Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29640 del 12/12/2017


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 29640 Anno 2017
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: SESTINI DANILO

SENTENZA
sul ricorso 17786-2014 proposto da:
VIOLA GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA G.G. BELLI 27, presso lo studio dell’avvocato
GIAN MICHELE GENTILE che lo rappresenta e difende
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO SPA

in persona

dell’amministratore delegato e legale rappresentante
dott.ssa MONICA MONDARDINI nonché PAOLO GIUSTOLISI e

Data pubblicazione: 12/12/2017

quali eredi di RINALDI TUFI CLAUDIO, GIULIA RINALDI
TUFI e LOREDANA GIOVANNA SCHIAFFINI, elettivamente
domiciliati in ROMA, P.ZA DEI CAPRETTARI

70,

presso

lo studio dell’avvocato VIRGINIA RIPA DI MEANA, che
li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
giusta procura a margine del

controricor3o;
– controricorrenti

avverso la sentenza n.

3283/2014

della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

15/06/2017

dal Consigliere Dott. DANILO

SESTINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per il rigetto;
udito l’Avvocato GIAN MICHELE GENTILE;
udito l’Avvocato VIRGINIA RIPA DI MEANA;
udito l’Avvocato VALERIA VACCHINI per delega;

MAURIZIO MARTINETTI

FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma accolse la domanda di risarcimento danni,
conseguenti a diffamazione a mezzo stampa, proposta da Giuseppe
Viola in relazione ad un articolo a firma del giornalista Francesco
Paolo Giustolisi pubblicato sul settimanale L’Espresso del 26.11.1996;
per l’effetto, condannò il Giustolisi, in solido col direttore responsabile

al pagamento di 100.000,00 euro, nonché il solo Giustolisi al
pagamento di 30.000,00 euro a titolo di riparazione pecuniaria ex art.
12 I. n. 47/1948.
In parziale accoglimento del gravame principale, la Corte di
Appello di Roma ha ridotto il risarcimento a 50.000,00 euro, oltre
interessi legali dalla sentenza di primo grado, e ha dichiarato non
applicabile in sede civile la sanzione di cui all’art. 12 I. n. 47/1948.
Ricorre per cassazione il Viola affidandosi a quattro motivi
illustrati da memoria; resistono, a mezzo di unico controricorso, il
Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a., il Giustolisi e, in qualità di eredi di
Claudio Rinaldi Tufi, Giulia Rinaldi Tufi e Loredana Giovanna
Schiaffini.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, il ricorrente denuncia la «violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 595 cp con riferimento al pacifico principio
di diritto (diritto vivente) relativo alla valutazione necessariamente
complessiva e globale dello scritto ritenuto diffamatorio», nonché la
«violazione dell’art. 132 n. 4 cpc, sotto il profilo della mancanza di
motivazione in ragione della sua incoerenza per manifesta illogicità».
Il Viola censura la sentenza nella parte in cui ha accolto il motivo
di appello «relativo alla misura sproporzionata della liquidazione come
effettuata dal Tribunale» ed evidenzia che, al fine di valutare l’entità e
la gravità del fatto diffamatorio, la Corte avrebbe dovuto apprezzare
l’articolo nella sua integralità, considerando le specifiche notizie
riferite al ricorrente anche alla luce del titolo e del sottotitolo (che
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Claudio Rinaldi Tufi e con l’editore Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a.,

trascrive a pagg. 1 e 5 del ricorso); assume pertanto che si era
determinato un inammissibile «travisamento» del fatto come
accertato e sanzionato dal giudicato penale, cui si era associata la
«mancanza (per manifesta “incoerenza”) della motivazione».
1.1. Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha basato la riduzione del risarcimento

specificamente all’odierno appellato, e quindi non con particolare
enfasi, il che contribuisce a ridurre notevolmente la gravità del fatto e
quindi del danno, in quanto la eco della sua diffusione è così
evidentemente limitata».
Così facendo, la Corte ha tuttavia violato il criterio -consolidato
(cfr., per tutte, Cass. n. 25157/2008 e Cass. n. 9746/2000)secondo cui la natura diffamatoria di un articolo non dev’essere
apprezzata sulla base di una lettura atomistica delle singole
espressioni, ma con riferimento all’intero contesto della
comunicazione, comprensiva di titoli e sottotitoli e di tutti gli altri
elementi che «rendono esplicito, nell’immediatezza della
rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo,
e quindi idonei, di per sé, a fuorviare e suggestionare i lettori più
frettolosi» (Cass. n. 20608/2011 cit.), dovendosi dunque riconoscere
particolare rilievo alla titolazione dell’articolo, in quanto il titolo è
«specificamente idoneo, in ragione della sua icastica perentorietà, ad
impressionare e fuorviare il lettore, ingenerando giudizi lesivi
dell’altrui reputazione» (Cass. n. 18769/2013).
Tale criterio, ancorché affermato in funzione dell’accertamento
della natura diffamatoria di una comunicazione, non può non valere
anche al fine di apprezzare la gravità dell’offesa alla reputazione ai
fini della liquidazione del danno e risulta violato laddove, come nel
caso in esame, il giudice di merito abbia mostrato di considerare
esclusivamente il contenuto della notizia relativa al singolo diffamato
(l’articolo “in senso stretto”), a prescindere
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dal

contesto

sul rilievo che la notizia era «riportata in poche righe riferite

complessivo in cui la stessa si colloca, quale delineato -innanzituttodai titoli e dai sottotitoli.
In accoglimento della censura, deve quindi disporsi che la Corte
di rinvio riesamini i profili liquidatori avendo presente il contesto
complessivo dell’articolo, alla luce dei principi sopra richiamati.
2.

