Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29637 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 14/11/2019), n.29637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 158-2013 preposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 74/2010 della COMM.TRIB.REG. di VENEZIA,

depositata il 09/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/09/2019 del Consigliere Dott.ssa RUSSO RITA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per l’inammissibilità del primo

motivo e per l’accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo;

udito per il ricorrente l’Avvocato FARACI che si riporta agli

scritti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- B.R. chiede ed ottiene un decreto ingiuntivo deducendo di essere creditrice di tale Bianchin Leonardo e allegando, quale prova scritta del vantato credito, quattro documenti. L’Ufficio del registro con un unico avviso di accertamento tassa il decreto ingiuntivo applicando l’aliquota del 3%, ai sensi dell’art. 8, lett. B) della tariffa e, sempre applicando l’aliquota del 3%, tassa anche i quattro atti allegati al ricorso qualificandoli contratti di mutuo. Avverso il predetto avviso propone ricorso la contribuente.

2) La CTP di Treviso con sentenza del 30.2.2008 annulla l’avviso di accertamento ritenendo che i quattro atti allegati al decreto ingiuntivo costituiscano soltanto atti di ricognizione di debito e non contratti di mutuo. L’Agenzia ricorre in appello; la CTR del Veneto respinge il ricorso e con sentenza pubblicata in data 9 novembre 2010 conferma la sentenza impugnata.

3) Avverso la predetta sentenza propone ricorso l’Agenzia affidandosi a quattro motivi. Non si costituisce la contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4) Con il primo motivo di ricorso si deduce la omessa e insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nella formulazione previgente alla riforma operata dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in L. 11 agosto 2012, n. 143, ratione temporis applicabile). L’Agenzia deduce che i documenti allegati al ricorso per decreto ingiuntivo sono contratti di mutuo perchè attestano un “prestito”, sono firmati da entrambe le parti e le date sono in due casi antecedenti e in altri due casi contestuali al versamento della somma. Di contro la motivazione del giudice d’appello si appalesa insufficiente perchè si limita ad affermare che i documenti in questione sono mere “dichiarazioni” rilasciate per ricevuta e che il contatto di mutuo richiede “ben altre complesse modalità contrattuali” e ciò senza pronunciarsi sulle censure proposte dalla Agenzia.

Il motivo è inammissibile. L’Agenzia omette la trascrizione dei documenti di cui contesta l’interpretazione.

E’ affermazione consolidata di questa Corte che il sindacato sulla interpretazione del contratto non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e il ricorrente ha l’onere di specificare i canoni che in concreto si assumono violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato (Cass. 5670/2019; Cass. 28319/ 2017).

Inoltre, il ricorrente, nel prospettare una erronea interpretazione delle clausole contrattuali, ha l’onere, per fare rilevare la incongruità della motivazione, di trascrivere o allegare il contratto o quantomeno quelle parti che si assumono essere state male interpretate, perchè al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura. (Cass. 5670/2019Cass. 16057/2016; 6226/2014; Cass. 1527/2003). In difetto il ricorso, come nel caso di specie, non soddisfa il requisito di specificità, imposto dall’art. 366 c.p.c. a pena di inammissibilità.

Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e in subordine la violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa allegata, artt. 9 e 3. L’Agenzia osserva che, anche a voler qualificare i suddetti atti come ricognizione di debito, ciò non può comportare la caducazione dell’intera pretesa tributaria, potendo eventualmente incidere sul quantum, posto che comunque anche gli atti di ricognizione di debito sono sottoposti a imposta di registro, eventualmente in misura minore; inoltre il decreto ingiuntivo deve comunque essere sottoposto a imposta di registro, come peraltro la parte non contesta. Ciò è stato oggetto di una specifica censura in appello sulla quale la CTR non si è pronunciata; la parte ricorrente aggiunge che anche a voler ritenere che il giudice di appello abbia respinto il motivo, si tratta di una erronea applicazione di norme di diritto. Con il terzo motivo di ricorso la parte lamenta la nullità della sentenza e comunque la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57. L’Agenzia osserva che la causa petendi agitata dalla contribuente riguardava solo la irregolare tassazione dei quattro atti allegati al ricorso monitorio e non anche il decreto ingiuntivo; ciò nonostante ha ottenuto dalla CTP la caducazione dell’intero avviso, mentre la la tassazione del decreto ingiuntivo non è stata contestata dalla contribuente ed è dovuta. Deduce che in sede di appello si è rilevato come il giudice di primo grado abbia pronunciato ultra petitum, annullando l’intero avviso, anche per la parte non contestata; a fronte di dette censure la CTR ha erroneamente ritenuto che l’Agenzia non avrebbe chiesto la conferma parziale del decreto ingiuntivo e quindi la predetta censura costituirebbe una nuova eccezione. La ricorrente lamenta l’erroneità di detto ragionamento, posto che essa aveva richiesto la conferma integrale della legittimità dell’avviso. Con il quarto motivo si lamenta la violazione art. 112 perchè la CTR rileva d’ufficio il vizio di motivazione, e ritiene la nullità dell’intero avviso di accertamento per non avere l’Ufficio indicato separatamente il quantum della imposta dovuta per il decreto ingiuntivo e per i contratti di mutuo.

I tre motivi che possono esaminarsi congiuntamente perchè connessi e sono fondati, nei limiti di cui si dirà.

In difetto di trascrizione dei documenti allegati al ricorso per decreto ingiuntivo, non è possibile verificare il dedotto errore interpretativo e se essi costituiscano “ricevute”, ovvero atti di ricognizione di debito, ovvero ancora contratti, come originariamente qualificati dall’Ufficio. E’ però dato pacifico che sulla base di quei documenti la contribuente ha ottenuto un decreto ingiuntivo di pagamento, che deve pertanto essere sottoposto a tassazione. Nel chiedere la conferma per intero dell’avviso di accertamento la Agenzia ha difeso anche la legittimità di quella parte che riguarda la tassazione del decreto ingiuntivo di pagamento. L’imposta di registro è certamente dovuta per questa parte, posto che ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37 e al medesimo D.P.R. n. 131, 1986, della tariffa allegata, art. 8, comma 1, lett. b), i decreti ingiuntivi esecutivi sono soggetti ad imposta di registro proporzionale, nella misura del 3%, salvo conguaglio in base a (eventuale) successiva sentenza passata in giudicato, indipendentemente dal rapporto sottostante (Cass. 1247/2017; Cass. 11663/2001; Cass. 17808/2017).

La stessa CTR afferma che l’imposta di registro sul solo decreto ingiuntivo è dovuta, dall’altro però conferma la sentenza impugnata di totale annullamento, ragionando su una omessa distinzione per voci del quantum, senza considerare che la contribuente non aveva censurato l’avviso sotto il profilo della mancata indicazione in voci separate dell’imposta pretesa per il decreto ingiuntivo e per i contratti e pertanto il suo potere di controllo non si estendeva a questo punto (v. Cass. 30144/2017). La CTR non ha inoltre considerato che la somma per la quale è stato emesso il decreto di pagamento è nota, e quindi l’applicazione della aliquota dovuta secondo tariffa su questa cifra determina automaticamente il quantum dell’imposta dovuta per il decreto ingiuntivo.

Ne consegue, in accoglimento dei motivi secondo, terzo e quarto la cassazione della sentenza impugnata e, dichiarato inammissibile il primo motivo, può decidersi nel merito, non essendo necessari accertamenti in fatto, sulla base di quanto sopra esposto, accogliendo parzialmente l’originario ricorso della contribuente e dichiarando legittima la tassazione proporzionale (aliquota 3%) a titolo di imposta di registro del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Treviso in favore di B.R., n. 1213/2006.

Stante la reciproca parziale soccombenza le spese dei tre gradi di giudizio si compensano interamente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo, terzo e quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie parzialmente l’originario ricorso della contribuente e dichiara legittima la tassazione proporzionale (aliquota 3%) a titolo di imposta di registro del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Treviso in favore di B.R., n. 1213/2006.

Compensa le spese del doppio grado di merito e del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, camera di consiglio, il 10 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 14 novembre 2019

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