Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2964 del 10/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2964 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO

PU

SENTENZA

sul ricorso 5225-2008 proposto da:
CARAVITA

DI

SIRIGNANO

ALVARO

(c.f.

CRVLVR45L03F839N); CARAVITA DI SIRIGNANO NILA (c.f.

Data pubblicazione: 10/02/2014

CRVNLI51H49H501D), e CARAVITA DI SIRIGNANO GIUSEPPE
(c.f. CRVGPP44A30F839S), e per essi il procuratore
2014
63

generale ALVARO CARAVITA DI SIRIGNANO,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PAOLO EMILIO
7, presso l’avvocato LODOLI PIETRO, che li
rappresenta e difende, giusta procura a margine del

1

-

ricorso;
– ricorrenti contro

FALLIMENTO MAMA’S GROUP S.R.L., in persona del
Curatore avv. ANTONIO RIZZO, elettivamente

l’avvocato ABBADESSA ANTONIO, che lo rappresenta e
difende, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4838/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 14/01/2014 dal Consigliere
g.

Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato LODOLI PIETRO
che si riporta;
udito,

per

il

controricorrente,

l’Avvocato

ABBADESSA ANTONIO che ha chiesto il rigetto del

domiciliato in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 44, presso

ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

2

Rilevato

che la Corte d’appello di Roma ha respinto

l’appello proposto da Alvaro, Nila e Giuseppe Caravita di
Sirignano avverso la sentenza del Tribunale di Roma con

la quale era stata, a sua volta, accolta la domanda
revocatoria proposta dalla curatela del fallimento della
e i primi condannati al

pagamento della somma di

e

società Mama’s Group srl,

15.493,71, previa

dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 67,
comma 2, lf, dei pagamenti effettuati dalla società
fallita, nell’anno anteriore alla dichiarazione di
fallimento, a titolo di canoni arretrati in relazione al
contratto di locazione, ad uso foresteria, di un immobile
posto in Grottaferrata (Rm);
che, secondo la Corte territoriale, nella specie vi
sarebbe
soggettivo

la prova della

sussistenza dell’elemento

(scientia decoctionis)

da parte dei tre

creditori;
che, infatti, pur non essendo costoro degli imprenditori
commerciali, essi si sarebbero trovati in una posizione
di conoscenza privilegiata nel rapporto con la società
debitrice, essendo locatori dell’immobile di cui la
società era conduttrice morosa e, in ragione di essa,
avevano intimato lo sfratto per il corrispondente motivo,
ottenendo la convalida dal Pretore di Frascati, circa un
anno prima dei pagamenti oggetto di azione revocatoria;
3

che, in particolare, la società fallita non solo non
aveva effettuato i pagamenti nei mesi successivi alla
data di convalida dello sfratto ma non aveva neppure
fatto richiesta – al giudice della convalida – del
termine di grazia, previsto per sanare la morosità:

“prova inequivoca (e non solo elemento indiziario)
dell’incapacità della società debitrice di far fronte con
mezzi ordinari alle proprie obbligazioni”;
che, ancor più, costituirebbe elemento dimostrativo della
consapevolezza della situazione di irreversibile
insolvenza da parte dei creditori, la scelta di “intimare
lo sfratto senza attendere un’eventuale ripresa delle
capacità economiche della società conduttrice”;
che avverso tale decisione i tre creditori hanno proposto
ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo;
che la Curatela resiste con controricorso.
Considerato che con l’unico mezzo di ricorso, articolato
in due diversi profili, i creditori censurano la sentenza
impugnata per: a) omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della sentenza, ai sensi
dell’art. 360, comma l, n. 5, c.p.c; b) erronea
interpretazione e valutazione dell’art. 67, 2 ° co., 1.f.
n. 267 del 1942, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 55 della
legge n. 392 del 1978;

