Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29632 del 11/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 29632 Anno 2017
Presidente: SCALDAFERRI ANDREA
Relatore: FERRO MASSIMO

Data pubblicazione: 11/12/2017

ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO ARENA ALIMENTARI FRESCHI s.p.a., in persona
del cur.fall. p.t., rapp. e dif. dall’avv. Massimo Tirone, elett. dom.
presso lo studio di questi, in Roma, via Giuseppe Ferrari n.11, come
da procura a margine dell’atto
-ricorrente-

RG 2002/2017- g.est.

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Contro

ARENA ALIMENTARI FRESCHI s.p.a., in persona del I.r. p.t., rapp.
e dif. dall’avv. Lucio Francario e dall’avv. Andrea Pietrolucci, elett.
dom. presso lo studio del primo, in Roma, via Antonio Gramsci n. 34,
come da procura in calce all’atto

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE
D’APPELLO DI CAMPOBASSO
-intimato-

per la cassazione della sentenza App. Campobasso 21.12.2016,
n. 402/2016, in R.G. 433/2016;
viste le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
giorno 7 novembre 2017 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro.

FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1.

FALLIMENTO ARENA ALIMENTARI FRESCHI s.p.a. impugna la

sentenza App. Campobasso 21.12.2016, n. 402/2016, in R.G.
433/2016, con cui è stato accolto il reclamo proposto da ARENA
ALIMENTARI FRESCHI s.p.a. avverso la sentenza Trib. Campobasso
21.7.2016, n. 13/16 di declaratoria di fallimento reso su originaria
istanza del P.M. presso il predetto tribunale e con la quale si
evidenziava l’inadempimento del concordato preventivo cui la società
era stata ammessa;
2.

la corte di appello ha riconosciuto l’impossibilità di procedere

alla dichiarazione di fallimento senza un previo accertamento, secondo

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-controricorrente-

i limiti del novellato art.186 I.f., del grave inadempimento delle
obbligazioni concordatarie e una conseguente caducazione del
concordato stesso, circostanza assente;
3. con il ricorso, in due motivi la ricorrente contesta la ritenuta
necessità che la dichiarazione di fallimento possa conseguire solo a

regolare esecuzione;
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. il primo motivo, di carattere assorbente, è fondato, potendosi
ripetere, come statuito da Cass. 17703/2017, che «non sussistono
preclusioni alla dichiarazione di fallimento di società con concordato
preventivo omologato ove si faccia questione – come non è contestato
nella vicenda – dell’inadempimento di debiti già sussistenti alla data del
ricorso ex art.160-161 I. f. e però modificati con detta omologazione,
dovendosi verificare all’epoca della decisione così sollecitata i
presupposti di cui agli artt. 1 e 5 I.f.; 2. in tal caso l’azione esperita dal
creditore costituisce legittimo esercizio della propria autonoma
iniziativa ai sensi dell’art.6 l.f., non condizionata dal precetto di cui
all’art.184 l.f. e dunque a prescindere dalla risoluzione del concordato
preventivo, il cui procedimento andrebbe attivato – previamente o
concorrentemente – solo se l’istante facesse valere non il credito nella
misura ristrutturata (e dunque falcidiata) ma in quella originaria,
circostanza nemmeno dedotta o prospettata in ricorso; 3. detto
principio si evince dalla caduta, già con la riforma del 2005-2006, di
ogni automatismo tra risoluzione del concordato e fallimento,
permettendo dunque l’art.186 li. di provocare tale evento anomalo (o
anche l’annullamento) senza però imporre alcuna dichiarazione
officiosa di fallimento, ma questa scissione di prospettive non implica
ovviamente neanche una preclusione a che la dichiarazione di

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concordato risolto e previo accertamento della impossibilità della sua

fallimento si possa fondare su presupposti comuni che andranno
accertati ex novo»;
2.

