Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29639 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 14/11/2019), n.29639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15574/2012 proposto da:

B.A., nata a (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), residente in

(OMISSIS); C.F., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS) (C.F.:

(OMISSIS)), residente in (OMISSIS); C.E., nata a

(OMISSIS) il (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), residente in (OMISSIS);

tutti in persona del loro procuratore generale B.L., in

forza di procura 10-14/1/2002 (rep. 62062-62073) per notar

E.M. di Roma, rappresentati e difesi dall’Avv. Luigi Bugliosi

(C.F.: BGLLGU37L12H501W) e domiciliati presso quest’ultimo in Roma,

alla Via Appia Nuova n. 478, come da mandato speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)) e presso la stessa domiciliata in Roma, alla Via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 163/22/2011 emessa dalla CTR Lazio in data

04/05/2011 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del

10/9/2019 dal Consigliere Dott. Penta Andrea;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott. De

Matteis Stanislao nel senso del rigetto del primo motivo, della

inammissibilità e/o infondatezza del secondo e del sesto e della

inammissibilità del terzo, del quarto e del quinto motivo del

ricorso;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Franca Bianchi, per delega

dell’Avv. Luigi Bugliosi, per i ricorrenti, e dall’Avv. Salvatore

Faraci per la resistente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

In data 9.11.2006 C.F. ed C.E., nonchè B.A. depositavano ricorso avverso l’avviso di liquidazione ed irrogazione sanzioni col quale l’Agenzia delle Entrate – Ufficio Roma 3 – rettificava quanto dichiarato ai fini dell’imposta di registro, relativamente all’atto pubblico registrato il 4.7.2002 al n. 1V-8631 avente ad oggetto terreni edificabili siti nel Comune di Albano Laziale.

Col ricorso veniva eccepita la decadenza dell’azione di rettifica dell’Ufficio, la carenza del potere di accertamento (stante la congruità di quanto dichiarato dal contribuente), la mancata notifica di un preventivo avviso d’accertamento e l’irregolare notifica dell’atto impugnato. In particolare, veniva osservato che solo una delle particelle cedute (la n. 1710), successivamente alla data di cessione, era divenuta edificabile e che l’imponibile dichiarato era superiore a quello automatico, previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52.

Si costituiva l’Ufficio, rilevando la bontà del proprio operato e respingendo le eccezioni del contribuente. In particolare, allegava la perizia tecnica dalla quale, sugli base degli stessi presupposti indicati nel ricorso dal contribuente, emergeva l’imponibile di cui alla rettifica.

In data 14.12.2008 la CT Provinciale di Roma, con sentenza n. 72/52/09, preso atto che i termini per l’azione di accertamento erano stati prorogati con L. n. 289 del 2002, respingeva il ricorso non ritenendolo documentato, al contrario dell’atto impugnato, supportato da perizia tecnica.

In data 1.4.2010 il contribuente proponeva appello, chiedendo la riforma della sentenza per non aver, a suo dire, esaminato tutte le eccezioni sollevate in sede di ricorso, che venivano riproposte, ed i certificati del Comune di Albano allegati. In particolare, veniva posta in evidenza l’eccessività del valore stabilito dall’Ufficio che, avendo valutato Euro 70.380 i 391 mq della particella 1710 edificabile, avrebbe attribuito ai restanti terreni agricoli espropriabili un valore di Euro 94.916 del tutto irreale.

In data 12.5.2010 l’Ufficio presentava controdeduzioni, sottolineando la correttezza della sentenza impugnata, ribadendo le considerazioni avverse alle varie eccezioni del contribuente e ponendo in evidenza il riferimento alla perizia tecnica predisposta dagli uffici tecnici, in assenza di stime della controparte.

In data 18.2.2011 il contribuente depositava la sentenza della CT Provinciale n. 243/47/2010, riguardante la tassazione ai fini IRPEF della stessa operazione, nella quale veniva dato atto della natura non edificabile dei terreni in questione. Venivano altresì presentati tre certificati di destinazione urbanistica rilasciati l’1.6.2000, il 15.5.2002 ed il 14.12.2007.

