Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29626 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 14/11/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 14/11/2019), n.29626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9189-2017 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO

MAGNO, 23/A, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MAURIZIO PANIZ,

STEFANIA FULLIN;

– ricorrente –

contro

UNIPOL BANCA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LUIGI MONTUSCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1159/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/02/2017 r.g.n. 734/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO RAIMONDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato STAFANIA FULLIN, MAURIZIO PANIZ;

udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 15 luglio 2014 il Tribunale di Bologna, in funzione di giudice del lavoro, in parziale accoglimento della domanda proposta da B.M., dipendente della UNIPOL Banca s.p.a., già UGF Banca s.p.a., dichiarava il diritto del ricorrente ad essere inquadrato come dirigente di azienda di credito dal luglio 2001; accertava l’assegnazione dello stesso a mansioni inferiori nei periodi marzo-agosto 2003, gennaio 2004 – agosto 2005 e da giugno 2009 in avanti; conseguentemente, condannava UNIPOL Banca s.p.a al suo inquadramento nella dirigenza, con corrispondenti mansioni, e al pagamento, a titolo di differenze retributive, nei limiti della prescrizione quinquennale decorrente dal 7 agosto 2005, della complessiva somma di EURO 66.600,10, comprensiva di interessi e rivalutazione al 30 giugno 2013, e gli interessi e la rivalutazione maturati e maturandi sino al saldo effettivo, oltre al risarcimento dei danni liquidati in complessivi EURO 59.327,00, di cui EURO 9.327,00 a titolo di danno biologico ed EURO 50.000,00 a titolo di danno all’immagine e alla professionalità, agli interessi legali dalla data della sentenza al saldo, alle spese processuali e a quelle delle consulenze tecniche d’ufficio espletate e respingeva le ulteriori richieste del ricorrente di riconoscimento dei danni alla vita familiare e di relazione e del danno morale.

2. Adita con appello proposto dalla UNIPOL Banca s.p.a. e con appello incidentale del lavoratore, la Corte di appello di Bologna, con sentenza del 6 febbraio 2017, in riforma della sentenza di prime cure, accoglieva il ricorso della Banca e quindi respingeva il ricorso proposto dal B.; respingeva l’appello incidentale proposto dallo stesso ricorrente, che condannava a restituire alla UNIPOL Banca s.p.a le somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, con compensazione delle spese del doppio grado di giudizio, e poneva a carico del ricorrente B. le spese delle consulenze tecniche d’ufficio.

3. Contro la sentenza della Corte bolognese il lavoratore propone ricorso per cassazione affidato a quattro complessi motivi. UNIPOL Banca s.p.a resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e, in via gradata, vizio di motivazione.

2. La doglianza viene articolata con riguardo alle affermazioni della sentenza impugnata relative: agli errori di giudizio riscontrati nella sentenza di prime cure (I-a); alla sottovalutazione sempre da parte del primo giudice del dato oggettivo costituito dalla politica aziendale di contenimento delle posizioni dirigenziali (I-b); all’allegata inconciliabilità del rilievo della sentenza impugnata relativo al non essersi il giudice di primo grado soffermato sul contenuto dell’art. 2 CCNL, dirigenza bancaria con l’affermazione della stessa sentenza impugnata secondo cui lo stesso giudice di prime cure aveva raffrontato la disposizione collettiva con i criteri differenziatori elaborati dalla giurisprudenza (I-comma 1); alla dedotta mancata spiegazione della rilevanza dell’inciso “come tali qualificati dall’azienda”, a giudizio della Corte di appello non pienamente valutato in primo grado (I-comma 2).

3. Sotto il primo profilo, la sentenza impugnata sfugge alla critica perchè essa fornisce le ragioni della decisione senza incorrere in quei gravi vizi che la giurisprudenza di questa Corte ha considerato integrare la mancanza di motivazione di una sentenza, sotto il duplice aspetto del difetto assoluto di motivazione o di motivazione apparente. Questa Corte ha in particolare precisato che il vizio di mancanza di motivazione è integrato qualora la decisione sia priva di qualsivoglia argomentazione oppure quest’ultima sia così contraddittoria da non poter essere considerata come fondamento della decisione del giudice (25433/15 ord., 24096/15 ord.). La critica svolta nel motivo in esame, lungi dall’individuare gli elementi di cui sopra, si limita a proporre una ricostruzione fattuale diversa da quella operata dalla Corte bolognese, valorizzando in modo alternativo le circostanze valutate dalla sentenza impugnata che, nell’interpretare restrittivamente la clausola di cui all’art. 2, comma 1 del CCNL, relativo alla dirigenza bancaria del 10.1.2008, ha tenuto particolarmente in considerazione lo speculare art. 76 del CCNL concernente i quadri direttivi del settore bancario (8.12.2007 ABI), clausola quest’ultima che non era stata presa in considerazione dal giudice di prime cure.