anche nella vicenda molisana, infatti, la corte dà atto che il

tribunale ha “rilevato l’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal
c.p. omologato e ritenuto lo stato di insolvenza”, riconosciuto che chi

un nuovo apprezzamento dell’insolvenza cui si è esposta la società
debitrice, senza che – si aggiunge – tale possibilità sia ostacolata dalla
mancata attivazione della procedura di risoluzione o inadempimento;
si tratta di dar corso ad un principio generale che permette ai soggetti
legittimati ex artt.6 e 7 I.f. di provocare la dichiarazione di fallimento
del debitore commerciale insolvente, escludendosi che la specialità
dell’art.186 I.f., pur predicabile, abbia portata soppressiva delle prime
disposizioni e dunque sia estesa a vicende diverse dal rapporto tra
risoluzione del concordato e fallimento in consecuzione; che infatti la
‘nuova insolvenza’ esprima continuità finanziaria con la precedente è
questione di mero fatto, ciò che rileva essendo solo la circostanza
obiettiva del mancato adempimento delle obbligazioni concordatarie
fatto valere dal P.M. non per provocare la risoluzione del concordato e
la riapertura del fallimento ex artt.186-137 I.f. (dunque la reviviscenza
dei crediti secondo la misura e le connotazioni ante procedura), bensì
per ottenere (avendone questa volta legittimazione) la instaurazione di
un fallimento ex novo, nel quale le obbligazioni idonee a sostenere il
giudizio d’insolvenza (e in prospettiva il passivo concorsuale) sono
quelle riscritte (cioè falcidiate e destrutturate rispetto al rango
privilegiato) a seguito dell’omologazione oltre ad altre sopravvenute (e
solo queste nella loro integralità); e ciò deve valutare il giudice di
merito, con riguardo al momento della decisione;
3.

d’altronde, nemmeno è ipotizzabile il paventato automatismo

tra inadempimento parziale del concordato preventivo e nuova
dichiarazione d’insolvenza, nel limitato senso che al primo corrisponda
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ha agito era il P.M. locale e così in realtà integrandosi le condizioni per

un permanente rischio per il debitore concordatario di essere esposto
ad una dichiarazione di fallimento elusiva dello scrutinio dei fatti
integranti la risoluzione; il fallimento infatti è evitabile opponendo che
il concordato è in ragionevole corso di attuazione e che dunque anche
il singolo inadempimento di una o più obbligazioni concordatarie trova

meno il difetto di esigibilità; ma quando tale processo fenomenicamente inteso – è cessato, con esaurimento delle attività
aziendali ovvero dimostrata inidoneità satisfattiva delle stesse rispetto
agli obblighi del concordato ovvero, più tardi, del congegno risolutivo
o dell’annullamento, a fortiori torna possibile un giudizio sulla salute
finanziaria dell’impresa nell’ordinario contesto di cui agli artt.6-7 e 15
I.f., come avvenuto in primo grado, pienamente consentito dalla stessa
Cass. s.u. 9935/2015 (i cd. fatti sopravvenuti) ed erroneamente
censurato dalla sentenza impugnata; si può invero intendere per fatto
sopravvenuto ogni circostanza successiva all’omologazione, cioè al
limite organizzativo in cui ancora opera il raccordo di pregiudizialitàcoordinamento necessario tra concordato e istanze di fallimento (già
per Cass. s.u. 1521/2013);
4. d’altronde, omologato il concordato e scaduto il termine per la
sua risoluzione (o rigettata la relativa domanda), per un verso il
debitore continua ad essere obbligato al suo adempimento e, per altro
verso, si riapre lo scenario comune delle possibili iniziative dirette a
farne accertare l’insolvenza, con possibilità di promozione delle stesse
non solo dai creditori già concorsuali (e nella citata misura falcidiata),
ma anche dal P.M. e dallo stesso debitore, oltre che da creditori nuovi;
sul primo punto, la tesi contraria poggia sull’equivoco per cui alla
scadenza annuale di cui all’art.186 l.f. si associerebbe l’estinzione di
ogni debito concordatario, quale effetto implicito del voto ratificato
dall’omologazione da equipararsi ad una rinuncia ad ogni tutela
giudiziale del credito stesso, con ciò confondendosi risoluzione ed
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causa nella sequenza adempitiva in essere, opponendosene quanto

eventuale apertura del fallimento, con reviviscenza delle obbligazioni
anteriori, da un canto ed estinzione del credito, sia pur falcidiato,
dall’altro, da tali eventi derivando la definitiva soppressione di ogni
iniziativa ordinaria (cioè non concorsuale, questa non più ormai
ammessa) da parte dei creditori, conseguenza che appare priva di

che assegni ai creditori insoddisfatti la facoltà di promuovere azioni
esecutive ma senza poter chiedere il fallimento, che delle prime è la
naturale evoluzione concorsuale, potendosi osservare al riguardo che
in tanto da tali soggetti è mantenuta un’azione esecutiva in quanto non
è venuta meno innanzitutto la qualità di creditore;
5.