Col secondo motivo (che deduce la violazione o falsa

cod. proc. civ.), premesso di avere richiesto il risarcimento con
riferimento alla “duplice componente” del pregiudizio alla reputazione
e all’immagine professionale e del pregiudizio afferente al turbamento
psichico, il ricorrente si duole che la Corte abbia sostanzialmente
omesso di valutare il secondo profilo di danno, pur nell’ambito della
valutazione globale prevista da Cass., S.U. n. 26972/2008.
2.1. Il terzo motivo denuncia la «violazione dell’art. 132 n. 4 cpc
sotto il profilo della mancanza assoluta di motivazione» in relazione al
rigetto del secondo motivo dell’appello incidentale, con cui il Viola si
era doluto della liquidazione degli interessi «dalla data della
sentenza» anziché dalla data dell’illecito.
2.2. Entrambe le censure, afferenti alla concreta quantificazione
del danno e degli accessori, restano assorbite dall’accoglimento del
primo motivo.
3. Col quarto motivo (che denuncia la violazione dell’art. 12 I. n.
47/1948 e dell’art. 132, n 4 cod. proc. civ.), il ricorrente censura la
Corte di merito per avere ritenuto che la sanzione di cui all’art. 12 I.
n. 47/1948 sia applicabile soltanto in sede penale e non anche in
quella civile e per avere conseguentemente escluso la sanzione
pecuniaria che il Tribunale aveva applicato al Giustolisi.
3.1. Al riguardo, la Corte ha richiamato Cass. n. 17395/2007,
secondo cui «la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 12 legge 47 del
1948, aggiuntiva e non sostitutiva del risarcimento del danno stesso,
presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di
diffamazione, sicché non può essere comminata alla società editrice e
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applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e la violazione dell’art. 132 n. 4

può essere irrogata nei confronti del direttore responsabile, purché la
sua responsabilità sia dichiarata per concorso doloso nel reato di
diffamazione e non per omesso controllo colposo della pubblicazione
diffamatoria».
3.2. Il motivo è fondato.
Va premesso che il precedente di legittimità richiamato dalla

statuizione adottata dalla Corte, giacché si limita a ribadire il principio
-consolidato- secondo cui la sanzione non può applicarsi all’editore e
al direttore responsabile che, senza concorrere nella diffamazione,
abbia colposamente omesso il controllo sulla pubblicazione, ma non
pone in dubbio che il giudice civile possa applicare la sanzione al
giornalista (così come era stato fatto dal primo giudice, che aveva
condannato il solo Giustolisi alla riparazione pecuniaria aggiuntiva).
Tanto premesso, deve ritenersi che, sebbene presupponga
l’accertamento di una condotta diffamatoria commessa a mezzo
stampa, non sussistano indici normativi o ragioni sistematiche per
ritenere che la riparazione pecuniaria di cui all’art. 12 I. n. 47/1948
non possa essere applicata all’esito del giudizio civile (nell’ambito del
quale si terrà conto dell’eventuale giudicato penale sulla diffamazione
o si procederà ad autonomo accertamento sulla sussistenza degli
elementi costitutivi del reato), dovendosi pertanto escludere che la
pronuncia sia riservata al giudice penale.
Va dunque superato l’opposto (isolato) orientamento espresso da
Cass. n. 2300/1965, basato sulla considerazione che l’art. 12 prevede
«una sanzione non destinata a risarcire il danno, ma a rafforzare la
repressione penale, e, in quanto tale […] inscindibilmente collegata
con la pena»; invero, la successiva giurisprudenza di legittimità non
ha mai dubitato della possibilità di disporre la riparazione pecuniaria
nell’ambito del giudizio risarcitorio civile (la stessa Cass. n.
17395/2007 si è limitata ad escludere la sanzione per l’editore,
confermandola per il resto) e non ha mancato di rimarcare che la
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sentenza è del tutto inconferente rispetto al motivo di appello e alla

riparazione «integra una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria
privata prevista per legge, che come tale può aggiungersi al
risarcimento del danno autonomamente liquidato a favore del
danneggiato» (Cass. n. 14761/2007).
4. Accolti, pertanto, il primo ed il quarto motivo e dichiarati
assorbiti il secondo e il terzo, deve disporsi la cassazione della

spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il quarto motivo, dichiarando
assorbiti il secondo e il terzo, cassa e rinvia, anche per le spese di
lite, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
Roma, 15.6.2017

sentenza, con rinvio alla Corte di merito, che provvederà anche sulle

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