Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29632 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 14/11/2019), n.29632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12868-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Z.M., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA DI PIETRA

26, presso lo studio dell’avvocato DANIELA JOUVENAL, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato OSCAR PODDA, giusta

procura in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5931/2014 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 14/11/2014;

udita la relazione della causa svolta ne la pubblica udienza del

16/0/2C19 dal Consigliere Dott. LOCATELLI GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEDICINI ETTORE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato GENTILI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato GIORDANO per delega

dell’Avvocato JOUVENAL che ha chiesto l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza, anche mediante scambio di informazioni con Autorità fiscali estere (acquisizione di schede clienti comprese nella cosiddetta “lista Falciani”, trasmessa dalla Amministrazione finanziaria francese), l’Agenzia delle Entrate accertava che Z.M. deteneva, nell’anno 2005, disponibilità finanziarie presso la banca HSBC di Ginevra per l’importo di 288.853 dollari, in violazione degli obblighi di dichiarazione previsti dal D.L. n. 167 del 1990, art. 4. Pertanto l’Ufficio in data 21.12.2011 notificava alla contribuente un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2005, contestando che la somma detenuta all’estero era provento di redditi sottratti alla tassazione; inoltre, sulla presunzione del carattere fruttuoso delle attività finanziarie non dichiarate possedute all’estero (D.L. n. 167 del 1990, ex art. 6), determinava il reddito di capitale soggetto ad imposta sostitutiva prodotta dalla disponibilità estera fruttifera non dichiarata, accertando le complessive maggiori imposte dovute ed irrogando le sanzioni per infedele dichiarazione.

La contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano che lo accoglieva con sentenza n. 116 del 2013.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che lo rigettava con sentenza del 14.11.2014, riformando la decisione impugnata limitatamente alla regolazione delle spese. Il giudice di appello, ritenuta l’applicabilità in ambito tributario dell’art. 240 c.p.p., accoglieva la preliminare eccezione di inutilizzabilità dei dati risultanti dalla acquisizione della “lista Falciani”, in quanto frutto di una illecita intrusione nel sistema informatico della banca estera da parte del soggetto (dipendente della banca a nome Falciani) che ne aveva rilevato i dati, successivamente acquisiti dalla Amministrazione finanziaria francese e da questa trasmessi alla Amministrazione finanziaria italiana; in ogni caso effettuava anche un giudizio di merito, affermando che ” l’Ufficio non ha acquisito, a sostegno della ripresa a tassazione, elementi ulteriori e/o diversi volti ad accertare la fondatezza di quanto riportato nella “fiche” (scheda cliente), ovvero non risulta prodotto alcun documento emesso da un istituto bancario di diritto elvetico che comprovi la disponibilità di fondi della contribuente sul territorio elvetico”

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone due motivi di ricorso per cassazione.

Z.M. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo si deduce: “Violazione del D.L. n. 78 del 2009, art. 12 in combinato con l’art. 2697 c.c., con la Direttiva n. 77/799/CEE, con gli artt. 191 e 240 c.p.p., con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 bis, con l’art. 27 della Convenzione Italo-francese firmata il 5 ottobre 1989 e ratificata con L. n. 20 del 1992 (art. 360 c.p.c., n. 3)”, nella parte in cui ha esteso al processo tributario principi valevoli solo per il processo penale ed ha considerato inutilizzabili documenti acquisiti attraverso i canali di collaborazione previsti dal diritto comunitario e dalla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Francia.

Il motivo è fondato. Il principio della generale inutilizzabilità degli elementi di prova irritualmente acquisiti, sancito dall’art. 191 c.p.p. (l’art. 240 c.p.p. citato dal giudice di appello riguarda specificamente la inutilizzabilità dei documenti anonimi, di quelli contenenti intercettazioni illegali ovvero informazioni illegalmente raccolte), costituisce regola propria del procedimento penale e non è immediatamente trasferibile in ambito tributario, neppure facendo leva sul richiamo contenuto nel D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 70, attesa la natura sussidiaria e residuale della disposizione in oggetto, che legittima il ricorso alle norme del codice penale di rito nel solo caso in cui l’accertamento della violazione tributaria non trovi una specifica disciplina nelle disposizioni del TUIR; tale ipotesi è da escludere nel caso in esame in cui l’esercizio dei poteri istruttori ai fini fiscali è compiutamente disciplinato del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, artt. 32 e s.s. nonchè dal medesimo D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 bis con riferimento agli scambi di informazioni tra l’Amministrazione finanziaria italiana e le autorità competenti degli altri paesi dell’Unione Europea, senza possibilità di ravvisare spazi residuali di ricorso alle norme “eterologhe” del procedimento penale (In senso analogo Sez. 5 n. 959 del 17/01/2018 secondo cui, in tema di violazioni tributarie e di applicazione delle relative sanzioni, l’utilizzazione a fini fiscali di dati e documenti acquisiti dalla Guardia di finanza è subordinata al rispetto delle disposizioni dettate dalle norme tributarie – D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 52 e 63 – anche nell’ipotesi in cui la stessa operi nell’esercizio dei poteri di P.G.; l’applicazione delle norme processualpenalistiche è difatti limitata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 70 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 75 ai soli casi non espressamente disciplinati dai predetti decreti; Sez. 6 – 5 n. 13353 del 28/05/2018 sulla non vigenza, in ambito tributario, del principio di penalistico di inutilizzabilità della prove irritualmente acquisite). In via generale, osta all’applicazione nel procedimento tributario delle regole probatorie proprie e specifiche del procedimento penale, il principio della autonomia di ciascun tipo di procedimento (penale, civile e amministrativo), desumibile dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20 in materia di reati tributari e dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p., nonchè espressamente evocato dall’art. 220 disp. att. c.p.p., che limita l’obbligo di applicazione delle disposizioni del codice di procedura penale quando, nel corso di attività ispettive, emergano indizi di reato ma soltanto ai fini dell’applicazione della legge penale, mentre l’accertamento tributario prosegue con l’applicazione delle regole proprie (Sez. 5 n. 28060 del 24/11/2017).

