Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29645 del 12/12/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 29645 Anno 2017
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: ROSSETTI MARCO

ORDINANZA

sul ricorso 18847-2014 proposto da:
GENERALI ITALIA SPA 00885351007, in persona del
Procuratore dott. GIANCARLO FUSCO, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso
lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO

WALTER PASTO giusta procura in calce al ricorse;
– ricorrente 2017
1584

contro

ROYAL INTERNATIONAL INSURANCE HOLDING LTD

in

persona del Direttore Generale e legale
rappresentante, Dott. FABRIZIO MOSCONE, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 103,

Data pubblicazione: 12/12/2017

presso lo studio dell’avvocato LUISA GOBBI, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO
MARCELLO LEONELLI giusta procura a margine del
controricorso;
ATLAS COPCO ITALIA SPA , in persona del legale

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE
MILIZIE 48, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO
CORVASCE, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ROBERTO ROMANO giusta procura in calce
al controricorso;
– controricorrenti nonchè contro
DITTA IMPRESA EDILE PADOVINI LUIGI , FORIO SPA ,
PUBBLICITÀ SPAZIO SRL ;
– intimate avverso la sentenza n. 761/2013 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 13/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 11/07/2017 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;

2

rappresentante pro tempore Sig. EDOARDO ANGELICCI,

R.G.N. 18847/14
Udienza del 11 luglio 2017

FATTI DI CAUSA
1. Nel 2003 la società Toro Assicurazioni s.p.a. (che in seguito, per
effetto di fusioni e cessioni d’azienda, muterà la propria ragione sociale
in “Generali Italia s.p.a.”) convenne dinanzi al Tribunale di Brescia:
-) la società Atlas Copco Italia s.p.a.;

-) la società Fiorio s.p.a.;
-) la società Pubblicità Spazio s.r.I.;
esponendo:
(-) di avere stipulato con la società Pubblicità Spazio s.r.l. un
contratto di assicurazione contro il rischio di incendio, avente ad
oggetto un capannone di proprietà dell’assicurata, sito a Fenil Schena
di Lonato (BS);
(-) il 22.5.2002 il suddetto capannone era stato distrutto da un
incendio;
(-) la Toro aveva indennizzato l’assicurata Pubblicità Spazio
pagandole la somma di euro 300.351,09;
(-) la causa dell’incendio doveva ravvisarsi in un guasto ad un
elettrogeneratore, fabbricato dalla Atlas, distribuito dalla sua
concessionaria di zona Fiorio, preso a noleggio da Luigi Podavini e
collocato in un locale adiacente il magazzino andato a fuoco;
(-) i responsabili dell’incendio, che l’attrice indicava nei convenuti
Atlas, Fiorio e Podavini, erano di conseguenza tenuti ex art. 1916 c.c.
a rifonderle l’indennizzo da essa pagato alla Pubblicità Spazio.

2. Si costituirono soltanto la Atlas e la Fiorio, negando la propria
responsabilità.
La prima, inoltre, chiese ed ottenne di chiamare in causa il proprio
assicuratore della responsabilità civile, la Royal Insurance Holding ltd.
(in seguito, Royal & Sun Alliance Insurance PLC).

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-) Luigi Podavini;

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Udienza del 11 luglio 2017

Anche la Royal si costituì.
Nel corso di causa la Toro rinunciò alla domanda nei confronti della
Fiorio.

3. Con sentenza 19.8.2009 n. 2798 il Tribunale di Brescia dichiarò

presupposto che non vi fosse prova alcuna che l’incendio fosse stato
provocato dall’elettrogeneratore.

4. Con sentenza 13.6.2013 n. 761 la Corte d’appello di Brescia
rigettò il gravame proposto dalla Generali (come detto, succeduta alla
Toro), essenzialmente sul presupposto che la causa dell’incendio era
rimasta ignota.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla
Generali Italia, con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da
memoria.
Hanno resistito con controricorso la Atlas e la Royal.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi
dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. E’ denunciata, in particolare, la violazione
dell’art. 2051 c.c..
Il motivo, se pur formalmente unitario, si articola in più censure, così
riassumibili:
(a) la Corte d’appello ha violato l’articolo 2051 c.c., perché ha escluso
la responsabilità del custode sul presupposto che l’incendio non era
stato causato dalla cosa in sé, ma da un “difetto di custodia, quale ad

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r

estinto il giudizio tra la Toro e la Fiorio; rigettò le altre domande sul

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Udienza del 11 luglio 2017

esempio la presenza di materiale infiammabile nel locale dove era
custodito il generatore”;
(b) la Corte d’appello ha violato l’articolo 2051 c.c., perché ha escluso
il nesso di causa fra la cosa il danno, pur essendo certo che quest’ultimo
fosse derivato dalla cosa stessa;

rigettato la domanda, nonostante il custode non avesse fornito la prova
liberatoria dell’esistenza del caso fortuito.