Con sentenza del 4.5.2011 la CTR Lazio rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) per quanto riguardava la decadenza dell’azione di accertamento da parte dell’Ufficio, trovava applicazione la proroga dei termini ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 11, già presa in considerazione nella sentenza impugnata;

2) quanto al merito, il contribuente si era limitato a ribadire gli stessi elementi che erano noti anche all’Ufficio e che avevano indotto quest’ultimo ad elaborare la perizia sulla quale si fondava l’avviso in esame;

3) il contenuto della citata perizia dell’Agenzia del Territorio appariva ben motivata e supportata da validi elementi, mentre il contribuente non aveva formulato concrete e convincenti eccezioni che potessero metterla in dubbio;

4) per quanto riguardava l’edificabilità dell’area in esame, l’Agenzia del

Territorio aveva fatto riferimento al certificato rilasciato dal Comune di Albano in data 15.5.2002, allegato all’atto di cui trattasi ed il contribuente nulla aveva precisato circa le intenzioni non edificatorie dell’acquirente dei terreni.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso B.L., nella qualità di procuratore generale di B.A., di C.F. e di C.E., sulla base di sei motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c. contenente documentazione.

Ritenuto in diritto

1. Con il primo motivo il ricorrente, nella qualità, deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 e art. 102 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non aver la CTP, dapprima, e la CTR, poi, rilevato che il giudizio si era svolto senza la partecipazione dei litisconsorti necessari Agenzia del Territorio e C.L. e C.A. (questi ultimi due quali comproprietari dei terreni il cui atto di compravendita è stato oggetto dell’avviso di liquidazione).

1.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione.

Non è revocabile in dubbio che non andava disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Agenzia del territorio, atteso che quest’ultima, al pari dell’Ute, non assume, quale organo tecnico di cui si avvale l’amministrazione finanziaria la posizione di litisconsorte necessario nel giudizio di impugnazione dell’avviso di liquidazione (cfr., in tal senso, Sez. 5, Sentenza n. 17239 del 12/07/2013 e Sez. 5, Sentenza n. 22281 del 26/10/2011). Del resto, anche nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo in materia di ICI, promosso nei confronti del Comune, la proposizione di rilievi attinenti ai criteri di determinazione della rendita non dà luogo ad un litisconsorzio necessario con l’Agenzia del territorio e, quindi, all’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c., essendo il Comune estraneo alla determinazione della rendita, che costituisce soltanto il presupposto di fatto su cui si fonda l’atto impositivo; sussiste, invece, un mero rapporto di litisconsorzio facoltativo improprio, che presuppone una autonoma citazione dell’Agenzia da parte del ricorrente nello stesso processo in cui è citato il Comune, per una trattazione congiunta delle relative questioni, le quali rimangono tuttavia autonome (Sez. 5, Sentenza n. 10571 del 30/04/2010).

1.2. Avuto riguardo, invece, alla posizione degli altri due comproprietari, anche di recente questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 1698 del 24/01/2018) ha ribadito (in una controversia in tema di impugnazione dell’avviso di accertamento e liquidazione dell’imposta di registro, promossa dall’acquirente di un immobile nei confronti dell’amministrazione fiscale, nella quale non era stato evocato in giudizio il venditore) che, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1, l’obbligazione per il pagamento dell’imposta di registro grava sulle parti contraenti in solido, sicchè deve essere esclusa la sussistenza tra le stesse, sul piano processuale, di un litisconsorzio necessario (conf. Sez. 5, Sentenza n. 16917 del 31/07/2007, Sez. 5, Sentenza n. 14305 del 19/06/2009, Sez. 5, Sentenza n. 24063 del 16/11/2011).

Tuttavia, nella fattispecie in esame, per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’Amministrazione finanziaria, l’atto impositivo coinvolge, nell’unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, una pluralità di soggetti ed il ricorso, pur proposto da alcuni degli obbligati, ha ad oggetto non la singola posizione debitoria dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione. In applicazione di questo principio, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7840 del 27/03/2017, ha cassato le sentenze di merito che, senza previa integrazione del contraddittorio, avevano deciso le impugnazioni proposte da taluni condividenti avverso un avviso di liquidazione per maggiore imposta di registro dovuta in relazione ad un’operazione, attuata con distinti negozi, di divisione di quote sociali, attesa la valutazione unitaria compiuta dall’Ufficio e la posizione comune oggetto delle impugnazioni.