4

che, i ricorrenti, hanno posto alla Corte i seguenti
quesiti di diritto: a)

se l’azione revocatoria

fallimentare, prevista dall’art. 67, comma 2, 1.f.„
postula nel terzo l’effettiva e concreta conoscenza dello
stato d’insolvenza in cui versa l’imprenditore

commerciale poi fallito e se tale effettiva conoscenza,
tenuto conto che il creditore non è operatore commerciale
ed ha rapporti marginali con il debitore, può costituire
prova ex art. 2697 c.c., in una situazione avente
caratteristiche di gravità, precisione e concordanza che
possono essere desunte dalla proposizione, da parte del
creditore locatore, della procedura d’intimazione di
sfratto per morosità e dalla mancata richiesta, da parte
del conduttore/debitore, del termine di grazia prevista
dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, anche in
presenza di contratto ad uso foresteria;

b)

se un

contratto ad uso foresteria del 12/3/1991 è o meno
soggetto alla legge n. 392/78 e se, in sede di
procedimento di convalida di sfratto, un conduttore di un
immobile destinato contrattualmente ad uso foresteria ha
diritto di richiedere il termine di grazia di cui/
all’art. 55 della legge n. 392/78;
che, secondo i ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe,
innanzitutto, errato nell’attribuire alla convalida dello
sfratto per morosità (necessaria solo per la risoluzione
del contratto di locazione e la riconsegna dell’immobile
5

locato) il valore di titolo idoneo ad ottenere il
pagamento dei canoni maturati e non corrisposti che,
invece, potrebbe darsi solo al decreto ingiuntivo, ove
richiesto per il loro pagamento, un provvedimento da loro
mai domandato;

che, infatti, i locatori avrebbero instato per la sola
restituzione del bene, peraltro senza porre in esecuzione
il titolo ottenuto per il suo rilascio, con spirito
tollerante ed attendendo, come poi avvenuto, che la
debitrice provvedesse al pagamento dei corrispettivi
maturati;
che la Corte territoriale non avrebbe valutato che
l’immobile era utilizzato solo quale foresteria, un
rapporto contrattuale marginale rispetto all’attività
imprenditoriale della conduttrice;
che, inoltre, la Corte avrebbe errato nel ritenere che la
società debitrice avrebbe potuto richiedere il termine di
grazia di cui all’art. 55 della legge n. 392/78, previsto
solo per gli immobili adibiti ad uso abitativo, facoltà
perciò preclusa per i contratti di locazione, come quello
in esame, ad uso foresteria;
che, in conclusione, i creditori, anche facendo uso della
normale diligenza, non sarebbero stati consapevoli della
situazione di irreversibile insolvenza (in ordine alla
quale difetterebbero le circostanze concrete anche
6

attraverso sintomi aventi le caratteristiche della
gravità, precisione e concordanza) della conduttrice;

***
che, preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione,
sollevata dalla controricorrente, relativa al difetto

dell’indicazione del fatto controverso in relazione al
quale si assume che la motivazione sia stata omessa o sia
contraddittoria o insufficiente, e alla mancanza di
riferibilità del secondo quesito alla fattispecie in
esame;
che l’eccezione, nei due profili censurati, è infondata
atteso che il ricorso ha chiaramente esplicitato la
motivazione che assume carente o viziata, avendola
riferita alla affermazione della conoscenza dello stato
d’insolvenza da parte dei creditori e, in relazione a
tale affermazione, ha ritenuto erroneo il ragionamento
della Corte territoriale in quanto svolto anche
attraverso l’errore in diritto circa il mancato esercizio
della facoltà di richiesta del termine di grazia
nell’ambito del procedimento di sfratto per morosità, che
si assume non spettante;

***

7

che i due profili di doglianza, tra loro strettamente
connessi, devono essere esaminati congiuntamente ed
accolti;
che, infatti, i giudici di appello hanno fondato il loro
convincimento in ordine al positivo riscontro della

scientia decoctionis da parte dei creditori in base a due
argomenti:
a) la società fallita non solo non aveva effettuato i
pagamenti nei mesi successivi alla data di convalida
dello sfratto ma non aveva neppure fatto richiesta – al
giudice della convalida – del termine di grazia, previsto
per sanare la morosità: “prova inequivoca (e non solo
elemento

indiziario)

dell’incapacità

della

società

debitrice di far fronte con mezzi ordinari alle proprie
obbligazioni”;
b) la dimostrazione della consapevolezza della situazione di
irreversibile insolvenza della società debitrice da parte
dei creditori risiederebbe nella scelta di “intimare lo
sfratto senza attendere un’eventuale ripresa delle
capacità economiche della società conduttrice”;
che il primo argomento non ha pregio e si palesa del
tutto insufficiente, se non contraddittorio, atteso che,
come sostengono i ricorrenti, trattandosi di locazione
non ad uso abitativo non poteva trovare ingresso,

