Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29643 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 14/11/2019), n.29643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15374/2013 proposto da:

C.V., rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Aurelio

Gentili (C.F.: GNTRLA47L26H501Q) ed elettivamente domiciliata presso

il suo studio, in Roma alla Via Po n. 24, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)) e presso la stessa domiciliata in Roma, alla Via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 259/29/2012 emessa dalla CTR Lazio in data

07/12/2012 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del

10/09/2019 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott.

Stanislao De Matteis nel senso del rigetto del ricorso;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Nicola Raimo per delega

dell’Avv. Aurelio Gentili, per la ricorrente, e dall’Avv. Salvatore

Faraci per la resistente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.V. presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma avverso l’avviso n. (OMISSIS), con cui l’Ufficio di Albano liquidava l’imposta di registro a seguito di decadenza dai benefici spettanti per l’acquisto dell’immobile sito in Roma, alla Via degli Orti della Farnesina n. 82, eccependo l’illegittimità dell’atto impositivo.

L’Ufficio si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto delle eccezioni sollevate dalla ricorrente.

La Commissione Provinciale di Roma, con sentenza n. 39/39/11 depositata in data 27/02/2011, accoglieva il ricorso, con compensazione delle spese. In particolare, i giudici di prime cure ritenevano immotivato l’accertamento operato dall’Ufficio nella parte tecnica di determinazione della superficie del suddetto immobile.

Contro la sentenza proponeva appello l’Ufficio, concludendo per l’annullamento della sentenza di primo grado, con conseguente declaratoria di legittimità del su indicato avviso di liquidazione e con vittoria di spese processuali.

C.V. si costituiva in giudizio, chiedendo, in via incidentale, la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui riteneva irrilevante il fatto che l’immobile fosse stato acquistato da due soggetti che successivamente lo avevano diviso.

Con sentenza del 7.12.2012 la CTR Lazio accoglieva l’appello principale e rigettava quello incidentale sulla base delle seguenti considerazioni:

1) nel calcolo della superficie rilevante ai fini del D.M. 2 agosto 1969 doveva essere computato anche il soppalco e, per l’effetto, la superficie utile superava abbondantemente la soglia di 240 mq., circostanza quest’ultima che rendeva superfluo ogni ulteriore approfondimento sulle perizie prodotte dalle parti;

2) tenuto conto della normativa di riferimento, nulla escludeva la superficie “soppalco” ai fini tributari, esistendo già tale opera al momento della compravendita, aumentando automaticamente i metri quadri complessivi;

3) ad abundantiam, l’efficacia della concessione in sanatoria, rilasciata successivamente al rogito di acquisto, avvalorava la detta conclusione proprio perchè operava ex tunc;

4) non poteva trovare accoglimento l’appello incidentale, essendo irrilevante la volontà manifestata di procedere ad una divisione dell’immobile.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.V., sulla base di cinque motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1 e della sentenza Cass. Sez. Un. 1052/2007 sul principio del contraddittorio e del litisconsorzio necessario (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTP, prima, e la CTR, poi, rilevato che difettava il litisconsorte necessario Ci.Mi., quale altro acquirente dell’immobile in oggetto.

1.1. Il motivo è fondato.

Anche di recente questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 1698 del 24/01/2018) ha ribadito (in una controversia in tema di impugnazione dell’avviso di accertamento e liquidazione dell’imposta di registro, promossa dall’acquirente di un immobile nei confronti dell’amministrazione fiscale, nella quale non era stato evocato in giudizio il venditore) che, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1, l’obbligazione per il pagamento dell’imposta di registro grava sulle parti contraenti in solido, sicchè deve essere esclusa la sussistenza tra le stesse, sul piano processuale, di un litisconsorzio necessario (conf. Sez. 5, Sentenza n. 16917 del 31/07/2007, Sez. 5, Sentenza n. 14305 del 19/06/2009, Sez. 5, Sentenza n. 24063 del 16/11/2011).

Tuttavia, nella fattispecie in esame, per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’Amministrazione finanziaria, l’atto impositivo coinvolge, nell’unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, una pluralità di soggetti ed il ricorso, pur proposto da alcuni degli obbligati, ha ad oggetto non la singola posizione debitoria dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione. In applicazione di questo principio, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7840 del 27/03/2017, ha cassato le sentenze di merito che, senza previa integrazione del contraddittorio, avevano deciso le impugnazioni proposte da taluni condividenti avverso un avviso di liquidazione per maggiore imposta di registro dovuta in relazione ad un’operazione, attuata con distinti negozi, di divisione di quote sociali, attesa la valutazione unitaria compiuta dall’Ufficio e la posizione comune oggetto delle impugnazioni.

