Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29644 del 28/12/2020

Cassazione civile sez. II, 28/12/2020, (ud. 02/10/2020, dep. 28/12/2020), n.29644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2334 – 2016 R.G. proposto da:

B.A., – c.f. (OMISSIS) – B.D., – c.f. (OMISSIS) –

B.V., – c.f. (OMISSIS) – rappresentati e difesi in virtù

di procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato Natale

Clemente ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via Muzio

Clemente, n. 9, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Raguso;

– ricorrenti –

contro

D.S., – c.f. (OMISSIS) – (erede di D.A.),

D.L. – c.f. (OMISSIS) – (erede di D.A.),

D.F.P. – c.f. (OMISSIS) – (erede di

D.A.), D.M., – c.f. (OMISSIS) – rappresentati e difesi in

virtù di procura speciale in calce al controricorso dall’avvocato

Salvatore Carrozzo e dall’avvocato Giovanna Carrozzo ed

elettivamente domiciliati in Roma, alla via Trionfale, n. 5637,

presso lo studio dell’avvocato Domenico Battista;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1812/2015 della Corte d’Appello di Bari, udita

la relazione nella camera di consiglio del 2 ottobre 2020 del

consigliere Dott. Abete Luigi.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto notificato il 17.3.2001 D.A. e D.M. citavano a comparire dinanzi al Tribunale di Bari B.A., B.D. e B.V..

Esponevano che erano condomini del condominio ubicato in (OMISSIS), all’angolo con via (OMISSIS); che sul lato opposto a via (OMISSIS) il costruttore dell’edificio aveva lasciato inedificata una striscia di suolo, onde assicurare aria e luce agli appartamenti condominiali e consentire l’accesso ai locali posti al piano seminterrato.

Esponevano che i convenuti, proprietari del terreno a confine con detta striscia di suolo, vi avevano edificato tre distinte palazzine a distanza inferiore a m. 10 dalle preesistenti fabbriche condominiali, ovvero a distanza inferiore a quella prescritta dal regolamento edilizio di (OMISSIS).

Esponevano che le palazzine erano dotate di un muro di recinzione, a ridosso del quale i convenuti avevano collocato una tubazione idrica ed una condotta del gas, a distanza, dalla striscia di suolo di spettanza del condominio, inferiore a quella prescritta dall’art. 889 c.c..

Chiedevano accertare e dichiarare che le palazzine edificate dai convenuti e le tubazioni, idrica e del gas, collocate a ridosso del muro di recinzione erano posizionate a distanza inferiore a quella prevista, rispettivamente, dal regolamento edilizio di (OMISSIS) e dall’art. 889 c.c..

Chiedevano quindi condannare i convenuti ad arretrare i manufatti di loro proprietà e le tubazioni sino al rispetto della distanza prescritta nonchè a risarcire i danni arrecati da liquidarsi in separata sede.

2. Si costituivano B.A., B.D. e B.V..

Deducevano che le loro fabbriche erano posizionate alla distanza di m. 8 dall’edificio condominiale in virtù di apposita convenzione, debitamente trascritta, siglata con la società dante causa degli attori, alla cui stregua la striscia di suolo era destinata a cortile.

Deducevano che sul cortile di pertinenza del limitrofo condominio vantavano servitù di passaggio; che gli attori avevano realizzato opere – un marciapiede, rampe di accesso ai locali seminterrati, balconi aggettanti – che limitavano la sede di esercizio della servitù.

Instavano per il rigetto delle avverse domande ed, in via riconvenzionale, per la condanna degli attori alla demolizione delle opere idonee ad impedire l’esercizio della servitù di passaggio.

3. Espletata la consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza n. 119/2010 l’adito tribunale, in accoglimento delle corrispondenti domande degli attori, condannava i convenuti ad arretrare le palazzine di loro proprietà e le tubazioni collocate a ridosso del muro di recinzione sino al rispetto delle debite distanze, rigettava la domanda risarcitoria degli attori e la domanda riconvenzionale dei convenuti, condannava i convenuti alle spese di lite e di c.t.u.

4. B.A., B.D. e B.V. proponevano appello.

5. Resistevano D.S., D.L. e D.F.P. (eredi di D.A.) nonchè D.M.; esperivano appello incidentale.

6. Con sentenza n. 1812 dei 4/12.11.2015 la Corte d’Appello di Bari rigettava l’appello principale, accoglieva l’appello incidentale e, per l’effetto, condannava gli appellanti al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede, condannava gli appellanti principali in solido alle spese del grado con distrazione.

7. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso B.A., B.D. e B.V.; ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi, variamente articolati, la cassazione con ogni conseguente statuizione.

D.S., D.L., D.F.P. (eredi di D.A.) e D.M. hanno depositato controricorso; hanno chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

8. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Del pari hanno depositato memoria i controricorrenti.

9. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione, falsa applicazione ed inosservanza della L. n. 1150 del 1942, art. 33, degli artt. 14 e 16 del regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS), del D.M. n. 1444 del 1968 e delle norme relative ai piani quadro; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il difetto di motivazione, la motivazione apparente, il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, la motivazione perplessa ed incomprensibile; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’erronea valutazione degli elementi di fatto controversi e decisivi per il giudizio.

Deducono, da un canto, che le norme comunali sui cortili escludono l’applicabilità delle norme comunali integrative delle disposizioni del codice civile in materia di distanze legali.

Deducono quindi che in presenza di un cortile si applicano le disposizioni del codice civile in materia di distanze e non già le norme comunali integrative delle disposizioni del codice civile in materia di distanze.

Deducono che lo spazio interposto tra gli edifici de quibus agitur, costituisce, alla stregua della conformazione dei luoghi e delle vicende che hanno portato alla sua creazione, senz’altro un cortile.

Deducono quindi che ha errato la corte d’appello, sulla scorta delle risultanze della c.t.u., a ritenere che lo spazio de quo agitur costituisca una strada privata e non già un cortile, siccome in alcuni punti tale spazio non raggiunge – per pochi centimetri – l’ampiezza di m. 8; ciò viepiù che la larghezza minima regolamentare delle strade private è di m. 12.

Deducono, d’altro canto, che, ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c., la distanza minima assoluta di m. 10 può esser derogata, allorchè si tratti di edifici ricadenti all’interno di piani particolareggiati ovvero di lottizzazioni convenzionate contenenti previsioni planovolumetriche.

Deducono che le palazzine di loro proprietà e lo stabile condominiale frontistante ricadono in zona territorialmente omogenea B2, interessata da uno studio particolareggiato – “Piano Quadro” – assimilabile ad una lottizzazione di ufficio, adottato dal Comune di (OMISSIS) in data 4.10.1977 ed approvato in data 19.6.1979 con Delib. n. 1083 del Presidente della Giunta della Regione Puglia.

Deducono che il “Piano Quadro” può certamente essere assimilato agli strumenti urbanistici di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c..

Deducono quindi che il “Piano Quadro” ha recepito tutte le norme contenute nel regolamento edilizio, comprese quelle relative ai cortili, sicchè, viepiù in virtù della convenzione siglata con la società dante causa degli attori, si applica la previsione dell’art. 12 del regolamento edilizio, che, in presenza di cortili, prescrive una distanza tra pareti finestrate non inferiore a m. 8.

Deducono infine che non sono state violate le distanze prescritte dal codice civile e che l’accoglimento della domanda risarcitoria è privo di qualsivoglia giustificazione.

10. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione, falsa applicazione ed inosservanza degli artt. 889 e 1102 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’erronea valutazione degli elementi di fatto controversi e decisivi per il giudizio.

Deducono che ha errato la corte di merito a confermare il primo dictum nella parte in cui aveva pronunciato condanna ad arretrare le tubazioni collocate a ridosso del muro di recinzione.

Deducono che, ai sensi dell’art. 1102 c.c., applicabile nel caso di specie, è legittima l’installazione di tubazioni in un cortile comune, purchè non si precluda agli altri comproprietari di fare pari uso del cortile.

11. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione, falsa applicazione ed inosservanza dell’art. 1067 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il difetto di motivazione, la motivazione apparente, il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, la motivazione perplessa ed incomprensibile; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’erronea valutazione degli elementi di fatto controversi e decisivi per il giudizio.

Deducono che ha errato la corte distrettuale a confermare il primo dictum nella parte in cui aveva rigettato la domanda riconvenzionale da essi esperita.

