Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29630 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 16/11/2018, (ud. 05/07/2018, dep. 16/11/2018), n.29630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LEONE M. M. – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14866/2017 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, presso l’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE

ITALIANE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSSANA CLAVELLI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 61, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO DRISALDI,

rappresentata e difesa dall’avvocato BENEDETTO GUGLIELMO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5488/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/12/2016 R.G.N. 386/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANNAMARIA URSINO per delega verbale Avvocato ROSSANA

CLAVELLI;

udito l’Avvocato BENEDETTO GUGLIELMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1)Con sentenza n. 3704 del 2012 la corte d’Appello di Roma dichiarava l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da P.E. con Poste Italiane nel (OMISSIS), condannando la società alla riammissione in servizio della lavoratrice presso l’originaria sede di lavoro nel comune di (OMISSIS) a far data dall'(OMISSIS).

2)Con nota del 15.5.2012 Poste Italiane, riassunta formalmente in servizio la lavoratrice, ne aveva disposto il trasferimento a (OMISSIS).

3)La P. impugnava il trasferimento dinanzi al tribunale di Latina che ha respinto la domanda diretta a far accertare l’illegittimità del trasferimento, ritenendo che la documentazione prodotta dalla società, i tabulati allegati agli atti, attestavano che al momento della riammissione in servizio, non vi erano posti disponibili nella sede di Latina, in base all’accordo quadro del 29.7.2004 che sanciva vincoli procedurali e contrattuali per quanto atteneva alla nozione di eccedentarietà.

4)La corte d’appello di Roma con sentenza 5488 del 2016, in questa sede impugnata, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Latina, preliminarmente disattendendo l’eccezione di decadenza L. n. 132 del 2010, ex art. 32, ritenendo tempestivamente azionata l’impugnativa del trasferimento, nonchè respingendo anche l’eccezione di “acquiescenza al trasferimento”, ed ha accertato l’illegittimità di tale provvedimento datoriale, ritenendo che la società non avesse fornito la prova che le incombeva delle ragioni idonee a sorreggere il trasferimento, non ritenendo che fosse sufficiente la produzione di un tabulato che riporta un elenco dei comuni, asseritamente privi di posti disponibili, quindi “eccedentario” in base all’accordo sindacale del 29.7.2004.

5)Per la corte tale elenco non costituiva di per sè prova dell’eccedentarietà in difetto di altri dati documentali o forniti attraverso deposizioni testimoniali, che confermassero tale situazione, anche fornendo informazioni sul comune di precedente adibizione e sugli altri comuni inseriti nell’elenco, circa il numero di posti in organico del personale impiegato e la relativa percentuale di copertura, tali da poter consentire al lavoratore di conoscere al reale ed effettiva sussistenza delle ragioni addotte.

6)Per la corte distrettuale neanche poteva considerarsi sufficiente, per assolvere l’onere di prova in giudizio da parte di Poste spa, l’invio dell’elenco alle OOSS, pure previsto dall’Accordo e pertanto andava accertata l’illegittimità del trasferimento, con rigetto invece delle ulteriori domande formulate dalla P..

7)Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Poste Italiana spa affidato a quattro motivi, a cui ha resistito la P. con controricorso, entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8) Con il primo motivo di ricorso Poste spa deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 CCNL 2001, punti 6^ e 7^, in relazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per acquiescenza, non avendo la lavoratrice richiesto, nel termine di 5 giorni dalla comunicazione del trasferimento, ai sensi dell’art. 38 ccnl, il riesame delle ragioni dello stesso, in base a quanto previsto da tale norma secondo cui, qualora il lavoratore richieda alla società di riesaminare le ragioni del trasferimento, l’incontro tra le parti, deve tenersi entro 5 giorni dalla data della comunicazione del provvedimento. Secondo la società il rispetto di tale termine deve essere ritenuto riferibile anche alla proposizione della contestazione, che costituisce il necessario presupposto per l’eventuale successivo incontro del lavoratore con il responsabile aziendale.

9) Il motivo è infondato. L’impugnativa del trasferimento è stata effettuata nel rispetto dei termini di decadenza di cui alla L. n. 182 del 2010, art. 32, avendo la corte territoriale espressamente rilevato che tale provvedimento, comunicato alla P. il 15.5.2012, era stato da lei stragiudizialmente impugnato con la nota in data 21 5.2012. Tale atto risulta certamente idoneo, in presenza di una libertà di forma dell’ impugnazione, a rendere edotta la società della intenzione di contestare la legittimità del trasferimento poi impugnato giudizialmente con il ricorso depositato il 2.10.2012. Non rileva peraltro la disciplina contrattuale prevista dall’art. 38 CCNL, richiamata in questa sede dalla ricorrente società, che si riferisce esclusivamente ad una procedura interna di incontro tra le parti, entro il breve termine di cinque giorni dalla richiesta del lavoratore, che ha esclusiva finalità di consentire un riesame del provvedimento di trasferimento, senza che sia prevista alcuna conseguenza, nell’ipotesi in cui detto incontro non si realizzi, non solo in termini di decadenza dall’impugnativa giudiziaria del trasferimento, ma anche di inammissibilità del ricorso per acquiescenza della lavoratrice a tale decisione aziendale.