In quest’ottica, Sez. 5, Sentenza n. 22523 del 26/10/2007 (conf. Sez. 5, Sentenza n. 14378 del 15/06/2010) ha affermato che “Nel processo tributario, la nozione di litisconsorzio necessario, come regolato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, ha una dimensione eminentemente processuale, collegata all’inscindibilità dell’oggetto, e presuppone pertanto, in primo luogo, che la fattispecie costitutiva dell’obbligazione, rappresentata dall’atto autoritativo impugnato, presenti elementi comuni ad una pluralità di soggetti (e, quindi, si sia in presenza di un atto impositivo unitario, coinvolgente, nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, una pluralità di soggetti) ed, in secondo luogo, che siano proprio gli elementi comuni ad essere posti a fondamento del ricorso proposto da uno dei soggetti obbligati (nel caso di specie, tali elementi sono rappresentati, oltre che dalla decadenza del termine per l’avviso di rettifica, dalla carenza di motivazione dell’avviso stesso, avuto particolare riguardo alla edificabilità dell’area). Il litisconsorzio facoltativo, regolato dal medesimo art. 14, comma 3, ricorre quando pure si è in presenza di un atto impositivo unitario con pluralità di destinatari, ma l’impugnazione proposta da uno dei coobbligati non è fondata su elementi impositivi comuni a tutti i destinatari. E’ soltanto a quest’ultima ipotesi che si riferisce la previsione dell’art. 14, comma 6, quando dispone che chiamati o intervenuti non possono impugnare autonomamente l’atto se per essi, al momento della costituzione, è già decorso il termine di decadenza”.

In definitiva, mentre nel caso in cui sia impugnato l’avviso di liquidazione per omesso versamento dell’imposta di registro sia configurabile una responsabilità solidale e, quindi, un litisconsorzio facoltativo, nel caso in cui oggetto dell’impugnazione sia l’avviso di liquidazione in rettifica e l’impugnazione proposta da uno dei coobbligati sia fondata su elementi impositivi comuni a tutti i destinatari è configurabile un vero e proprio litisconsorzio necessario.

1.3. Tuttavia, rappresenta un principio ormai consolidato quello secondo cui, nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia prima facie infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (cfr., di recente, Sez. 2, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018).

Occorre, pertanto, analizzare i restanti motivi di censura.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, nota II bis, art. 1, della Tariffa parte prima allegata e della circolare n. 38/E del 12.8.2005 (cap. 3.4) dell’Agenzia delle Entrate (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR considerato che l’appartamento acquistato era stato successivamente diviso, avendo, per l’effetto, le unità immobiliari ricavate perso le caratteristiche “di lusso”.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, nota II bis, art. 1, della Tariffa parte prima allegata, della circolare n. 38/E del 12.8.2005 (cap. 3.4) dell’Agenzia delle Entrate e dei principi di cui agli artt. 3,47 e 53 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR ritenuto assimilabile la fattispecie in esame (caratterizzata dall’acquisto, ad opera di due soggetti, di un immobile più grande con l’intento di dividerlo in un secondo momento e di ottenere le agevolazioni come se ognuno avesse acquistato il proprio) a quella, disciplinata dalla detta circolare, dell’acquisto, da parte di un medesimo soggetto, di due diversi immobili per poi accorparli ed ottenere le agevolazioni come se ne avesse acquistato uno solo.

4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, nota II bis, art. 1, della Tariffa parte prima allegata, della circolare n. 38/E del 12.8.2005 (cap. 3.4) dell’Agenzia delle Entrate e dell’art. 12 disp. gen. c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR ritenuto applicabile in via estensiva al caso di acquisto e di successivo frazionamento la disciplina contenuta nella detta circolare con riferimento al caso di acquisto e successivo accorpamento.

4.1. I tre motivi, da trattare, siccome strettamente connessi, congiuntamente, sono infondati.

La ricorrente opera, all’evidenza, una confusione di piani, nel momento in cui invoca l’estensione della disciplina in tema di acquisto di due appartamenti contigui destinati a costituire un’unica unità abitativa, contenuta nella circolare n. 38/E del 12.8.2005, alla differente fattispecie dell’acquisto originario di un appartamento dotato delle caratteristiche di immobile “di lusso” successivamente diviso in due (o più) unità priva, ciascuna, delle dette caratteristiche.

Invero, la menzionata circolare prevede che un immobile deve possedere le qualità “non di lusso” al momento della compravendita (Sez. 5, Sentenza n. 17600 del 28/07/2010) e che, successivamente, qualora gli aventi causa acquistino appartamenti contigui destinati a costituire un’unica unità abitativa, gli stessi continuino ad usufruire della agevolazione “prima casa”, a condizione che non venga meno il requisito di “non lusso”.