12. Il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento.

13. Il rilievo cui, essenzialmente, sono ancorate le plurime ragioni di censura veicolate dal primo mezzo di impugnazione così si specifica: lo spazio interposto tra l’edificio condominiale ubicato alla via (OMISSIS), all’angolo con via (OMISSIS), di (OMISSIS) e le tre distinte palazzine di proprietà degli originari convenuti è un cortile.

Trattasi ben vero di un rilievo “in fatto” volto a censurare la corrispondente valutazione “in fatto” della corte territoriale (in parte qua appieno si condivide la prospettazione di cui al controricorso: cfr. pag. 15).

Conseguentemente – di siffatto rilievo – se ne impone il vaglio, oltre che nei limiti del novello disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte. Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

14. Nella prospettiva testè delineata si rappresenta quanto segue.

Per un verso, nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia delle sezioni unite dianzi menzionata – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – si scorge in relazione alle motivazioni cui la Corte di Bari ha – in parte qua agitur – ancorato il suo dictum.

Segnatamente la corte barese ha precisato – così esplicitando compiutamente ed intellegibilmente il proprio iter argomentativo – che il consulente tecnico officiato in prime cure aveva escluso che lo spazio esistente tra lo stabile condominiale e i manufatti degli attuali ricorrenti fosse qualificabile in guisa di cortile; tanto, segnatamente, giacchè, in rapporto alle prefigurazioni di cui all’art. 12 del regolamento edilizio di (OMISSIS), “in alcuni punti la distanza degli 8 metri non risulta rispettata, sicchè si tratterebbe di una strada privata e non di un cortile” (così sentenza d’appello, pag. 5. In verità la statuizione di secondo grado dà riscontro, a pag. 3, pur dell’argomento, rilevante in parte qua, di cui alla statuizione di primo grado. Più esattamente il tribunale aveva osservato che “non ricorreva l’ipotesi richiamata dai convenuti, del “cortile comune” (…), vista la presenza del muro di confine in cemento armato dello spessore di centimetri 30 con sovrastante inferriata, che divideva lo spazio esistente tra i due fabbricati”).

Per altro verso, la corte pugliese ha innegabilmente disaminato il fatto storico caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, id est la natura di cortile o meno dello spazio de quo agitur.

15. L’ineccepibilità, la congruenza, in parte qua, della statuizione d’appello sottrae fondamento agli ulteriori conseguenti profili di censura che il primo motivo adduce.

E tuttavia non può non rimarcarsi – così come in verità la corte d’appello ha già posto in risalto – che le norme sulle distanze tra le costruzioni, integrative di quelle contenute nel codice civile, devono essere applicate indipendentemente dalla destinazione dello spazio intermedio che ne risulti; ed, ulteriormente, che le medesime norme non trovano deroga con riguardo alle prescrizioni sulle dimensioni dei cortili, le quali, siccome rivolte alla disciplina dei rapporti planovolumetrici tra le costruzioni e gli spazi liberi adiacenti, prescindendo dall’appartenenza di essi ad un unico od a più proprietari, non costituiscono norme integrative di quelle codicistiche in materia di distanze tra costruzioni (che si riferiscono alle costruzioni su fondi finitimi), sicchè non possono escludere l’applicazione delle norme specificatamente dirette alla disciplina di tali distanze (cfr. Cass. (ord.) 25.10.2011, n. 22081; Cass. 23.3.1993, n. 3414; Cass. 9.2.1989, n. 797).

Ovviamente non vi è ragione chè questa Corte si discosti dai surriferiti propri insegnamenti, neppure al cospetto dell’indicazione giurisprudenziale – della medesima Corte d’Appello di Bari, occasionata da una fattispecie asseritamente analoga a quella de qua – menzionata dai ricorrenti in memoria.

16. In ogni caso, dai surriferiti insegnamenti di legittimità discendono, nel caso di specie, i seguenti corollari.

La distanza da osservare nella fattispecie è quella – così come dà atto la corte di merito (cfr. sentenza d’appello, pag. 5) – di cui all’art. 3 del titolo II del regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS).

Contrariamente all’assunto dei ricorrenti non si applicano le norme comunali in materia di cortili.

Contrariamente all’assunto dei ricorrenti non si applicano le norme del codice civile in materia di distanze (artt. 873 e ss. c.c.).

17. In pari tempo, a fronte dell’ineccepibile e congrua valutazione “in fatto” sulla cui scorta la corte distrettuale ha disconosciuto natura di cortile allo spazio interposto tra gli edifici delle parti in lite, a nulla vale addurre che il “Piano Quadro”, asserito piano particolareggiato ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c., ha recepito pur le norme del regolamento edilizio relative ai cortili, sicchè la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate può essere derogata.

