Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29641 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 14/11/2019), n.29641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4307/2013 proposto da:

Z.P., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS) (C.F.:(OMISSIS)) e

N.M., nata a (OMISSIS) il (OMISSIS) (C.F.: NTR MHL 74P64

H703B), con domicilio fiscale in Avellino, alla contrada Archi n.

22, rappresentati e difesi dall’Avv. Sergio Papa (C.F.:

PPASRG40A20A509U) ed elettivamente domiciliati in Roma, alla Via

Panama n. 79, presso lo Studio dell’Avv. Tommaso Bochicchio, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato (C.F.: (OMISSIS)) e presso la stessa domiciliata in Roma, alla

Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 335/05/2012 emessa dalla CTR Campania in data

27/06/2012 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del

10/09/2019 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott.

Stanislao De Matteis nel senso del rigetto del primo, del terzo e

del quarto motivo e della inammissibilità del secondo motivo del

ricorso;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Salvatore Faraci per la

resistente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia dell’Entrate – Direzione Provinciale di (OMISSIS) – impugnava la sentenza n. 485/05/2010 con la quale la CTP di Avellino aveva accolto il ricorso proposto da Z.P. e N.M. avverso l’avviso di liquidazione n. (OMISSIS) per imposta di registro.

L’Ufficio sosteneva che i giudici di prime cure avevano erroneamente ritenuto che al caso in esame fosse applicabile anche il D.M. 2 agosto 1969, art. 8, (dal quale si evinceva che, per potersi parlare di casa di lusso, la stessa doveva avere almeno quattro caratteristiche tra quelle di cui alla tabella allegata al decreto), senza considerare che la revoca era stata effettuata per il mancato rispetto dell’art. 6, in quanto la superficie dell’immobile era pari circa 295 mq., come attestato dal certificato rilasciato dall’Agenzia del Territorio. Chiedeva, pertanto, la riforma della sentenza con vittoria delle spese di giudizio.

Z.P. e N.M. presentavano le controdeduzioni, evidenziando che nella sentenza impugnata non vi era alcun riferimento al menzionato art. 8, in quanto essi non avevano mai fatto cenno a tale articolo per sostenere le proprie tesi. Deducevano che nel certificato rilasciato dall’Agenzia del Territorio, esibito peraltro soltanto in sede di contenzioso, era riportata l’indicazione di una misura di mq 295 senza alcuna specificazione di come la stessa fosse stata desunta. Infine, rilevavano che i primi giudici avevano escluso l’immobile dalla categoria delle abitazioni di lusso alla luce dalle sue stesse caratteristiche, atteso che si trattava di una abitazione censita alla categoria A/7.

Con sentenza del 27.6.2012 la CTR Campania accoglieva l’appello sulla

base delle seguenti considerazioni:

1) premesso che la questione verteva principalmente sulla rettifica delle imposte pagate dai ricorrenti a seguito di acquisto di abitazione principale, in quanto l’immobile aveva le caratteristiche di abitazione di lusso, avendo una superficie utile complessiva superiore a mq 240, la stima era stata effettuata dall’Agenzia del Territorio sulla base delle informazioni fornite dagli stessi contribuenti, determinando le superfici utili in mq 295;

2) tenuto conto che il D.M. 2 agosto 1969, art. 6, stabilisce che devono essere considerate abitazioni di lusso quelle che superano la superficie del mq 240, stante l’attestato dell’Agenzia del territorio sulle superfici utili, non erano giustificate le obiezioni sollevate dai ricorrenti.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso Z.P. e N.M., sulla base di quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e art. 62, comma 1, e art. 132 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per l’assoluta mancanza di motivazione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

1.1. Il motivo è infondato.

Invero, la motivazione resa dalla CTR, per quanto stringata, non può considerarsi del tutto mancante, atteso che i giudici di secondo grado, premesso che, ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, art. 6, devono essere considerate abitazioni di lusso quelle che superano la superficie di mq. 240, hanno evidenziato che, alla stregua della stima effettuata dall’Agenzia del Territorio sulla base delle informazioni fornite dagli stessi contribuenti, le superfici utili erano state determinate nella misura di mq. 295, con la conseguenza che l’immobile doveva considerarsi di lusso.

D’altra parte, anche a voler inquadrare il motivo nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella formulazione antecedente alla recente riforma applicabile ratione temporis (tenuto che la sentenza qui impugnata è stata pubblicata il 27.6.2012), la motivazione della CTR è congrua dal punto di vista logico e corretta sul piano giuridico.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la “Illegittimità della sentenza impugnata per nullità indotta dalla nullità del preordinato atto di avviso di liquidazione” (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), per non aver la CTR rilevato che il certificato dell’Agenzia del Territorio, cui l’avviso di liquidazione impugnato faceva riferimento (ai fini della determinazione della superficie utile complessiva), non era stato allegato a quest’ultimo.