8

nell’ambito della procedura di sfratto per morosità, una
richiesta di concessione del termine di grazia;
che, infatti, questa Corte ha già più volte affermato il
principio di diritto secondo cui l’art. 55, primo comma,
della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui
prevede la concessione di un termine (c.d. “termine di

grazia”) per la sanatoria, in sede giudiziale, della
morosità del conduttore nel pagamento dei canoni e degli
oneri accessori, non riguarda le locazioni di immobili
stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura
transitoria, in quanto, ai sensi dell’art. 26, primo
comma, della legge stessa, a tali locazioni non si
applica il capo I, di cui fa parte l’art. 5 e,
conseguentemente, l’art. 55, il quale è inscindibilmente
connesso con il primo (da ultima Cass. Sez. 6 – 3,
Ordinanza n. 2681 del 2012);
che, in ragione di tale principio di diritto, la mancata
richiesta da parte del conduttore non ha l’univoco
carattere che la Corte territoriale gli attribuisce,
potendo il silenzio dell’intimata società essere
interpretato come ossequio al contenuto del medesimo
dictum giurisprudenziale;
che neppure il secondo argomento è condivisibile, non
potendosi ragionevolmente affermare che la consapevolezza
della situazione di irreversibile insolvenza della
9

società debitrice da parte dei creditori risiederebbe
nella scelta di “intimare lo sfratto senza attendere
un’eventuale ripresa delle capacità economiche della
società conduttrice”;
che, infatti, tale processo logico non è affatto né

dell’appello,

varie

essendo

le

necessario né conseguenziale, come asserisce il giudice
ragioni

possibili

dell’intimazione dello sfratto al conduttore
inadempiente, a cominciare dalla necessità di evitare il
pagamento delle imposte reddituali;
che, a tale ultimo proposito, è stato affermato il
principio, in tema di imposte sui redditi, secondo cui,
in base al combinato disposto dagli artt. 23 e 34 del
d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il reddito degli
immobili locati per fini diversi da quello abitativo per i quali opera, invece, la deroga introdotta dall’art.
8 della legge 9 dicembre 1988, n. 431 – è individuato in
relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita
un contratto di locazione, con la conseguenza che anche i
canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito
tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione
del contratto o un provvedimento di convalida dello
sfratto (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 651 del 2012);
che, di conseguenza, il locatore non soddisfatto nel suo
credito,

il

quale

cerchi

di

limitare

i

danni
10

dell’inadempimento del suo conduttore (una società di
capitali) in relazione ad un contratto non avente natura
abitativa (perché tale è anche il contratto “ad uso
foresteria” che non è una locazione abitativa, né
primaria né transitoria, in quanto non è diretta a

soddisfare alcuna esigenza abitativa del conduttore,
bensì la diversa esigenza – che ne costituisce la causa di destinare l’immobile locato a temporaneo alloggio di
propri dipendenti od ospiti) munendosi del titolo
esecutivo idoneo non solo a liberare l’immobile ma anche
ad evitare di dover dichiarare all’Erario i redditi non
percepiti;
che, per le due ragioni suddette, la motivazione della
sentenza di appello, così come svolta dai giudici di
seconde cure, è insufficiente ed inidonea a sorreggere la
conclusione relativa alla affermata sussistenza della
scientia decoctionis dell’acciplens,

con la conseguenza

che l’appello, da quest’ultimo proposto (per far
escludere tale consapevolezza e rendere stabile quanto
percepito a titolo di canoni di locazione), dev’essere
nuovamente esaminato da altra sezione della stessa Corte
territoriale tenendo conto dei principi di diritto non
considerati ed affermati in questa sede, unitamente alla
liquidazione delle spese di questa fase.
PQM
11

Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia,
anche per le spese di questa fase, ad altra sezione della
Corte d’Appello di Roma.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della I

2014, dai magistrati sopra indicati.

sezione civile della Corte di cassazione, il 14 gennaio

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