18. Comunque l’assunto secondo cui il “Piano Quadro” (adottato dal Comune di (OMISSIS) in data 4.10.1977) costituisce un piano particolareggiato ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u. c., seppur ancorato ai pretesi suoi contenuti ed alla procedura seguita ai fini della sua approvazione, non risulta sufficientemente specifico.

Tanto, in particolare, nel solco dell’insegnamento di questa Corte secondo cui la deroga, contemplata al D.M. 4 aprile 1968 n. 1444, art. 9, u.c., che consente ai Comuni di prescrivere distanze tra costruzioni inferiori a quelle previste dalla normativa statale, riguarda esclusivamente le distanze su fondi che siano inclusi in un medesimo piano particolareggiato o per costruzioni facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata (cfr. Cass. 7.11.2017, n. 26354; Cass. 14.11.2016, n. 23136).

E tanto, ben vero, pur a prescindere dalle indicazioni della giurisprudenza amministrativa di cui alla memoria dei controricorrenti.

19. Due notazioni infine si impongono.

20. In materia di distanze legali, le norme di cui all’art. 873 c.c., dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli, volte unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose, sono derogabili mediante convenzione tra privati; viceversa, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e negli strumenti urbanistici locali (è il caso di cui al presente ricorso) non tollerano deroghe convenzionali, in quanto dettate a tutela dell’interesse generale ad un prefigurato modello urbanistico (cfr. Cass. 2.3.2018, n. 5016; Cass. 31.5.2006, n. 12966).

Tanto si puntualizza con riferimento alla convenzione che i ricorrenti ebbero a siglare con la “Edil Sport Costruzioni” s.r.l., dante causa degli iniziali attori.

21. In tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, e il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento) deve ritenersi “in re ipsa”, senza necessità di una specifica attività probatoria, essendo l’effetto, certo e indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà (cfr. Cass. 31.8.2018, n. 21501; Cass. 16.12.2010, n. 25475; Cass. 7.5.2010, n. 11196).

Tanto si puntualizza con riferimento al rilievo finale veicolato dal mezzo di impugnazione in disamina (cfr. ricorso, pag. 19).

22. Il secondo motivo di ricorso del pari è destituito di fondamento.

23. Si è anticipato che la corte territoriale ha dato atto (cfr. sentenza d’appello, pag. 3) che il tribunale aveva, a sua volta, osservato che “non ricorreva l’ipotesi richiamata dai convenuti, del “cortile comune” (…), vista la presenza del muro di confine in cemento armato dello spessore di centimetri 30 con sovrastante inferriata, che divideva lo spazio esistente tra i due fabbricati”.

Ebbene siffatto rilievo non risulta dai ricorrenti censurato con il quarto motivo d’appello, con il quale avevano sottoposto “a critica la sentenza del tribunale nella parte in cui ha accolto la domanda di eliminazione delle tubazioni di gas” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Il riferimento alla possibilità di installare ai sensi dell’art. 1102 c.c., – rubricato “uso della cosa comune” – tubazioni all’interno di un cortile comune (cfr. ricorso, pag. 21) è dunque in questa sede precluso.

24. Il riferimento all’art. 1102 c.c. è in ogni caso ingiustificato.

Pur ad ipotizzare (conformemente alla presunzione di cui all’art. 880 c.c.) che il muro divisorio posto sul confine sia comune, soccorre l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale, appunto, l’art. 889 c.c., comma 2 – che stabilisce che per i tubi di acqua pura o lurida, per quelli di gas “e simili” deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine – in quanto lex specialis rispetto alle norme regolanti l’uso delle cose comuni nella comunione in generale (art. 1102 c.c.), è applicabile pure nell’ipotesi di esistenza sul confine di un muro divisorio comune, salva la derogabilità (il che non è nella fattispecie) negli edifici condominiali per incompatibilità dell’osservanza della suindicata distanza con la struttura stessa di tali edifici e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei condomini (cfr. Cass. 4.5.1983, n. 1625).