In quest’ottica, Sez. 5, Sentenza n. 22523 del 26/10/2007 (conf. Sez. 5, Sentenza n. 14378 del 15/06/2010) ha affermato che “Nel processo tributario, la nozione di litisconsorzio necessario, come regolato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, ha una dimensione eminentemente processuale, collegata all’inscindibilità dell’oggetto, e presuppone pertanto, in primo luogo, che la fattispecie costitutiva dell’obbligazione, rappresentata dall’atto autoritativo impugnato, presenti elementi comuni ad una pluralità di soggetti (e, quindi, si sia in presenza di un atto impositivo unitario, coinvolgente, nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, una pluralità di soggetti) ed, in secondo luogo, che siano proprio gli elementi comuni ad essere posti a fondamento del ricorso proposto da uno dei soggetti obbligati (nel caso di specie, tali elementi sono rappresentati, oltre che dalla decadenza del termine per l’avviso di rettifica, dalla carenza di motivazione dell’avviso stesso, avuto particolare riguardo alla edificabilità dell’area). Il litisconsorzio facoltativo, regolato dal medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 3, ricorre quando pure si è in presenza di un atto impositivo unitario con pluralità di destinatari, ma l’impugnazione proposta da uno dei coobbligati non è fondata su elementi impositivi comuni a tutti i destinatari. E’ soltanto a quest’ultima ipotesi che si riferisce la previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 6 quando dispone che chiamati o intervenuti non possono impugnare autonomamente l’atto se per essi, al momento della costituzione, è già decorso il termine di decadenza”.

In definitiva, mentre nel caso in cui sia impugnato l’avviso di liquidazione per omesso versamento dell’imposta di registro sia configurabile una responsabilità solidale e, quindi, un litisconsorzio facoltativo, nel caso in cui oggetto dell’impugnazione sia l’avviso di liquidazione in rettifica e l’impugnazione proposta da uno dei coobbligati sia fondata su elementi impositivi comuni a tutti i destinatari è configurabile un vero e proprio litisconsorzio necessario.

1.3. Tuttavia, rappresenta un principio ormai consolidato quello secondo cui, nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia prima facie infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (cfr., di recente, Sez. 2, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018).

Occorre, pertanto, analizzare i restanti motivi di censura.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e mancata applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52 e art. 76, comma 1-bis, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), l’omesso esame della eccezione di decadenza del termine per l’avviso di rettifica e la mancata motivazione su di essa (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR esaminato l’eccezione di decadenza dell’avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta per essere stato notificato oltre il termine di due anni dall’avvenuto pagamento dell’imposta proporzionale di registro.

2.1. Il motivo, anche a voler prescindere dal rilievo per cui i ricorrenti avrebbero dovuto, semmai, denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (essendosi al cospetto di un error in procedendo), è palesemente infondato, atteso che la CTR ha analizzato, sia pure in modo sintetico, la detta eccezione, confermando la decisione di primo grado, con la quale era stata rilevata la intervenuta proroga, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 11, dei termini per l’azione di accertamento.

D’altra parte, anche a voler ritenere applicabile (in base al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 1-bis) il termine biennale di decadenza (in luogo di quello triennale previsto dal medesimo articolo, comma 2), essendo stata l’imposta proporzionale di registro versata in data 4.7.2002 (cfr. pag. 11 del ricorso), l’avviso di rettifica sarebbe stato, considerando la proroga biennale, tempestivamente notificato in data 3.7.2006.

Senza tralasciare che il motivo non è stato proposto con il ricorso introduttivo in primo grado, ma solo con la memoria illustrativa del 4.12.2008 (essendo stato, invece, ab initio invocata la decorrenza del diverso termine prescrizionale).

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, in via subordinata rispetto al secondo motivo, la violazione e mancata applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, e art. 52, comma 4, e art. 2964 c.c. e l’errata applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 11 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR, prima, e la CTR, dopo, ritenuto applicabile la proroga biennale del termine di decadenza, nonostante i valori dichiarati dei terreni non fossero suscettibili di rettifica ed i fondi non fossero, al momento del rogito, edificabili.

3.1. Ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 11, comma 1, “Ai fini delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e sull’incremento di valore degli immobili, per gli atti pubblici formati, le scritture private autenticate(nel caso di specie, l’atto è dell’1.7.2002) e le scritture private registrate entro la data del 30 novembre 2002 nonchè per le denunce e le dichiarazioni presentate entro la medesima data, i valori dichiarati per i beni ovvero gli incrementi di valore assoggettabili a procedimento di valutazione sono definiti, ad istanza dei contribuenti da presentare entro il 16 aprile 2003, con l’aumento del 25 per cento, a condizione che non sia stato notificato avviso di rettifica o liquidazione della maggiore imposta alla data di entrata in vigore della presente legge.

Per gli stessi tributi, qualora l’istanza non sia stata presentata, o ai sensi del comma 3 sia priva di effetti, in deroga alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 3, i termini per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta sono prorogati di due anni.”.

