Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29633 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 16/11/2018, (ud. 19/07/2018, dep. 16/11/2018), n.29633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26586/2015 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190 (AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE),

presso lo studio dell’avvocato ELENA NIZZA, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO SAPIA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 282/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 07/05/2015 r.g.n. 715/2014.

Fatto

RILEVATO

Che la corte d’ Appello Firenze ha respinto il gravame di G.S. avverso la sentenza del tribunale di Lucca che aveva rigettato la domanda di accertamento della nullità di quattro contratti a termine, dal 29.1.2007 sono al 1.4.2010, tutti contratti stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368, art. 2, comma 1 bis.

Che la corte di merito ha escluso la contrarietà del contratti alla direttiva n. 1999/70/CE, precisando che la reiterazione non aveva superato il limite 36 mesi e che Poste spa aveva provato il rispetto della percentuale del 15% di contingentamento, producendo prospetti, i cui dati erano stati confermati anche da testimoni escussi in primo grado e che il criterio seguito per la determinazione del di detta percentuale, con raffronto omogeneo “per teste”, era corretto, dovendosi considerare dati omogenei. Che infine era stata anche correttamente effettuata la valutazione di rischi.

Che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G. affidato a tre motivi, a cui ha resistito Poste Italiane spa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che i motivi hanno riguardato:1) la violazione dell’art. 2, comma 1 bis, in correlazione all’art. 5 della direttiva 70 1999/CEe de relativo accordo quadro,ai sensi dell’art. 360 c.pc.., comma 1, n. 3, in ordine alla successione dei contratti. In particolare ha dedotto la ricorrente che l’interpretazione accolta nella decisone gravata si poneva in contrasto con la clausola 5 della direttiva sulla prevenzione degli abusi, con il considerando numero 7 e con la clausola 8 di non regresso, non essendo idonea ed assicurare il raggiungimento degli obiettivi della direttiva, la previsione del solo termine di durata massima di 36 mesi, introdotta dalla legge 247/2007 ed inapplicabile ai contratti già stipulati che si concludessero prima dell’1.4.2009. Per la ricorrente comunque la norma era stata introdotta con la legge finanziaria 2005, iter normativo diverso da quello previsto nella L. n. 11 del 2005, artt. 8 e 9, per il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento comunitario. 2) la violazione della clausola 4 e 8.1 della direttiva 1999/70/CE, come interpretate dalla sentenza della CGUE del 12.12.2013 Carratù che aveva precisato la natura di ente pubblico di Poste Italiane spa e quindi come poteva,pertanto, applicarsi alla fattispecie del contratti a termine di Poste quanto previsto dalla clausole 8, punto 1 della direttiva secondo cui “gli stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nell’accordo quadro; 3) la violazione del citato D.Lgs. n. 368, art. 2, comma 1 bis, in relazione all’art. 2697 e del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 3, comma 3, oltre che del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito errato nel definire il concetto di organico aziendale, che dovrebbe riferirsi esclusivamente alle attività postali come definite dal D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 3, non rientrando in tale attività quella finanziaria di banco posta, oltre che determinarsi secondo le regole dettate dalla normativa sui contratti a part time quindi non con riguardo al numero dei dipendenti “per teste” senza differenziare i contratti full time e a tempo parziale.

I primi due motivi, che in quanto connessi possono essere congiuntamente trattati, sono infondati.

Le questioni di diritto poste dalla ricorrente sono state risolte dalle sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 31/05/2016 n. 11374, nella quale si è affermato il seguente principio di diritto, a cui le tutte le successive decisioni di questa corte hanno dato continuità: “Le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma 1 del medesimo D.Lgs.”.

Come anche è stato più volte rilevato che la questione di compatibilità della normativa nazionale con la clausola di non regresso di cui all’art. 8 della direttiva 1999/70, è stata dichiarata infondata dalla Corte di Giustizia (ordinanza sez. 6, 11/11/2010, n. 20, Vino c/o Poste), che ha valorizzato l’assunto che l’adozione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, perseguiva uno scopo distinto da quello dell’attuazione, nell’ordinamento nazionale, dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio, essendo finalizzata, piuttosto, a consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo scopo di garantire l’attuazione della direttiva 1997/67/CE in tema di sviluppo del mercato interno dei servizi postali, con particolare riferimento al miglioramento della qualità del servizio.