25. Ovviamente, qualora il muro divisorio posto sul confine fosse di proprietà esclusiva dei ricorrenti, nessuna menomazione ne deriverebbe per il diritto dei controricorrenti di pretendere ed ottenere il rispetto della distanza di cui al 2 co. dell’art. 889 c.c. (cfr. Cass. sez. un. 7.1.1975, n. 14, secondo cui l’obbligo di rispettare le distanze legali nella costruzione delle opere elencate nell’art. 889 c.c., sussiste anche se fra i fondi contigui esista un muro di confine e questo non sia di proprietà comune, ma appartenga esclusivamente al proprietario del fondo in cui sono state compiute le suddette opere).

26. Il terzo motivo di ricorso parimenti è destituito di fondamento.

27. Si premette che, contrariamente all’assunto dei ricorrenti, la disposizione codicistica di riferimento è da individuare nel comma 2 e non già nel comma 1 dell’art. 1067 c.c..

Invero A., D. e B.V. hanno ab origine lamentato la realizzazione di opere atte a comportare “apprezzabile riduzione della sede destinata ad esercizio della servitù di passaggio” (così ricorso, pag. 3).

Più esattamente la riduzione (così come riconoscono gli stessi ricorrenti: cfr. ricorso, pag. 22) della striscia di terreno larga m. 5,50 che la “Edil Sport Costruzioni” s.r.l., costruttrice dell’edificio condominiale, con l’atto per notar Su. del 23.2.1983, aveva riservato a sè con contestuale distacco e cessione ai confinanti B. di una striscia di terreno larga m. 2,50 ed altresì con contestuale costituzione in favore dei medesimi confinanti di servitù di passaggio sulla striscia larga m. 5,50 (cfr. sentenza d’appello, pag. 3).

28. Ebbene il riscontro della violazione del divieto prefigurato dall’art. 1067 c.c., comma 2 a carico del proprietario del fondo servente postula e si risolve in un giudizio “di fatto”.

D’altronde i ricorrenti deducono che si sarebbe imposta la verifica della specifica incidenza delle opere compiute in relazione all’esercizio della vantata servitù di passaggio (cfr. ricorso, pag. 23).

29. In siffatta prospettiva, che similmente sollecita la disamina della formulata censura nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, il dictum della Corte di Bari analogamente va esente da qualsivoglia forma di “anomalia motivazionale”.

Segnatamente la corte barese ha precisato – così del pari esplicitando in parte qua compiutamente ed intellegibilmente il proprio iter argomentativo – che si rilevava agevolmente dalle fotografie allegate alla relazione di c.t.u. che la stradina asfaltata, separante l’edificio condominiale dal muretto di recinzione delle villette degli iniziali convenuti, “nonostante la realizzazione di un marciapiede e dei balconi aggettanti al primo piano nonchè delle rampe di accesso ai box, conserva una larghezza tale da consentire agevolmente il comodo transito, oltre che pedonale, anche con mezzi meccanici” (così sentenza d’appello, pag. 8).

30. La puntualizzazione, oltre che congrua, è ineccepibile.

30.1. Questa Corte non solo spiega che il semplice fatto di una innovazione apportata al fondo servente non può essere considerato di per sè costitutivo di una limitazione della servitù se non costituisca anche un danno effettivo per il fondo dominante, in quanto l’esercizio della servitù è informato al criterio del minimo mezzo, nel senso che il titolare di essa ha il diritto di realizzare il beneficio derivantegli dal titolo o dal possesso senza appesantire l’onere del fondo servente oltre quanto sia necessario ai fini di quel beneficio (cfr. Cass. 25.6.1985, n. 3843).

Ma, in verità, aveva già in precedenza chiarito – seppur sul terreno possessorio – che le innovazioni eseguite nel fondo servente con la riduzione dello spazio disponibile per l’esercizio di una servitù di passaggio pedonale e la modificazione del relativo tracciato originario non costituiscono fatti di spoglio del possesso della servitù, quando, in concreto, non causano una diminuzione delle utilità che costituiscono il contenuto di quel diritto, non impediscono la soddisfazione di alcuna di quelle esigenze del fondo dominante che esso e destinato ad appagare e non incidono sulle modalità del suo esercizio rendendolo più difficile (cfr. Cass. 24.4.1978, n. 1930).

31. In dipendenza del rigetto del ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

32. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti, B.A., B.D. e B.V., a rimborsare ai controricorrenti, D.S., D.L., D.F.P. (eredi di D.A.) e D.M., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2020

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