1.2. Il motivo è manifestamente infondato in tutte le censure in cui si
articola.
Tali censure, infatti, prescindono totalmente dalla reale ratio decidendi
della sentenza impugnata.
La Corte d’appello, al contrario di quanto mostra di ritenere la
ricorrente, non ha affatto affermato che il danno fosse stato sì causato
dal generatore, ma che non fosse possibile sapere attraverso quali
modalità.
La Corte d’appello ha invece rigettato la domanda sul presupposto che
fosse impossibile stabilire l’esatta causa dell’incendio.
Statuizione, questa, corretta, dal momento che l’art. 2051 c.c. solleva
l’attore dall’onere di provare la colpa del custode, ma non lo solleva
dall’onere di provare il nesso di causa tra la cosa custodita ed il danno.
Pertanto il difetto o l’insufficienza della prova sull’esistenza del nesso
eziologico tra la cosa in custodia e il danno non poteva che comportare
il rigetto della domanda.

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza
impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi
dell’art. 360, n. 3, c.p.c. (si lamenta, in particolare, la violazione degli

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(c) la Corte d’appello ha infine violato l’articolo 2051 c.c. per avere

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Udienza del 11 luglio 2017

artt. 112, 329, 342, 345 c.p.c.); sia dal un vizio di nullità processuale,
ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c..
Anche questo motivo si articola in più censure, così riassumibili:
(a) la Corte d’appello ha violato il giudicato interno, per avere escluso
che il produttore dell’elettrogeneratore (la Atlas) avesse la qualità di

contrario, e nonostante tale statuizione non fosse stata impugnata da
alcuno;
(b) la Corte d’appello ha violato l’articolo 2051 c.c., nella parte in cui
ha ritenuto che il noleggiante del generatore (la Atlas, che era anche il
produttore) avesse perso la disponibilità di fatto del bene, e quindi la
custodia di esso, per il solo fatto di averlo dato a noleggio;
(c) la Corte d’appello, nell’escludere la qualità di “custode” in capo alla
società Atlas, produttore del generatore, ha omesso di esaminare il
fatto decisivo rappresentato dalla circostanza che la stessa Atlas nel
manuale di istruzioni d’uso del generatore aveva ammesso che “i/

proprietario ha la responsabilità di mantenere l’unità in condizioni di
funzionamento sicuro”.

2.2. Tutte e tre le censure sono (manifestamente) inammissibili per
difetto di rilevanza.
Anche, infatti, a volere ritenere erronea l’esclusione in capo alla Atlas
della qualità di “custode”, resterebbe il fatto che la sentenza ha
comunque escluso la prova del nesso di causa tra cosa e danno: sicché,
in mancanza della prova di quel nesso, era superfluo stabilire chi
avesse la qualità di “custode”, e le relative responsabilità.

Ad abundantiam, tuttavia, deve aggiungersi che nessun giudicato
interno può dirsi maturato sulla questione della qualità di custode
dell’elettrogeneratore in capo alla società Atlas. Trattandosi, infatti, di
cause inscindibili (in virtù dei princìpi stabiliti dalle Sezioni Unite di

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“custode” di tale apparato, nonostante il Tribunale avesse affermato il

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Udienza del 11 luglio 2017

questa Corte, con le sentenze Sez. U, Sentenza n. 7700 del 19/04/2016
e Sez. U, Sentenza n. 24707 del 04/12/2015), l’impugnazione proposta
anche da una sola delle parti sul tema dell’accertamento della
responsabilità e del titolo della sua attribuzione fu sufficiente a
consentire alla Corte d’appello di sindacare l’uno e l’altro, senza che

3. V terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza
impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi
dell’art. 360, n. 3, c.p.c. (si lamenta, in particolare, la violazione degli
artt. 2909 c.c.; 324 e 329 c.p.c.); sia dal un vizio di nullità processuale,
ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c..
Anche questo motivo si articola in tre censure così riassumibili:
(a) la Corte d’appello ha violato il giudicato interno, perché ha escluso
l’esistenza del nesso di causa tra la cosa il danno, nonostante il
tribunale avesse statuito che la causa più probabile dell’incendio era
rappresentata dalla combustione del gruppo elettrogeno, e tale
statuizione non era stata impugnata da Atlas;
(b)

la Corte d’appello ha violato il giudicato interno formatosi nei

confronti di Luigi Podavini; il giudice di primo grado, infatti, aveva
ritenuto causa probabile dell’incendio la combustione del gruppo
elettrogeno; Luigi Podavini, nel proporre il suo appello incidentale, non
aveva affatto rimesso in discussione il rapporto di causalità ritenuto
esistente dal Tribunale fra il generatore l’incendio, ma si era limitato a
sostenere il difetto di motivazione della sentenza di primo grado in
merito alla possibile esistenza di altre cause. In tal modo Luigi Podavini
avrebbe – secondo la ricorrente – “prestato acquiescenza” alla sentenza
di primo grado nella parte in cui aveva affermato l’esistenza del nesso
di causa fra generatore ed incendio;

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Cm)

potessi dirsi formato alcun vincolo di giudicato.

