Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2965 del 07/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 07/02/2018, (ud. 20/09/2017, dep.07/02/2018),  n. 2965

Fatto

RILEVATO

1. che, con sentenza in data 27 aprile 2011, la Corte di Appello di Catania ha riformato la sentenza di primo grado che aveva accolto l’opposizione a cartella esattoriale per il pagamento della somma di Euro 452.732,04 per contributi non versati nel periodo gennaio 1993-febbraio 1998 e per ottobre 1999;

2. che, per quanto in questa sede rileva, la Corte di merito riteneva non contestati specificamente i fatti costitutivi del credito contributivo indicato nel verbale di accertamento del 17 aprile 1998 (punti 2-6), a fronte dei rilievi documentali e del diretto esame, da parte degli ispettori verbalizzanti, dei libri contabili, e decorso il termine prescrizionale quinquennale del credito contributivo inerente ai primi mesi del 1993, per essere stato notificato il verbale ispettivo in data 17 aprile 1998, con salvezza, pertanto, del periodo contributivo successivo al 17 aprile 1993;

3. che, avverso tale sentenza, hanno proposto ricorso l’INPS, anche quale procuratore speciale della Serit Sicilia s.p.a., affidato ad un motivo, e la s.r.l. Brontejeans, con due motivi, avverso il quale l’INPS ha conferito procura in calce alla copia notificata del ricorso;

4. che il P.G. ha richiesto declaratoria di inammissibilità e, in subordine, il rigetto di entrambi i ricorsi.

Diritto

CONSIDERATO

5. che, come già statuito da questa Corte (v., fra le altre, Cass. n. 25662/2014), il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbano essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta, in ricorso incidentale;

6. che, nella specie, il ricorso della società, notificato per primo, deve ritenersi principale e il ricorso dell’INPS, successivamente notificato, deve ritenersi incidentale;

7. che, deducendo violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 2697 c.c., insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, la società si duole della ritenuta mancata contestazione e del pieno valore probatorio attribuito al verbale ispettivo e per l’erronea ripartizione degli oneri probatori (primo motivo); e deducendo, inoltre, violazione della L. n. 388 del 2000, art. 116 e omessa motivazione, la decisione è censurata, quanto alle sanzioni civili, per l’implicita esclusione dell’applicabilità della predetta disposizione e la ritenuta applicazione della diversa disciplina prevista dalla L. n. 662 del 1996 (secondo motivo);

8. che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso principale;

9. che il primo motivo del ricorso della società è inammissibile;

10. che la doglianza relativa alla violazione della norma di cui all’art. 2697 c.c., devoluta come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata, secondo le regole da quella norma dettate (v., per tutte, Cass. n. 13960/2014) mentre laddove oggetto di censura sia la valutazione delle risultanze istruttorie (attività regolata dagli artt. 115 e 116 c.p.c.) il relativo vizio può essere fatto valere ai sensi del medesimo art. 360, n. 5 (v., in tema, Cass. n. 15107/2013) e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza e non implicare un riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (v., tra le più recenti, Cass. n. 9593/2017);

11. che, secondo i principi più volte affermati da questa Corte, grava sul datore di lavoro l’onere di provare le circostanze eccettuative dell’onere contributivo ordinariamente previsto (v., per il diritto alla fiscalizzazione degli oneri sociali, Cass. n. 2387/2004; per il diritto agli sgravi contributivi Cass. n. 29324/2008, Cass. n. 21898/2010, Cass., Sez. U., n. 6489/2012, Cass. 6671/2012; ovvero, quanto alla prova di modalità del rapporto di lavoro, come il tempo parziale in luogo di quello ordinario, per fare valere una riduzione contributiva, Cass. n. 10448/2016);