non si comprende invero la ratio, già dal lato del debitore, per

cui questi, consapevole della impossibilità di adempiere, non potrebbe
far accertare la sua strutturale impossibilità di pagare le obbligazioni
falcidiate, chiedendo per esse il fallimento in proprio, per insolvenza
attuale, piuttosto che entrare in una situazione adempitiva del tutto
discrezionale, ove gli si attribuisca la facoltà di dare corso ai pagamenti
che intenda attuare e in assenza di conseguenze per quelli che,
trascorso il citato anno, non intenda invece più attuare; il che val
quanto dire che, tramontata la possibilità di risolvere il concordato non
adempiuto, il debitore conseguirebbe una totale esdebitazione da ogni
debito concordatizio e non nei limiti di cui all’art.184 I.f.;
6.

parimenti, e dal lato dei creditori, solo pendente il concordato,

e fino alla scadenza del termine di cui all’art.186 l.f., essi mantengono
la possibilità, ove sia accertato l’inadempimento di non scarsa
importanza, di far dichiarare la risoluzione e così eventualmente instare
per il fallimento; proprio l’obbligatorietà del concordato per tutti i
creditori anteriori (ora alla pubblicazione nel registro delle imprese ex
art.184 l.f.), cioè anche ‘pretermessi’ o successivamente ‘accertati’,
costituisce in realtà la principale conseguenza della sua omologazione,
così integrando una nozione di “efficacia” che non può che riguardare
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supporto normativo; né miglior sorte può conseguire la tesi mediana

il proprio credito secondo la nuova misura definita attraverso i
meccanismi negoziali e di validazione giudiziale; tali creditori
«soggiacciono agli effetti del concordato, anche qualora il loro credito
sia accertato in data successiva e pur se non siano stati compresi
nell’elenco verificato dal commissario giudiziale e non abbiano

riportato sulla questione da Corte cost. 106/2004), sulla base di una
ricostruzione dell’istituto ancora applicabile e che integra un indubbio
monito alla considerazione di compatibilità costituzionale ivi enunciata,
secondo il valore proprio delle sentenze interpretative di rigetto (Cass.
s.u. 27986/2013, Cass. 4592/2014);
7. secondo un congegno inscindibilmente proprio del citato
giudizio, che ne è l’unico titolo, si determina pertanto – salvo il limite
esterno ex art.186 I.f. della risoluzione ovvero dell’annullamento – una
modifica irreversibile dell’originario credito, che equivale oggi, per la
maggior nettezza della formula della utilità economica di cui all’art.161
co.2 lett. e) I.f., all’obbligo per i predetti creditori di dover accettare ciò
che era stato loro promesso, e alle scadenze promesse, nell’impegno
concordatario e come validato nel decreto di omologa; ma tale
rideterminazione del credito non implica che l’inadempimento che
ciononostante si verifichi alla scadenza concordataria (o al perire della
possibilità di risoluzione o per effetto di decisione definitiva di rigetto
della risoluzione domandata) faccia venire meno per tali soggetti la
qualità di creditori, ridefinita in siffatto modo; la cit. Corte cost.
106/2004, per vicenda anteriore alla riforma del 2005 ma ad impatto
sistematico identico, ha chiarito – rigettando la questione di illegittimità
circa la pretesa impossibilità di dichiarare il fallimento a concordato non
risolto – che il giudice di merito «ferma l’obbligatorietà della falcidia
concordataria sui crediti anteriori, dovrebbe verificare se
l’inadempimento di tali crediti, da parte di soggetto qualificabile come
imprenditore commerciale, era tale da potersi definire come

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partecipato alla deliberazione sulla proposta di concordato.» (come

insolvenza, ai sensi dell’art. 5 legge fall., e trarne le conseguenze di
legge in ordine alla legittimità della sentenza dichiarativa di
fallimento.»; e a tale principio si dovrà attenere il giudice di merito;
8. il ricorso va dunque accolto, con cassazione e rinvio.
P.Q.M.

cassa e rinvia alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa
composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente
procedimento.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 novembre 2017.
il Presidente
dott. Andrea Scaldaferri

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo,

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