2.1. Il motivo è inammissibile.

In base al disposto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, (c.d. Statuto del contribuente), gli avvisi di accertamento o liquidazione possono essere motivati per relationem con rinvio ad altri atti, purchè riportino in allegato gli atti richiamati o riproducano il loro contenuto essenziale. Tale equiparazione all’allegazione dell’atto richiamato della riproduzione del suo contenuto essenziale è conforme alla ratio perseguita dal legislatore, consistente nel porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva per consentirgli il pieno esercizio delle sue facoltà difensive. Tuttavia, i ricorrenti, in violazione del principio di autosufficienza, hanno omesso di trascrivere, almeno nei suoi passaggi maggiormente rilevanti, l’avviso di liquidazione impugnato, onde porre questa Corte nelle condizioni di verificare se effettivamente fosse stata omessa la riproduzione, nel corpo dell’avviso stesso, del contenuto essenziale del certificato dell’Agenzia del Territorio. A tal fine non può reputarsi sufficiente la riproduzione di un mero stralcio decontestualizzato della sentenza di primo grado (pag. 9 del ricorso).

Del resto, non essendovene cenno nella sentenza qui impugnata, ricorrenti avrebbero dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avessero tempestivamente sollevato la relativa questione.

Senza tralasciare che, non risultando che il “fatto” costituì un punto controverso sul quale la sentenza della CTR ebbe a pronunciare, i ricorrenti avrebbero dovuto, semmai, far valere il vizio come errore revocatorio di percezione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4).

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’applicazione erronea della disciplina di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la sentenza impugnata finito per ricollegare l’agevolazione “prima casa” al requisito oggettivo della superficie utile complessiva, anzichè a quella utile abitabile.

3.1. Il motivo è infondato.

Anche a voler prescindere dal rilievo per cui la censura non è in alcun modo rapportata alla fattispecie concreta, traducendosi nella mera contestazione di un criterio generale ed astratto, in tema di agevolazioni c.d. prima casa, al fine di stabilire se un’abitazione sia di lusso e come tale esclusa da detti benefici, occorre fare riferimento alla nozione di superficie utile complessiva di cui al D.M. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, per il quale, premesso che viene in rilievo la sola utilizzabilità e non anche l’effettiva abitabilità degli ambienti, detta superficie deve essere determinata escludendo dalla estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta, quella di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchinà (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8409 del 26/03/2019; Sez. 5, Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017).

Invero, per stabilire se un’abitazione sia di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 1, tariffa I, nota II bis, la sua superficie utile complessivamente superiore a mq. 240 – va calcolata alla stregua del D.M. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, che va determinata in quella che – dall’estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta – residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina, non potendo, invece, applicarsi i criteri di cui al D.M. Lavori Pubblici 10 maggio 1977, n. 801, richiamato dalla L. 2 febbraio 1985, n. 47, art. 51, le cui previsioni, relative ad agevolazioni o benefici fiscali, non sono suscettibili di un’interpretazione che ne ampli la sfera applicativa (Sez. 5, Sentenza n. 861 del 17/01/2014; conf. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24469 del 01/12/2015).

Costituendo parametro idoneo l'”utilizzabilità” degli ambienti (a prescindere dalla loro effettiva abitabilità), a titolo esemplificativo, i vani, pur qualificati come cantina e soffitta ma con accesso dall’interno dell’abitazione e ad essa indissolubilmente legati, sono computabili nella superficie utile complessiva (Sez. 5, Sentenza n. 18480 del 21/09/2016). In definitiva, ciò che assume rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – è la marcata potenzialità abitativa del bene (Sez. 5, Sentenza n. 25674 del 15/11/2013) e, più precisamente, l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana (Sez. 5, Sentenza n. 23591 del 20/12/2012).

4. Con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa le “modalità determinative degli estremi della consistenza immobiliare della prima casa acquistata dai ricorrenti” (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR considerato che il certificato dell’Agenzia del Territorio non forniva una specificazione della consistenza immobiliare, richiamando genericamente una contestata superficie utile di circa 295 mq., ed analizzato le obiezioni da essi sollevate.

4.1. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, lo stesso si rivela confuso in numerosi passaggi logici (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione “sulla contestualità fattuale complessiva”; le obiezioni, “che propriamente, come rigorosamente esposte e documentate, integrano gli estremi delle questioni rilevanti ed incidenti nella ricostruzione del fatto-presupposto dell’avviso”; “nel profilo consequenziale della insufficienza e della contraddittorietà della motivazione emerge dalla illegittima inclusione nel computo della superficie… di tipo urbanistico-edilizio vigenti sul territorio”).

In secondo luogo, i ricorrenti, in violazione del principio di specificità, hanno omesso di trascrivere le “obiezioni” da essi sollevate non prese in considerazione dalla CTR (al fine di valutarne la rilevanza e decisività) e, almeno nei suoi passaggi salienti, la consulenza tecnica di parte prodotta a supporto delle loro ragioni.

In terzo luogo, la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007; conf. Sez. L, Sentenza n. 9461 del 21/04/2010).

5. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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