10) Con il secondo motivo si deduce la violazione e /o falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la lavoratrice fornito la prova dell’esistenza di posti disponibili presso l’ufficio postale di precedente adibizione di (OMISSIS) e comunque nella provincia di latina.

11) Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Nel caso di specie si è in presenza di un provvedimento datoriale di trasferimento ai sensi dell’art. 2103 c.c., adottato dalla società in ragione della sostenuta non più vacante posizione di lavoro, ricoperta dalla lavoratrice presso l’ufficio a cui era stata adibita in precedenza. Come infatti già precisato da questa corte (cfr. Cass. 11927/2013 e Cass. n. 19095/2013) l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive. Pertanto nessun onere di deduzione e prova può addossarsi alla P., nei termini indicati dalla ricorrente, ossia di indicare i posti vacanti presso l’ufficio di provenienza o addirittura negli uffici rientranti nei comuni limitrofi.

12) con il terzo motivo di gravame si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte territoriale errato nel ritenere che la società non aveva fornito la prova della situazione di eccedentarietà del personale di recapito presso la provincia di Latina, desumibile, adire della società, dalle schede della procedura web di prenotazione e dalla stampata di file con l’elenco dei comuni laziali che non presentavano esigenze di carattere strutturale per la copertura delle zone di recapito, che comprovavano la non disponibilità dei posti di recapito dal (OMISSIS), oltre che dalla dichiarazione della responsabile delle risorse umane del centro Italia, attestante che alla data del (OMISSIS), (OMISSIS) rientrava nelle sedi ancora disponibili. Che tale individuazione era stata attuata sulla base delle previsioni dell’accordo sindacale del 29.7.2004, pure trascritto e che pertanto la sentenza impugnata aveva violato gli artt. 115 e 116 c.p.c., nel non attribuire rilievo alla documentazione prodotta.

13) con il quarto motivo la ricorrente lamenta sempre la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma l, n. 3, per non avere ammesso la corte di merito la prova testimoniale richiesta dalla società al fine di provare la situazione di eccedentarietà, non considerando che i capitoli di prova formulati sin dal primo grado erano decisivi, perchè diretti a dimostrare proprio tale situazione presso il comune di (OMISSIS).

14) Neanche il terzo e quarto motivo, che essendo connessi possono esaminarsi congiuntamente, meritano accoglimento.

La corte territoriale ha ritenuto che la documentazione prodotta dalla società non fosse idonea per dimostrare la c.d. eccedentarietà dei comuni nei quali, in base all’accordo sindacale del 29 luglio 2004, la P. avrebbe dovuto essere ricollocata una volta ripristinato il rapporto di lavoro, perchè da tale documentazione non si ricavava alcuna prova obiettiva dell’assenza di posti vacanti in tali comuni, in mancanza di altri dati, documentali o fornibili con testimonianze, che confermassero tale circostanza. Ha poi aggiunto la corte che neanche le prove testimoniali offerte da Poste spa erano sufficienti per supplire tale mancanza, essendo i capitoli di prova, articolati nella memoria di costituzione di primo grado, del tutto generici e meramente confermativi di ciò che già era contenuto nell’accordo sindacale del 2004.

La valutazione che la Corte di merito ha fatto sia della documentazione prodotta, sia della irrilevanza della capitolazione contenuta in ricorso per la prova testimoniale va esente da censura, non essendosi verificata alcuna violazione dell’art. 115 c.p.c… La corte territoriale infatti non ha giudicato, contraddicendo la regola sancita da tale norma, sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma ha ritenuto che le prove documentali allegate da Poste spa non fossero idonee ad assolvere l’onere, a carico della datrice di lavoro, di dimostrare l’effettiva vacanza di provenienti dalla stessa società e dunque non obiettive.

Come statuito più volte da questa corte (cfr. tra le tante Cass. n. 11892/2016, Cass. n. 11253/2018), la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo quando si denuncia che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; non quando il giudice medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.

Nel caso in esame la Corte non ha omesso di valutare le risultanze di cui Poste spa ha dedotto la decisività, ma ne ha escluso in concreto, motivando sul punto, la rilevanza.

Neanche sussiste poi la pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c., perchè le richieste prove testimoniali sono invece state considerate prive di specificità in quanto mere ripetizioni delle regole generali della procedura prevista dall’accordo sindacale. Sul punto, peraltro, la doglianza della ricorrente è di fatto anche inammissibile, perchè la ricorrente non allega neanche le ragioni che avrebbero dovuto indurre la corte ad ammettere dette prove e neanche individua chiaramente la sostenuta decisività dei fatti oggetto di tali prove.

Il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna della società alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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