Con specifico riguardo ai dati risultanti dalla “lista Falciani” la giurisprudenza univoca di questa Corte ha stabilito che, in tema di accertamento tributario, è legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale. Ne consegue che sono utilizzabili ai fini della pretesa fiscale, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari trasmessi dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della Direttiva 77/799/CEE del 19 dicembre 1977, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, sebbene acquisiti con modalità illecite ed in violazione del diritto alla riservatezza bancaria. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8605 del 28/04/2015, Rv. 635558 – 01; conformi Sez.6-5 n. 8606/ 2015; Sez.6-5 17183/2015; Sez.6-5 16950/2015).

2.Con il secondo motivo si deduce:” Violazione del D.L. n. 78 del 2009, art. 12 in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nella parte in cui la C.T.R. “ha omesso di considerare che anche un solo indizio può risultare già di per sè idoneo a giustificare la pretesa fiscale, essendo ferma la giurisprudenza nel ritenere che in materia tributaria è sufficiente, quale prova presuntiva, un unico indizio, preciso e grave”, e nella parte in cui ha affermato che l’Ufficio non ha acquisito elementi ulteriori o diversi volto ad accertare la fondatezza di quanto riportato nella “lista Falciani”.

Il secondo motivo è fondato nei termini di seguito indicati.

2.1. In conformità ad una precedente pronuncia, questo Collegio ritiene che la presunzione legale stabilita dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, convertito nella L. n. 102 del 2009, in vigore dal 1 luglio 2009, secondo cui gli investimenti o le attività di natura finanziaria, detenuti in Stati a fiscalità privilegiata in violazione degli obblighi di dichiarazione, si presumono costituiti con redditi sottratti alla tassazione, non ha natura procedimentale ma sostanziale, con conseguente impossibilità di attribuire alla stessa efficacia retroattiva, in mancanza di una espressa previsione in tal senso. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2662 del 02/02/2018).

2.2. La circostanza che la presunzione legale di evasione stabilita dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12 comma 2, non sia suscettibile di applicazione retroattiva agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore, non preclude all’Ufficio di provare l’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti occultamente in paesi a fiscalità privilegiata, anche sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 2 con riguardo alla rettifica del reddito delle persone fisiche), senza fare ricorso alla presunzione legale in oggetto. A tal fine occorre considerare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, civile e tributaria, in tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d’uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purchè grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi. (Sez. 1 -, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018, Rv. 650931 02); con riferimento alla materia tributaria, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di redditi maggiori di quelli dichiarati può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purchè grave e precisa. (Sez. 5 -, Ordinanza n. 30803 del 22/12/2017, Rv. 646681 – 01; con specifico riferimento alla “lista Falciani” Sez. 6 – 5, n. 3276 del 12/02/2018, secondo cui l’Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, se grave e preciso, cioè dotato di elevata valenza probabilistica (nella specie, risultanze della cd. “lista Falciani).

2.3. Nel caso in esame il giudice di merito, sulla erronea premessa della inutilizzabilità delle “schede clienti” trasmesse dall’autorità fiscale francese, ha omesso di procedere all’apprezzamento delle rilevanza probatoria presuntiva di tale documentazione, anche valutando la circostanza che il contribuente ha scientemente violato l’obbligo previsto dal D.L. n. 167 del 1990, art. 4 (previgente rispetto all’anno di imposta in contestazione) di indicare, nella propria dichiarazione dei redditi, le disponibilità finanziarie detenute all’estero, e specificamente allocate in un “paradiso fiscale”. Inoltre II giudice di appello è incorso in una

