Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29627 del 28/12/2020

Cassazione civile sez. II, 28/12/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 28/12/2020), n.29627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20039-2019 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in VIA NOVARINO N. 6 – ROBBIATE

– (LC) presso l’avv. MASSIMILIANO VIVENZIO che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS) IN PERSONA DEL MNISTRO PRO-TEMPORE

– COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI MILANO – MONZA;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositate il 25/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. DE MARZO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato il 25 aprile 2019 il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione proposta, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, nell’interesse di M.A., cittadino nigeriano.

2. Per quanto ancora rileva, alla luce del motivo di ricorso, il Tribunale ha rilevato: a) che il richiedente in Italia aveva svolto le tipiche attività organizzate dai centri di accoglienza, talchè non emergeva una situazione indicativa di un effettivo radicamento nel territorio nazionale; b) che non era affatto impossibile la ricollocazione del richiedente in Nigeria, dove svolgeva la professione di meccanico; e) che la documentazione relativa allo stato dell’occhio non dimostrava alcuna condizione critica che richiedesse particolari e indefettibili cure mediche.

3. Avverso tale decreto, nell’interesse del soccombente, è stato proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. Il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, rilevando: a) che il Tribunale aveva escluso la sussistenza di fattori di vulnerabilità, erroneamente richiamando le argomentazioni che l’avevano condotto a rigettare la richiesta delle protezioni principali; b) che apodittica era l’affermazione relativa alla possibile ricollocazione in Nigeria; e) che il Tribunale aveva solo in forza di una mera deduzione ritenuto che, nell’area di provenienza, fossero garantiti i diritti fondamentali. La doglianza è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come interpretato da Cass., Sez. Un., n. 7155 del 2017, a mente della quale lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1 cit, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

Invero, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018).

Al di là delle ipotesi di tale privazione, il diritto di cui si tratta non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione (v. Cass. n. 17072 del 2018).

Nè è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, o quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di ” estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (v. Cass. n. 3681 del 2019).

La giurisprudenza di legittimità ha specificato che la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente (Cass. n. 3681 del 2019). Posti tali principi di diritto, deve rilevarsi che ad essi si è attenuto il giudice del merito nel negare al ricorrente il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Alle sopra riassunte argomentazioni, il ricorrente contrappone una considerazione del tutto inesatta, ossia che il Tribunale abbia rigettato la richiesta per effetto delle stesse mere argomentazioni utilizzate per respingere le ulteriori richieste (nel caso di specie, richiamate solo per descrivere la situazione del Paese e le ragioni dell’espatrio), e rilievi di assoluta genericità che non si confrontano in alcun modo con l’apparato motivazionale del decreto impugnato.

2. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese, poichè l’intimato Ministero non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2020

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