Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29639 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2011, (ud. 14/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

RADIO DIMENSIONE SUONO SPA (OMISSIS) (per brevità RDS) in

persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PARAGUAY 5, presso lo

studio dell’avvocato RIZZO CLAUDIO, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato PINTO ALDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CIRRINCIONE BENEDETTA,

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 834/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

2.2.09, depositata il 04/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito per la ricorrente l’Avvocato Claudio Rizzo che si riporta agli

scritti;

udito per il controricorrente l’Avvocato Aldo Pinto che ha chiesto

l’inammissibilità del ricorso; in subordine il rigetto dello stesso;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MARIO FRESA

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla adunanza in camera di consiglio del 14 dicembre 2011 ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380-bis c.p.c.:

“Con ricorso notificato il 4 novembre 2010, la s.p.a. Radio dimensione suono chiede, con tre motivi, la cassazione della sentenza depositata il 4 novembre 2009, con la quale la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibili gli appelli principale e incidentale, proposti, rispettivamente, da P.L. e dalla società e, rigettando l’appello principale di quest’ultima, ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato in corso, dal gennaio 1997, un rapporto di lavoro subordinato tra le parti (per lo svolgimento di mansioni legate alla gestione della logistica e delle pubbliche relazioni della società) nonchè la nullità dell’atto di cessazione del rapporto posto in essere ad iniziativa della società nel dicembre 2001.

Resiste alle domande con rituale controricorso P.L..

Il procedimento è regolato dall’art. 360 c.p.c., e segg. con le modifiche e integrazioni successive, in particolare quelle apportate dalla L. 18 giugno 2009, n. 69.

A giudizio del relatore il ricorso va trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., per le ragioni illustrate nella relazione che segue.

Appare anzitutto manifestamente infondata la censura che investe il rigetto della eccezione di giudicato esterno proposta dalla società appellante, con la invocazione della sentenza n. 17803/2006 del Tribunale di Roma, la quale aveva respinto l’opposizione della medesima società avverso il decreto col quale il giudice civile le aveva ingiunto di pagare alla s.r.l. Point Break, di cui L. P. era amministratore, determinate somme non onorate per servizi resi nel dicembre 2001 e che, secondo la ricorrente, sarebbero gli stessi servizi che nel presente giudizio il P. sostiene essere stati resi nell’ambito del dedotto rapporto di lavoro subordinato.

In giudizio sarebbe infatti emerso, secondo la ricorrente, che a partire dal mese di aprile 2001 era stato stipulato tra le due società un contratto di servizio avente durata sino al 31 dicembre 2001, contratto che il P., quale amministratore della s.r.l.

Point Break aveva vittoriosamente invocato avanti al giudice civile nei primi mesi del 2002 ottenendo, con sentenza passata in giudicato, il pagamento di una fattura pretesamente insoluta, per poi promuovere, all’inizio del 2003, in relazione al medesimo rapporto, la presente azione giudiziaria, tendente all’accertamento della natura subordinata del rapporto tra lui personalmente e la Radio dimensione suono s.p.a. e della simulazione del contratto tra quest’ultima e la Point Break s.r.l..

La Corte territoriale ha infatti correttamente respinto l’eccezione in e-same, in ragione della diversità delle parti nei due giudizi, senza peraltro che la ricorrente abbia specificatamente contestato tale dato o argomentato la propria eccezione anche alla luce di esso.

Anche il secondo motivo appare manifestamente infondato.

Con esso, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. e delle norme di cui all’art. 1362 c.c. e segg.

nonchè per vizio di motivazione. Il giudice di primo grado aveva infatti qualificato la vicenda risolutoria del rapporto come scadenza di un termine, dichiarato illecitamente posto allo stesso, senza che ciò avesse costituito oggetto della domanda originaria del P.. La Corte territoriale aveva poi respinto la conseguente deduzione di ultrapetizione proposta dalla società appellante, erroneamente qualificando la disdetta di tale contratto a tempo determinato in termini di licenziamento orale al fine di ricondurlo all’originaria domanda. Ciò sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte che qualifica l’azione con la quale viene contestata la cessazione del rapporto di lavoro a termine per nullità di questo come diretta alla dichiarazione della nullità parziale del contratto e non quale impugnazione di un licenziamento.

