNOLI Eugenio con delega dell’Avvocato BIONDARO

Giuseppe, difensore del ricorrente che si riporta agli atti

depositati;

udito l’Avvocato ALBENI Carlo, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MANZI Andrea, difensore del resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.E. adiva il Tribunale di Verona, chiedendo di pronunciare, ex art. 1492 c.c., la risoluzione del contratto di compravendita di un’autovettura usata a causa della contraffazione del tachimetro della medesima e di condannare la controparte, la società Molin Auto s.r.l., a restituire il prezzo e a rimborsare le spese sostenute per la riparazione dell’autovettura. Il Tribunale di Verona, con pronuncia n. 3215/2006, ha rigettato tutte le domande.

2. M. ha fatto valere appello; la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza 18 novembre 2013, n. 2774, ha revocato la condanna di M. al rimborso dell’iva calcolata sulle spese di lite, per il resto confermando la pronuncia di primo grado.

3. Contro la sentenza d’appello ricorre per cassazione M.E..

Resiste con controricorso la società Molin Auto.

Il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in cinque motivi.

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., “per avere il giudice d’appello escluso che la domanda dell’attore di risoluzione del contratto di vendita per inadempimento da vizio occulto doloso (art. 1493 c.c.) sul tachimetro dell’autovettura possa concorrere (e non sia incompatibile) con la domanda di annullamento per errore/dolo del contratto (art. 1439 c.c.)”.

Il motivo è infondato. La Corte d’appello – cfr. p. 10 della sentenza impugnata – non si è pronunciata, escludendolo, sul concorso tra domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e domanda di annullamento del contratto per errore o dolo, ma ha interpretato (interpretazione che è compito precipuo del giudice di merito) la domanda proposta come “fondata sull’inadempimento del venditore, rapportato alla garanzia di immunità da vizi che avessero diminuito in modo apprezzabile il valore del veicolo”.

2. Il secondo motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., art. 1490 c.c., comma 1, artt. 1492,1370 e 1366 c.c.: la Corte d’appello avrebbe disatteso l’applicazione della disciplina sui vizi della cosa venduta in ipotesi di dolo/colpa grave del venditore in quanto ha operato “un sillogismo tra la dichiarazione dell’acquirente M. per cui “il chilometraggio è sconosciuto” con la riconoscibilità da un lato dell’alterazione del tachimetro e dall’altro con l’accettazione da parte del compratore dell’alterazione stessa”.

Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha infatti negato l’inadempimento del venditore basandosi sull’interpretazione – che ad essa spettava – della dichiarazione, posta in essere da M., di essere a conoscenza del fatto che il chilometraggio era sconosciuto: la mancanza di un dato, quale l’indicazione della distanza chilometrica percorsa da un’autovettura, è ad avviso del giudice di merito sì rilevante per individuare la qualità del bene, ma non costituisce un vizio intrinseco del bene, trattandosi piuttosto di un difetto di informazione, difetto che non è sanzionato dalla normativa di settore, e che influisce sulla scelta del cliente, cliente che, nel caso in esame, ha consapevolmente acquistato un bene di cui non conosceva appieno le caratteristiche, assumendosi così il rischio di un acquisto svantaggioso.

3. Il terzo motivo fa valere “violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., art. 1490 c.c., comma 2 e art. 1229 c.c., in relazione alla mancata applicazione della disciplina sulle clausole vessatorie di cui all’art. 1341, art. 1469-bis, comma 1, art. 1469-bis, comma 3, n. 2, artt. 1469-ter, quater e quinquies, con riguardo all’esclusione della natura vessatoria della dichiarazione dell’acquirente M. per cui “il chilometraggio è sconosciuto”.

Il motivo è infondato. E’ condivisibile l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui la dichiarazione sottoscritta da M. di “essere a conoscenza che il chilometraggio esatto è sconosciuto” non abbisognava della doppia sottoscrizione ai sensi dell’art. 1341 c.c., in quanto, trattandosi di una semplice dichiarazione che palesa lo stato soggettivo dell’aver appreso la mancanza del dato relativo alla distanza percorsa dal veicolo, non va qualificata come clausola vessatoria.

4. Il quarto motivo contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’omesso esame di un fatto decisivo della controversia, omessa valutazione del comportamento secondo mala fede del venditore in relazione al prezzo dell’autovettura e alle sue condizioni apparenti”. Il motivo non può essere accolto. Ad avviso del ricorrente la Corte d’appello smentirebbe un preciso dato materiale, ossia la sussistenza del rapporto tra il prezzo pagato e il comportamento secondo mala fede del venditore. La Corte (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) considera l’entità del corrispettivo pagato – così che non è ravvisabile l’omesso esame di un fatto art. 360 c.p.c., ex n. 5, – e precisa che non è stata offerta la prova del riferimento, da parte del venditore, del prezzo ai pochi chilometri percorsi.

5. Il quinto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 1229 c.c. e art. 1490 c.c., comma 2, in relazione alla mancata assunzione dei mezzi di prova per la sussistenza di presupposti materiali configuranti il dolo/colpa grave del venditore”: la Corte d’appello avrebbe “immotivatamente, rectius, inspiegabilmente” rigettato l’istanza di esibizione dei “verbali di consegna dell’autovettura intercorsi con i precedenti proprietari” dell’autovettura.

Il motivo non può essere accolto. L’ordine di esibizione, per cui è necessaria l’istanza di parte, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito (cfr., da ultimo, Cass. 21603/2013) che può essere oggetto del sindacato di questa Corte unicamente sotto il profilo della mancanza di motivazione, motivazione che nel caso in esame la Corte ha fornito, ritenendo irrilevante “la prova che l’erronea indicazione del tachimetro fosse effetto della illecita alterazione di chi – il diretto dante causa o i precedenti venditori – ha alterato il contachilometri”.

2. Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese di lite sono liquidate in dispositivo e seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, in favore della controricorrente, che liquida in Euro 2.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda Sezione Civile, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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