12. che, con il mezzo d’impugnazione in esame, evocativo della contestazione specifica, mediante negazione delle violazioni a fondamento del titolo opposto, introdotta con la memoria in appello, non viene incrinato il fondamento della decisione impugnata e, in particolare, l’essenziale proposizione secondo cui, per la Corte del gravame, non solo sono risultate apoditticamente negate le specifiche contestazioni enunciate nel verbale di accertamento, nei punti 2-6, ma, soprattutto, non sono stati addotti, nel giudizio di merito, elementi di riscontro di quanto asserito e neanche allegati elementi a suffragio della prospettazione difensiva incentrata sulla mera negazione delle plurime omissioni ed irregolarità contestate;

13. che la mancanza di specifiche argomentazioni a confutazione del rilevato difetto di allegazione e prova in ordine all’adeguatezza delle retribuzioni ai livelli contrattuali, all’osservanza dei minimali giornalieri, all’attribuzione del godimento della riduzione dell’orario di lavoro annualmente previsto dalla contrattazione collettiva unitamente alle festività soppresse, al conguaglio, sui modelli DM10 mensili, di sgravi per importi superiori a quelli spettanti, ha determinato l’intangibilità, siccome non oggetto di idonea censura, della ratio decidendí che sostiene il decisum;

14. che il secondo motivo non risulta pertinente al decisum e, in ogni caso, la parte ricorrente non dimostra, in questa sede di legittimità, di aver devoluto, in appello, la questione del regime sanzionatorio applicabile;

15. che il ricorso incidentale, con il quale l’INPS, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, in relazione all’art. 252 disp att. c.p.c., critica il computo della prescrizione come operato dalla Corte territoriale è fondato;

16. che le Sezioni unite della Corte, componendo un contrasto insorto all’interno della Sezione lavoro in ordine al regime transitorio applicabile in tema di riduzione da decennale a quinquennale del termine di prescrizione del diritto ai contributi di previdenza e di assistenza obbligatoria, hanno affermato che la disciplina posta dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, comporta che, per i contributi relativi a periodi precedenti alla data di entrata in vigore della legge – salvi i casi in cui il precedente termine decennale di prescrizione venga conservato per effetto di denuncia del lavoratore, o dei suoi superstiti, di atti interruttivi già compiuti o di procedure di recupero iniziate dall’Istituto previdenziale nel rispetto della normativa preesistente – il termine di prescrizione è quinquennale a decorrere dal 1 gennaio 1996, potendo, però, detto termine, in applicazione della regola generale di cui all’art. 252 disp. att. c.c., essere inferiore se tale è il residuo del più lungo termine determinato secondo il regime precedente (v. Cass., Sez. U. 7 marzo 2008, n. 6173 e successive conformi);

17. che, nella vicenda in esame, risulta incontroverso che la notifica della cartella di pagamento, per il periodo contributivo intercorso da gennaio 1993 a ottobre 1999, è stata preceduta dalla notifica del verbale di accertamento dell’INPS in data 17 aprile 1998 e in tale data è stato interrotto il decorso della prescrizione quando ancora non si era compiuto (dopo l’entrata in vigore della L. n. 335 del 1995) il tempo residuo del termine decennale determinato secondo il precedente regime, pur ridotto entro il minor periodo di cinque anni decorrenti dal 1 gennaio 1996, con la salvezza dell’integrale credito contributivo (sull’efficacia interruttiva della prescrizione del credito contributivo del verbale di accertamento dell’omissione contributiva v., fra le tante, Cass. 2 febbraio 2016, n. 1974);

18. che, pertanto, la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del predetto principio;

19. che, in conclusione, la sentenza dev’essere cassata in relazione al motivo di ricorso incidentale accolto e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte, decidendo nel merito, dichiara dovuti i contributi, le somme aggiuntive e le sanzioni di cui alla cartella opposta e al verbale di accertamento del 17 aprile 1998, dal punto 2) al punto 6);

20. che l’alterno esito dei giudizi di merito consiglia la compensazione delle spese di lite;

21. che le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale della società; accoglie il ricorso incidentale dell’INPS, cassa la sentenza impugnata in parte qua e, decidendo nel merito, dichiara dovuti i contributi, le somme aggiuntive e le sanzioni di cui alla cartella opposta e al verbale di accertamento del 17 aprile 1998, dal punto 2) al punto 6); compensa le spese dei gradi di merito; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2018

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