Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29638 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 16/11/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 16/11/2018), n.29638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19401/2014 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 58,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati MARIA LUISA MIAZZI, CARLO CESTER,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CISCRA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA135 C/O LEGALITAX,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA COSENZ, rappresentata e

difesa dall’avvocato MATTEO NOTARO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 794/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/04/2014 R.G.N. 21/2011.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 794/2013, depositata il 16 aprile 2014, riuniti i procedimenti, la Corte di appello di Venezia, in riforma delle sentenze emesse dal Tribunale di Rovigo nei relativi giudizi di opposizione, ha revocato i decreti ingiuntivi, a mezzo dei quali – a seguito della sentenza del medesimo Tribunale (n. 372/2008), divenuta definitiva, che aveva dichiarato la illegittimità del termine apposto al contratto stipulato il 30/12/1999, per la durata di un anno, da B.C. e da CISCRA S.p.A. e condannato la società al risarcimento del danno subito dal lavoratore nella misura delle retribuzioni globali di fatto dall’1/1/2001 al 31/12/2003 – era stato ottenuto da quest’ultimo il pagamento delle ulteriori retribuzioni non percepite a decorrere dalla data dell’offerta della prestazione lavorativa (con lettera 3/10/2008) fino a quella del licenziamento (30/11/2010);

– che la Corte ha osservato a sostegno della propria decisione che nel dispositivo della sentenza n. 372/2008 non era contenuta alcuna pronuncia relativa alla continuità del rapporto (soltanto in motivazione era dato rilevare un’affermazione in tal senso), pur a fronte di espressa domanda formulata nel ricorso introduttivo di quel giudizio: ciò che, ad avviso della Corte, non consentiva l’integrazione del dispositivo della sentenza con la motivazione e, invece, determinava la fondatezza della eccezione di giudicato, riproposta dalla società in entrambi i gravami, posto che il Tribunale di Rovigo, con la sentenza n. 372/2008, aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di accertamento della continuità del rapporto e che tale omissione non aveva formato oggetto di impugnazione;

– che avverso detta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con unico motivo, assistito da memoria, cui ha resistito la società con controricorso;

rilevato:

che con il motivo proposto il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., art. 429 c.p.c., comma 1 e art. 430 c.p.c., per avere trascurato di considerare che, avendo accertato la illegittimità del termine apposto al contratto, il Tribunale aveva, per ciò solo, accertato anche la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la sua perdurante attualità al tempo della pronuncia, senza che fosse richiesta un’esplicita statuizione in tal senso nel dispositivo;

osservato:

che il motivo è fondato;

– che, infatti, la dichiarazione di illegittimità (ai sensi della L. n. 230 del 1962) del termine apposto ad un contratto di lavoro comporta la conversione ex lege del relativo rapporto in rapporto a tempo indeterminato, cui consegue la persistenza, dopo lo spirare del termine illegittimo, di tutte le contrapposte obbligazioni, compresa quella datoriale del pagamento delle retribuzioni, peraltro nei limiti del principio di corrispettività delle prestazioni (cfr., fra le altre, Cass. n. 12752/1998);

– che, pertanto, l’accertamento della illegittimità del termine e la dichiarazione di tale illegittimità, quale espressamente pronunciata dal Tribunale di Rovigo con la sentenza n. 372/2008 in accoglimento della domanda subordinata del lavoratore, ha comportato anche l’accertamento (se pure testualmente inespresso in dispositivo) della continuità giuridica del rapporto di lavoro, quale conseguenza univocamente necessaria, sul piano logico, oltre che giuridico, della illegittimità del termine;

– che, d’altra parte, il ricorrente ha provveduto, con lettera del 3/10/2008, ad offrire la propria prestazione, in tal modo determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro e conseguentemente il presupposto perchè potesse essergli riconosciuto il diritto alla retribuzione per il tempo successivo alla scadenza e fino all’insorgere – nella specie, con il licenziamento (per giustificato motivo oggettivo) intimatogli in data 30/11/2010 – di una causa risolutiva del rapporto (cfr. Cass. n. 12697/2001 e successive numerose conformi);

– che, sotto altro (ma connesso) profilo, ha errato la Corte di merito, là dove ha ritenuto di escludere la possibilità di un’operazione di integrazione/composizione tra dispositivo e corredo motivazionale della sentenza (n. 372/20089) del Tribunale di Rovigo, pur dando atto della presenza in motivazione del rilievo circa la perdurante sussistenza del rapporto di lavoro, posto che, anche nel rito del lavoro, tale impossibilità sussiste solo a fronte di affermazioni antagoniste e non conciliabili, ma non allorquando – come nella specie – la motivazione contenga affermazioni suscettibili di essere apprezzate non solo come non contrarie ma come esplicitazione di un essenziale corollario logico-giuridico del decisum (cfr. Cass. n. 12841/2016);

ritenuto:

che, in accoglimento del motivo proposto, l’impugnata sentenza n. 794/2013 della Corte di appello di Venezia deve conseguentemente essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Trieste, la quale, nel procedere a nuovo esame della fattispecie, si atterrà ai principi di diritto sopra richiamati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Trieste.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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