Nella stessa ordinanza il giudice Europeo ha chiarito che la clausola 5 dell’accordo quadro, la quale riguarda la prevenzione contro l’uso abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, verte unicamente sul rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione e non si applica pertanto alla conclusione di un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato; da ciò la infondatezza del dubbio di compatibilità con la clausola 5.

Che la questione di compatibilità con la stessa clausola 5 proposta in riferimento ai contratti di lavoro a termine successivi al primo, è stata egualmente esaminata nella pronunzia di questa Corte a Sezioni Unite nr. 11374/2016 sopra citata, nella quale si è affermata la conformità della normativa del D.Lg. n. 368 del 2001, art. 2 bis, in collegamento con il successivo art. 5 (come integrato dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma n. 40 e n. 43) ai principi fissati dalla clausola.

Che non contraddice tale valutazione la disciplina transitoria del suddetto art. 5, come già affermato da questo giudice di legittimità (così Cassazione n. 19998/2014) secondo cui la disposizione transitoria (L. n. 247 del 2001, art. 1, comma 43) pur prevedendo che i contratti a termine stipulati prima dell’entrata in vigore della L. n. 247 del 2007 ed in corso al 1.1.08 proseguono fino a naturale scadenza – (anche oltre i 36 mesi)- senza che operi la conversione in contratto a tempo indeterminato e che la conversione diventa operativa solo a decorrere dal 31/3/2009 (ovvero decorsi 15 mesi dall’entrata in vigore della legge, in data 1/1/08), sancisce anche che alla data del 31/3/09 si terrà conto ai fini del computo dei 36 mesi di tutti i periodi pregressi lavorati con il medesimo datore di lavoro.

Che pertanto i lavoratori con contratti a termine in corso (o conclusi) alla data dell’entrata in vigore della legge vengono tutelati, in quanto non solo è previsto il conteggio dei contratti a termine precedenti ma il periodo oltre il quale si determina la conversione è fissato al 31/3/09 ovvero anteriormente al decorso dei 36 mesi dall’entrata in vigore della legge (l’1/1/08).

Che il terzo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Ed infatti, quanto al rispetto della percentuale di contingentamento del 15%, la corte di merito ha precisato che i dati contenuti nei prospetti prodotti da Poste spa, relativi al complessivo numero dei contratti a termine rispetto al numero dei lavoratori stabili, erano stati confermati da testimoni. La G. ha genericamente dedotto in ricorso che sarebbero stati contestati detti dati nel giudizio di primo grado; tuttavia la ricorrente si è limitata solo a trascrivere una laconica frase, che ha sostenuto essere contenuta nel ricorso introduttivo, in cui si “contestano i dati della società”, senza ulteriore precisazione e senza dedurre se e come tali dati fossero stati contestati più specificatamente nel corso del giudizio di primo grado, in violazione del principio di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6.

Che quanto alle ulteriori doglianze, in tema di individuazione della tipologia di lavoratori da considerare nell’organico aziendale l’orientamento espresso da questa Corte (cfr da ultimo Cass. 2.7.2015 n. 13609, come anche Cass. n. 4637/2018) è nel senso che “.. D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1 bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la “ratio” della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del cd. “servizio universale” postale, ai sensi del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore. Ne consegue che al fine di valutare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali e percentuali (sull’organico aziendale) previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis”.

Che infine quanto al computo dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato su cui determinare la percentuale di contingentamento annuale recentemente questa corte, confermando un orientamento già espresso in tema di clausola di contingentamento con percentuale stabilita in sede di CCNL (Cass. n. 3031/2014), ha ritenuto con indirizzo al quale questo collegio ritiene di dare continuità ((cfr. Cass. n. 753/2018) che del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, nel prevedere che il numero dei lavoratori a termine non può superare il limite percentuale del 15% dell’organico aziendale, si riferisce al numero complessivo dei lavoratori assunti, in base ad un criterio quantitativo “per teste”, dovendosi escludere il computo dei contratti a tempo determinato “part-time” fino alla concorrenza dell’orario pieno, ossia secondo il criterio cd. “full time equivalent”, previsto dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 2, comma 1 bis, che ha la diversa finalità di facilitare il calcolo dell’organico in sede di recepimento della direttiva 1997/81/CE e in vista della prevedibile estensione del lavoro a tempo parziale; finalità estranea alla disciplina dei limiti di utilizzo del contratto a tempo determinato, che ha una specifica “ratio”, riconducibile in particolare alla finalità antiabusiva della direttiva 1999/70/CE.

Che il ricorso deve quindi essere respinto con condanna della ricorrente, soccombente, alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 19 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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