In base al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, “Non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a sessanta volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a ottanta volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito, nè i valori o corrispettivi della nuda proprietà e dei diritti reali di godimento sugli immobili stessi dichiarati in misura non inferiore a quella determinata su tale base a norma degli artt. 47 e 48. (…) La disposizione del presente comma non si applica per i terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria.”.

L’applicazione del criterio di valutazione automatica degli immobili, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 4, con preclusione del potere dell’ufficio di effettuare l’accertamento in rettifica, è, tuttavia, subordinata alle condizioni costituite dalla presentazione di un’esplicita istanza del contribuente di volersi avvalere di tale criterio, dalla circostanza che l’immobile sia dotato di rendita catastale e, se si tratta di terreno, non sia edificabile, nonchè dalla espressa indicazione di un valore del bene, alla data dell’atto, non inferiore a quello desunto dai valori parametrici catastali e dai coefficienti di riferimento (Sez. 5, Sentenza n. 13320 del 11/09/2003; conf. Sez. 5, Sentenza n. 27443 del 19/11/2008). In siffatta evenienza, con il conseguente atto di liquidazione, l’Ufficio si limita ad operare sulla base dell’assegnazione della rendita da parte dell’UTE, il quale non esercita alcun potere di accertamento, ma svolge un’attività d’informazione, frutto di un semplice calcolo matematico.

I ricorrenti non hanno neppure dedotto la ricorrenza delle dette condizioni indefettibili. In particolare, i ricorrenti non hanno neppure dedotto di aver, nell’atto di trasferimento degli immobili, dichiarato di volersi avvalere del sistema automatico di valutazione, nel solo qual caso l’amministrazione finanziaria, una volta avuta la comunicazione dei relativi dati da parte dell’UTE, non ha la facoltà di scegliere tra l’esercizio del potere di accertamento o di rettifica, attribuitole dallo stesso art. 52, comma 1 e quello vincolato di liquidazione in base ai criteri normativamente predeterminati, ma è tenuta all’espletamento di tale attività di calcolo aritmetico mediante moltiplicazione della rendita catastale per il coefficiente previsto.

L’art. 52, comma 4 in precedenza riportato è, del resto, chiaro nell’escludere l’applicazione della disposizione (e, quindi, la rilevanza del criterio di valutazione automatica degli immobili ai fini dell’esclusione del potere di rettifica) ai terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria, laddove per i fondi non edificabili, permane la necessità, onde impedire la sottoposizione a rettifica, di osservare le condizioni menzionate. In quest’ottica, anche a voler considerare tempestiva la produzione documentale realizzata con la memoria del 4.9.2019 (siccome finalizzata a dimostrare l’intervenuto passaggio in giudicato sul fatto che i terreni in oggetto non fossero edificabili; cfr. Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006), la stessa si rivelerebbe di per sè insufficiente.

Senza tralasciare che da nessuna delle sentenze prodotte si evince che le stesse si riferiscano proprio ai terreni (foglio 7, p.11e nn. 1708, 1709, 1710, 1719 e 1720) oggetto di causa.

3.2. Inoltre, poichè della questione non vi è cenno nella sentenza impugnata, i ricorrenti avrebbero dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale l’avessero tempestivamente sollevata.

In ogni caso, in violazione del principio di specificità, i ricorrenti hanno omesso di trascrivere sia l’atto di appello (e, ancor prima, il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio), dal quale si sarebbe dovuto evincere l’avvenuta specifica censura sul punto della sentenza emessa dalla CTP, sia l’atto pubblico di compravendita del 1-4.7.2002, dal quale si sarebbe dovuto desumere la dichiarazione di volersi avvalere del sistema automatico di valutazione.

3.3. Peraltro, il motivo si sarebbe rivelato comunque infondato, se solo si considera che, anche qualora il contribuente abbia manifestato la volontà di avvalersi del criterio di valutazione automatica, la maggiore imposta liquidata dall’Ufficio a seguito dell’attribuzione della rendita catastale ha natura d’imposta complementare, dal momento che la sua determinazione non ha luogo sulla base di elementi desunti dall’atto o comunque indicati dalle parti, ma richiede un’attività ulteriore dell’Amministrazione, avente rilevanza non meramente interna, e produttiva di atti autonomamente impugnabili, sicchè, anche in tale ipotesi, il termine di decadenza sarebbe suscettibile di proroga biennale (cfr., sia pure con riferimento a diversa fattispecie, Sez. 5, Sentenza n. 13149 del 11/06/2014).