In definitiva, nel caso normativamente regolamentato, la mancanza delle caratteristiche di bene “di lusso” deve riscontrarsi sia al momento del primo acquisto che a quello dell’acquisto dell’appartamento contiguo.

I rilievi che precedono risultano assorbenti, anche a voler prescindere dal rilievo dell’assenza totale di deduzioni con riferimento alla rappresentazione, all’atto dell’acquisto originario, del proposito di dividere in un secondo momento l’unitario cespite ed alla traduzione sul piano concreto di tale proposito.

4.2. Le pronunce menzionate dalla ricorrente a pagina 23 del ricorso non sono pertinenti, atteso che Sez. 1, Sentenza n. 563 del 22/01/1998, Sez. 1, Sentenza n. 5433 del 03/06/1998, Sez. 5, Sentenza n. 17580 del 10/12/2002, Sez. 5, Sentenza n. 24986 del 24/11/2006 e Sez. 5, Sentenza n. 4739 del 25/02/2008 (conf., successivamente, altresì Sez. 5, Sentenza n. 6613 del 23/03/2011) si riferiscono ad un caso di “contemporaneo” acquisto di due appartamenti (che non è di per sè ostativo alla fruizione dei benefici, purchè l’alloggio così complessivamente realizzato rientri, per la superficie, per il numero dei vani e per le altre caratteristiche specificate dalla L. n. 408 del 1949, art. 13, nella tipologia degli alloggi “non di lusso”), laddove Sez. 5, Sentenza n. 12269 del 19/05/2010 riguarda, peraltro ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), il contemporaneo utilizzo, da parte di due coniugi in regime di separazione dei beni, di più di una unità catastale come abitazione principale, anche se di proprietà non di un solo coniuge ma di ciascuno di essi (nel qual caso non costituisce ostacolo all’applicazione, per tutte, della detrazione prevista del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 8, comma 2, a condizione che il complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, assumendo rilievo, a tal fine, non il numero delle unità catastali ma la prova dell’effettiva utilizzazione come abitazione principale dell’immobile complessivamente considerato, e ferma restando la spettanza della predetta detrazione una sola volta per tutte le unità in presenza dei requisiti di legge). Dello stesso tenore è Sez. 5, Sentenza n. 25902 del 29/10/2008, la quale ha applicato il medesimo principio avuto riguardo ad un caso di contemporaneo utilizzo di più unità catastali.

L’unica apertura di questa Corte vi è stata, in relazione ad una fattispecie difforme, nel senso di riconoscere i benefici per l’acquisto della “prima casa”, previsti dal D.L. n. 12 del 1985, art. 2, conv. nella L. n. 118 del 1985, anche in caso di acquisto contemporaneo di più unità immobiliari destinate a costituire un’unica unità abitativa, purchè l’acquirente abbia proceduto alla effettiva unificazione degli immobili entro tre anni dalla data di registrazione dell’atto e l’alloggio così realizzato rientri, per superficie, numero di vani ed altre caratteristiche specificate dalla L. n. 408 del 1949, art. 13, nella tipologia degli immobili non di lusso (Sez. 6 5, Ordinanza n. 9030 del 06/04/2017).

D’altra parte, come evidenziato dalla resistente (pag. 6 controricorso), la parte acquirente (rappresentata da C.V. e da Ci.Mi.) ha già al momento della stipula dell’atto di compravendita invocato i benefici fiscali, “trattandosi di acquisto di casa di abitazione non di lusso di cui al D.M. 2 agosto 1969″.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, non è ipotizzabile alcuna disparità di trattamento, essendo le due situazioni (quella concreta in esame e quella disciplinata dalla circolare n. 38/E del 12.8.2005) giuridicamente e sostanzialmente difformi.

5. Con il quinto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1072 del 1969, art. 6, dell’art. 12 disp. gen. c.c. e degli artt. 3 e 53 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR ritenuto che, ai fini del calcolo della superficie utile, il soppalco doveva essere equiparato alle soffitte e, quindi, non avendo una idoneità alla funzione abitativa, essere escluso.

5.1. Il motivo è infondato.

In tema di agevolazioni c.d. prima casa, al fine di stabilire se un’abitazione sia di lusso e come tale esclusa da detti benefici, occorre fare riferimento alla nozione di superficie utile complessiva di cui al D.M. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, per il quale, premesso che viene in rilievo la sola utilizzabilità e non anche l’effettiva abitabilità degli ambienti, detta superficie deve essere determinata escludendo dalla estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta, quella di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8409 del 26/03/2019; Sez. 5, Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017).