erronea applicazione di norme di diritto nella parte in cui ha imputato all’Ufficio un inadempimento probatorio per non essersi avvalso della Convenzione Italia-Svizzera ai fini di acquisire presso l’istituto di credito elvetico la documentazione attestante la disponibilità finanziaria della contribuente, senza considerare che il citato art. 27 della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Confederazione elvetica (ratificata con L. 23 dicembre 1978 n. 943) prevede lo scambio di informazioni al limitato fine di “una regolare applicazione della presente Convenzione” (per evitare le doppie imposizioni), ed in ogni caso mantiene fermo il divieto di scambiare informazioni che possono violare il segreto bancario. Ugualmente erronea è l’affermazione del giudice di appello che definisce la ” fiche” (scheda clienti della banca elvetica) “tre fogli in fotocopia anonimi quanto alla loro provenienza e alla loro sottoscrizione, e che qualsiasi software di scrittura sarebbe in grado di riprodurre”. La scheda in oggetto non è un documento anonimo trattandosi di un atto interno (scheda clienti) della banca elvetica prelevata da un dipendente di quella banca e consegnata alla autorità fiscale francese che a propria volto lo ha scambiato con l’Amministrazione finanziaria italiana; la tesi che si tratti di un documento contraffatto, artatamente costruito a tavolino, è una mera illazione introdotta d’ufficio dal giudice di merito, atteso che la stessa parte ricorrente ne ha contestato la inutilizzabilità, ma non ha mai denunciato che si tratti di un documento contraffatto ai danni della contribuente.

2.4.Hanno invece natura procedimentale e non sostanziale le disposizioni contenute nel D.L. n. 78 del 2009, art. 12, commi 2 bis e 2 ter, che prevedono, rispettivamente:a) il raddoppio dei termini di decadenza stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per la notifica degli atti di accertamento della evasione presunta di cui all’art. 12 comma 2; b) il raddoppio dei termini (di decadenza e di prescrizione) previsti dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20 per la notifica degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni comminate dal D.L. n. 167 del 1990, art. 5 in caso di violazione dell’obbligo di dichiarazione delle disponibilità finanziarie detenute all’estero. In tal caso la natura evidentemente procedimentale della disposizione che attiene esclusivamente alla maggiorazione dei termini ordinari concessi all’Ufficio per l’accertamento della violazione in oggetto e per la irrogazione delle sanzioni, rende palese che la norma, pur non essendo retroattiva, soggiace al diverso principio tempus regit actum, con la conseguenza che il raddoppio dei termini si applica a tutti gli avvisi di accertamento in questa materia notificati dopo l’entrata in vigore della norma (in senso conforme Sez.6-5 n. 30742 del 28/11/2018).

Con riferimento al citato D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2 bis, che prevede il raddoppio dei termini “per l’accertamento basato sulle presunzioni di cui al comma 2”, la disposizione deve essere interpretata nel senso che il raddoppio dei termini opera sia nel caso in cui l’Ufficio, avvalendosi della presunzione legale stabilita dalla citata norma, accerti che la disponibilità finanziaria detenuta nei “paradisi fiscali”, e non dichiarata, è provento di redditi sottratti a tassazione, sia nel caso, equivalente, in cui l’Ufficio, senza ricorrere alla presunzione in oggetto in quanto non applicabile retroattivamente, contesti comunque la medesima fattispecie di sottrazione alla tassazione di redditi esportati in paesi a fiscalità privilegiata, avvalendosi, secondo le regole probatorie ordinarie, di presunzioni semplici, qualificate dalla gravità, precisione e concordanza. Giustifica tale equiparazione la ratio della disciplina palesata dal D.L. n. 167 del 2009, art. 12, comma 1, secondo cui le norme in oggetto sono dirette a dare attuazione ad una intesa tra gli Stati aderenti all’OCSE in materia di emersione di attività economiche e finanziarie detenute in paesi a regime fiscale privilegiato, fornendo agli Uffici finanziari strumenti più efficaci (quali il raddoppio dei termini per l’accertamento) per contrastare, con o senza l’ausilio della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2, il fenomeno della allocazione nei “paradisi fiscali” delle disponibilità finanziarie formate con redditi sottratti alla tassazione nazionale.

Con riguardo all’art. 12, comma 2 ter sul raddoppio dei termini di decadenza e di prescrizione stabiliti dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20 per la notifica degli atti di irrogazione delle sanzioni previste in caso di omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, occorre osservare che il maggior lasso temporale concesso al fisco per l’applicazione delle sanzioni non contrasta con il principio generale di irretroattività della norma sanzionatoria stabilito dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 1, posto che l’applicazione “a ritroso” della sanzione, per tutto l’arco temporale consentito dal raddoppio dei termini, sconta comunque il limite della previa esistenza della norma sanzionatoria, come avviene nel caso in esame in cui la sanzione comminata dal D.L. n. 167 del 1990, art. 5 è di gran lunga antecedente alle annualità pregresse passibili di accertamento in forza del raddoppio dei termini, valevole per gli atti di contestazione ed irrogazione di sanzioni notificati dopo l’entrata in vigore della norma in oggetto (1 luglio 2009).

In accoglimento del ricorso la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, perchè proceda all’apprezzamento della rilevanza probatoria della documentazione -utilizzabile- denominata lista Falciani, e di ogni altro eventuale elemento probatorio addotto dall’Ufficio a sostegno dell’atto impositivo, facendo applicazione dei principi di diritto in precedenza indicati. Alla stessa C.T.R. è demandata la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 14 novembre 2019

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