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(c) la Corte d’appello avrebbe violato l’articolo 2051 c.c. e le regole
sulla causalità materiale, nella parte in cui aveva ritenuto indirmstrata
l’esistenza del nesso di causa fra la cosa dell’incendio.

3.1. La prima delle tre censure appena riassunte è manifestamente

nel presente giudizio non si era formato alcun giudicato interno: Né
sulla qualità di custode in capo alla Atlas, né sull’esistenza o meno del
nesso di causa tra l’elettrogeneratore e l’incendio.
Aggiungasi che, in ogni caso, come già detto la Corte d’appello ha
escluso che la società Atlas rivestisse la qualità di “custode” ai sensi
dell’articolo 2051 c.c.; con la conseguenza che la circostanza che
l’incendio si fosse sprigionato dal generatore non era, da sola,
sufficiente a condannare il produttore, se non si fosse dimostrato il vizio
costruttivo o progettuale.

Cmi

3.2. La seconda censura è manifestamente infondata, in quanto Luigi
Podavini non aveva prestato nessuna acquiescenza alla sentenza
impugnata; aveva proposto appello incidentale proprio sul tema del
nesso causale, e tanto bastava per consentire alla Corte d’appello di
riesaminare, sul punto, le statuizione del Tribunale.

3.3. La terza censura è manifestamente infondata, in quanto è onere
del danneggiato (e quindi dell’assicuratore che a quello si sia surrogato)
dimostrare l’esistenza del nesso di causa fra la cosa e il danno, nesso
di causa – per quanto detto – escluso dalla Corte d’appello con
apprezzamento di merito non sindaca bile in sede di legittimità.

4. Il quarto motivo di ricorso.

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infondata: infatti, per le ragioni già esposte supra, al § 2.2, ultima parte,

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Udienza del 11 luglio 2017

4.1. Col quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio di nullità
processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c..
Il motivo contiene due censure:
(a) la Corte d’appello ha violato l’articolo 116 c.p.c., per non aver dato
adeguata e congrua motivazione sull’attendibilità delle risultanze

(b) la Corte d’appello ha violato l’articolo 345 c.p.c., perché ha ritenuto
inammissibili i documenti prodotti in grado di appello, nonostante di
tali documenti era sostanzialmente stata disposta l’acquisizione
d’ufficio articolo 213 c.p.c., dal momento che in primo grado il
Tribunale, conferito l’incarico peritale, aveva demandato al c.t.u. di

“acquisire le necessarie informazioni anche presso pubblici uffici”.

4.2. La prima censura è manifestamente infondata, in quanto sollecita
nella sostanza da questa Corte una nuova valutazione delle prove, che
si sostituisca a quella adottata dal giudice di merito.
Pretesa, ovviamente, inammissibile, anche quando sia prospettata la
violazione dell’art. 116 c.p.c.: ed infatti questa Corte ha già
ripetutamente affermato che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea
ad integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando il giudice
di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga
normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente
apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un
diverso regime (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

4.3. La seconda censura è manifestamente infondata, in quanto:
(a) la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione richiede
un provvedimento espresso, ed un ordine impartito dal giudice
all’amministrazione, non certo al consulente tecnico d’ufficio;

Pagina 9

ri

istruttorie;

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(b) in ogni caso se il giudice demanda al consulente di acquisire un
documento, e questi non lo acquisisca, non è perciò solo consentito le
parti produrre quel documento in grado di appello, ai sensi dell’articolo
345 c.p.c..

5.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico
della ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate
nel dispositivo.

5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto
con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte
ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater,
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma
17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
Per questi motivi

la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna Generali Italia s.p.a. alla rifusione in favore di Atlas Copco
Italia s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano nella somma di euro 4.000, di cui 200 per spese vive, oltre
I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m.
10.3.2014 n. 55;
(-) condanna Generali Italia s.p.a. alla rifusione in favore di Royal &
Sun Alliance Insurance PLC delle spese del presente giudizio di
legittimità, che si liquidano nella somma di euro 4.000, di cui 200 per
spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2,
comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

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5. Le spese.

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(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1

quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Generali
Italia s.p.a. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile

della Corte di cassazione, addì 11 luglio 2017.

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