Costituendo parametro idoneo l'”utilizzabilità” degli ambienti (a prescindere dalla loro effettiva abitabilità), a titolo esemplificativo, i vani, pur qualificati come cantina e soffitta ma con accesso dall’interno dell’abitazione (e, quindi, assimilabili ad un soppalco) e ad essa indissolubilmente legati, sono computabili nella superficie utile complessiva (Sez. 5, Sentenza n. 18480 del 21/09/2016). Parimenti, rientra nella superficie utile il sottotetto, trattandosi di locale non compreso nella predetta elencazione tassativa (Sez. 5, Sentenza n. 18483 del 21/09/2016).

In definitiva, ciò che assume rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – è la marcata potenzialità abitativa dello stesso (Sez. 5, Sentenza n. 25674 del 15/11/2013) e, più precisamente, l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana (Sez. 5, Sentenza n. 23591 del 20/12/2012). Ne è possibile alcuna interpretazione che ne amplii la sfera operativa, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica (Sez. 5, Sentenza n. 10807 del 28/06/2012. In quest’ottica, non è possibile aderire alla soluzione, prospettata dalla ricorrente, ermeneutica estensiva, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica e, quindi, questi non possono essere riconosciuti nelle ipotesi in cui non siano espressamente previsti (Sez. 5, Sentenza n. 22279 del 26/10/2011).

Ai fini della determinazione della superficie utile, non possono, invece, applicarsi i criteri di cui al D.M. Lavori Pubblici 10 maggio 1977, n. 801 (che definisce la superficie abitabile come “la superficie di pavimento degli alloggi misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre, di eventuali scale interne, di logge e di balconi”), richiamato dalla L. 2 febbraio 1985, n. 47 , art. 51, le cui previsioni, relative ad agevolazioni o benefici fiscali, non sono suscettibili di un’interpretazione che ne ampli la sfera applicativa (Sez. 5, Sentenza n. 861 del 17/01/2014; conf. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24469 del 01/12/2015).

La giurisprudenza di questa Corte ha altresì chiarito che, ai fini per cui è causa, non si applicano le normative edilizie o igienico-sanitarie (Cass. 12942/2013; 23591 del 2012; n. 10807 del 2012, n. 22279 del 2011; 25674/2013), in quanto gli unici locali da escludersi sono quelli espressamente indicati nella su riportata normativa (Cass. 861/2014; Cass. 24469/2015; 2016/11556).

5.2. Il D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, per quanto qui interessa, specifica che sono considerate abitazioni di lusso “le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)”.

Questa Corte, con sentenza n. 21287/13, ha condivisibilmente affermato che il D.M. menzionato va interpretato nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell’immobile indicata nell’atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo, i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine e non l’intera superficie non calpestatile. A suffragio di tale orientamento può altresì sottolinearsi come nella formula “superficie utile complessiva” contenuta nel D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, manchi l’aggettivo “netta” che, invece era presente nel testo (“superficie utile netta complessiva”) della disposizione che dettava la previgente definizione delle caratteristiche delle abitazioni di lusso (tabella allegata al D.M. 4 dicembre 1961; in questi termini, Cass. Civ., sez. VI, ordinanza 1 dicembre 2015, n. 24469).

I principi di diritto sin qui ricostruiti lumeggiano la corretta interpretazione da offrire all’art. 6 in esame: la superficie utile va considerata escludendo, dal computo metrico, solo i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine e, in particolare, includendo nella metratura i soppalchi.

Va ribadito che, al fine di individuare la superficie utile per identificare le abitazioni di lusso, è irrilevante la calpestabilità dell’area in questione, per quanto, nel caso di specie, l’altezza media del vano (mt. 2,35) deporrebbe senz’altro nel senso della sussistenza di tale caratteristica.

Può essere, pertanto, formulato il seguente principio di diritto: “Ai fini della individuazione di una abitazione di lusso, nell’ottica di escludere il beneficio cd. prima casa, la superficie utile deve essere determinata guardando alla “utilizzabilità degli ambienti” a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituendo tale requisito, il parametro idoneo ad esprimere il carattere “lussuoso” di una abitazione. Ne consegue che il concetto di superficie utile non può restrittivamente identificarsi con la sola “superficie abitabile”, dovendo il D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, essere interpretato nel senso che è “utile” tutta la superficie dell’unità immobiliare diversa dai balconi, dalle terrazze, dalle cantine, dalle soffitte, dalle scale e dal posto macchine e che nel calcolo dei 240 mq rientrano anche i soppalchi”.

6. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge. Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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