Senonchè, la Corte d’appello, ritenendo, alla stregua della domanda, simulato il contratto tra le due società contenente un termine finale e con esso la comunicazione finale di cessazione dello stesso, ha valutato che quest’ultima dissimulasse l’espressione di una volontà risolutoria del rapporto da parte della società, manifestata attraverso l’impedimento di fatto alla prestazione, qualificato pertanto quale licenziamento orale, come tale privo di effetto, come sostenuto nel ricorso ex art. 414 c.p.c.; con ciò discostandosi dalla motivazione del giudice di primo grado, pur raggiungendo le medesime conclusioni quanto alla prosecuzione del rapporto oltre la data suddetta.

Questo essendo il significato della motivazione della sentenza impugnata sul punto, le censure enunciate nella rubrica del motivo, non sempre adeguatamente sviluppate nel corpo dello stesso (specificatamente quella di violazione dell’art. 1362 c.c. e segg.), appaiono fuori luogo rispetto ad essa.

Infine, in via gradata, la società censura col terzo motivo l’accertamento, da parte dei giudici di merito, della tardi vita delle sue allegazioni e produzioni relative all’eccezione di risoluzione del contratto di lavoro per tacito mutuo consenso, per violazione degli artt. 345, 416 e 436 c.p.c., sostenendo che dagli atti risulterebbe evidente che tali allegazioni e produzioni a sostegno dell’eccezione si riferivano a fatti conosciuti dalla società in epoca successiva al giudizio di primo grado. Inoltre la sentenza sarebbe affetta da vizio di motivazione laddove aveva ritenuto irrilevanti le suddette allegazioni ai fini del decidere.

Anche tale motivo si prospetta come palesemente infondato.

A parte infatti l’ammissibilità o non di tali deduzioni per la prima volta in appello, la Corte territoriale, con ampia motivazione, ha ritenuto che, anche nell’ottica della propria giurisprudenza in materia di risoluzione per mutuo consenso del contratto a tempo indeterminato proveniente dalla dichiarazione di nullità del termine ad esso illegittimamente apposto, le circostanze di fatto indicate dall’appellante non sarebbero comunque sufficienti a sostenere la dedotta risoluzione tacita. In proposito, i giudici di merito, analizzando una per una tali circostanze, hanno infatti valutato che la maggior parte delle stesse presentino un significato neutro rispetto all’assunto (ad es. lo svolgimento da parte del P., dopo la cessazione del rapporto, di attività stagionale quale istruttore di wind surf, di attività imprenditoriale in forma singola o associata, la promozione da parte della s.r.l. Poit Break dell’azione prima citata) e anzi alcune di esse sarebbero significative dell’opposta intenzione del P. di conservazione del rapporto di lavoro (ad es. la proposizione del tentativo obbligatorio di conciliazione preliminare al presente giudizio già nel maggio del 2002, seguito poco dopo dall’azione giudiziaria o il rifiuto di altra occupazione, interpretabile come significativa dell’affidamento nella ripresa della funzionalità del rapporto).

Tale congrua articolata motivazione viene censurata dalla ricorrente con la semplice sovrapposizione ad essa di una valutazione diversa delle medesime circostanze di fatto, a cui questa Corte viene sostanzialmente sollecitata ad aderire, in una sorta di giudizio di merito di terza istanza, inammissibile in questa sede di legittimità.

Ove il collegio condivida tali valutazioni, il ricorso si presenterebbe manifestamente infondato.

Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in camera di consiglio.

La società ha depositato una memoria, ribadendo, in particolare, la deduzione di giudicato e quella di violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe sostanzialmente confermato la decisione di primo grado che aveva pronunciato su di una domanda (nullità del termine apposto al contratto di lavoro) mai formulata dall’originario ricorrente.

Il Collegio condivide il contenuto della relazione, ribadendo anzitutto quanto affermato dal relatore sulla necessità di una identità anche formale delle parti, al fine della invocazione della formazione di un giudicato in un diverso giudizio.

Relativamente all’altra censura, il relatore ha chiarito in maniera esaustiva il significato sul punto della sentenza impugnata, nel senso che questa ha inteso accogliere la domanda di nullità del licenziamento in quanto intimato oralmente. Il fatto che non abbia mutato il dispositivo della sentenza, disponendo la reintegrazione del P. etc. è stato esplicitamente spiegato dalla Corte territoriale nel senso che essa non ha ritenuto di poterlo fare per avere respinto l’appello principale di questi.

Il ricorso va pertanto respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al P. le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali (12,50%), IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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