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e mancata applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 e art. 52, comma 2-bis e L. n. 212 del 2000, art. 7 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e l’omesso o insufficiente esame e l’omessa o insufficiente motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR ritenuto che con l’avviso di rettifica e di liquidazione fosse stato violato l’obbligo di motivazione, previsto a pena di nullità, avuto riguardo al parametro del valore venale in comune commercio degli immobili oggetto di trasferimento.

4.1. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, quanto alla censura concernente l’asserita omessa decisione sulla eccezione di nullità dell’avviso di rettifica per carenza o insufficienza di motivazione, anche a voler prescindere dal rilievo per cui i ricorrenti avrebbero dovuto, semmai, denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (essendosi in presenza di un error in procedendo), gli stessi, in violazione del principio di specificità, hanno omesso di trascrivere, almeno nei loro passaggi essenziali, il ricorso introduttivo del giudizio e, soprattutto, l’atto di appello, al fine di porre questa Corte nelle condizioni di valutare se la doglianza in esame fosse stata formulata sin dal primo grado e fosse stata tempestivamente reiterata con l’atto di gravame.

In secondo luogo, non essendovene cenno nella sentenza impugnata (nè nella indicazione delle censure formulate con il ricorso originario nè nella motivazione della sentenza qui impugnata), i ricorrenti avrebbero avuto l’onere di indicare con precisione con quale atto processuale avessero tempestivamente sollevato la relativa questione.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e mancata applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 e art. 52, comma 4, D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 34 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR debitamente considerato le risultanze del certificato di destinazione urbanistica datato 15.5.2002 allegato al rogito registrato il 4.7.2002, ritenendo immotivatamente la edificabilità dei terreni oggetto di compravendita, laddove, difettando tale vocazione, l’amministrazione finanziaria non avrebbe potuto procedere a rettifica del valore dichiarato.

5.1. Il motivo è infondato.

Premesso che la �questione relativa alla edificabilità dell’area è stata sicuramente sottoposta anche all’attenzione della CTR, tant’è che la sentenza impugnata (pag. 3) prende espressa posizione sulla stessa, facendo altresì un esplicito riferimento al certificato di destinazione urbanistica datato 15.5.2002, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, di interpretazione autentica del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’inapplicabilità del sistema di valutazione automatica previsto dal citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, è desumibile dalla qualificazione attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, anche se non ancora approvato dalla Regione ovvero in mancanza degli strumenti urbanistici attuativi, dovendosi ritenere che l’avviso del procedimento di trasformazione urbanistica sia sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, senza che assumano alcun rilievo eventuali vicende successive incidenti sulla sua edificabilità, quali la mancata approvazione o la modificazione dello strumento urbanistico, in quanto la valutazione del bene deve essere compiuta in riferimento al momento del suo trasferimento, che costituisce il fatto imponibile, avente carattere istantaneo. L’impossibilità di distinguere, ai fini dell’inibizione del potere di accertamento, tra zone già urbanizzate e zone in cui l’edificabilità è condizionata all’adozione dei piani particolareggiati o dei piani di lottizzazione non impedisce, peraltro, di tener conto, nella determinazione del valore venale dell’immobile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione (Sez. U, Sentenza n. 25505 del 30/11/2006; conf. Sez. 5, Sentenza n. 11182 del 21/05/2014).

Nel caso di specie, è incontestato, ed anzi ammesso (pagg. 23 e 25 del ricorso), che la particella n. 1710 di mq. 158 fosse inquadrata, alla stregua dei certificati di destinazione urbanistica del 15.5.2002 e del 14.12.2007, dal PRG nell’ambito della sottozona C1, con la conseguenza che la sua edificabilità era subordinata solo alla formazione dei piani particolareggiati di esecuzione di iniziativa comunale.

6. Con il sesto motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 e artt. 61 e 191 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR esaminato ed accolto la loro richiesta di CTU finalizzata all’esame dei certificati di destinazione urbanistica prodotti, dal quale sarebbe emerso che i terreni erano privi di qualsiasi astratta possibilità edificatoria.

6.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

In primo luogo, i ricorrenti, in violazione del principio di specificità, hanno omesso di trascrivere l’atto processuale o il verbale di causa con il quale avrebbero sollecitato l’espletamento della consulenza. Senza tralasciare che, trattandosi di analizzare le risultanze di documenti regolarmente acquisiti agli atti, l’organo giudicante si trovava già nella possibilità di esaminarne la portata, non occorrendo a tal fine cognizioni tecniche particolari.

In ogni caso, la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007; conf. Sez. L, Sentenza n. 9461 del 21/04/2010).

In definitiva, il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 7472 del 23/03/2017).

7. In conclusione, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 7.000,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 14 novembre 2019

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