4. Nessuna insanabile contraddizione o incongruenza nella motivazione della sentenza impugnata viene posta in luce nel motivo di ricorso.

5. Sotto il secondo profilo, il ricorrente censura la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, ma inammissibilmente. In effetti, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione tempotis, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dello stesso art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

6. Con il secondo motivo, complesso perchè, oltre alla nullità della sentenza, ancora una volta per mancanza di motivazione, vengono denunciate violazioni di legge e del CCNL, sulla dirigenza bancaria, il ricorrente torna a criticare la motivazione della sentenza impugnata che, sulla base di una valutazione delle risultanze istruttorie, della lettura del detto CCNL e della giurisprudenza di questa Corte, ha escluso che il ricorrente fosse inquadrabile nella figura del dirigente prevista all’art. 2, comma 1 del detto CCNL.

7. Sotto il primo profilo (II-a), che critica la sentenza impugnata, che avrebbe apoditticamente censurato la sentenza di primo grado per aver arbitrariamente ritenuto la strategicità della posizione occupata dal ricorrente, la doglianza non si distingue da quella analoga sollevata nell’ambito del primo motivo. Anche qui il ricorrente si limita a proporre una ricostruzione fattuale diversa da quella assunta dalla Corte territoriale e non può quindi essere accolta.

8. Sotto il secondo profilo (II-b) il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 36 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

9. In particolare il lavoratore lamenta che la Corte territoriale avrebbe applicato un principio giurisprudenziale, ricavabile dalla sentenza di questa Corte n. 5477 del 2012, ma erroneamente, giacchè il principio sarebbe relativo ad una situazione di fatto e di diritto completamente diversa. Il ricorrente fa valere che il precedente valorizzato dalla sentenza impugnata si riferiva ad una mancata promozione all’interno della medesima categoria dirigenziale e non già alla fattispecie di causa, relativa al riconoscimento di un “maggiore inquadramento per lo svolgimento, di fatto, di mansioni appartenenti alla superiore categoria dirigenziale, in cui è applicabile l’art. 2103 c.c.”.

10. Così facendo, la Corte bolognese avrebbe disatteso il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, basato sul procedimento logico-giuridico cosiddetto “trifasico”, cioè fondato sui tre passaggi successivi dell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, seguito dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e, infine, dal raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (ex multis Cass. n. 26234/2008. Tale indagine sarebbe mancata nell’analisi della Corte territoriale. Sarebbe stato disatteso il pacifico orientamento di questa Corte secondo il quale l’assegnazione di mansioni superiori, se protratto oltre il termine previsto dalla legge, dà luogo alla promozione automatica ai sensi dell’art. 2103 c.c. (ex multis, Cass. n. 18270/2005). Erroneamente la Corte di appello avrebbe affermato che “la legge e la norma collettiva riservano all’imprenditore il riconoscimento delle qualifiche dirigenziali e direttive” così ponendosi in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte.

11. La sentenza impugnata sfugge a queste censure, che si concentrano sulla sua sezione VI, allorchè l’analisi della Corte bolognese, che procede in effetti secondo lo schema “trifasico” delineato nella giurisprudenza di questa Corte, prosegue nelle successive sezioni VII e VIII, nelle quali vengono esaminate le mansioni via via assegnate al ricorrente nei periodi in questione, ne viene accertata la mancata corrispondenza alla declaratoria contrattuale relativa alla figura del dirigente, essenzialmente per difetto della “piena autonomia e ampia discrezionalità” che il CCNL collega a questa posizione, e si conclude quindi nel senso dell’infondatezza della domanda del ricorrente relativa al suo inquadramento come dirigente d’azienda.

12. Il riferimento della Corte bolognese alla sentenza di questa Corte n. 5477 del 2012, che evoca la necessità per il giudice del rispetto della libertà d’iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost., era utilizzato per la critica dell’approccio del giudice di primo grado, che aveva dedotto la natura dirigenziale delle mansioni affidate al ricorrente sulla base di una sua propria valutazione del carattere strategico di tali mansioni, inerenti al controllo e all’audit interno, nell’ambito di un’azienda di credito. Essa non rivela alcuna contraddizione rispetto alla giurisprudenza di questa Corte relativa all’interpretazione e all’applicazione dell’art. 2103 c.c., nè alcuna tensione con l’art. 36 Cost..

13. Anche questo profilo della complessa censura non merita quindi accoglimento.

14. Sotto il terzo profilo (II-c), il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2, comma 1 del CCNL sulla dirigenza bancaria, nonchè degli art. 2094,1419,2103 e 2095 c.c., art. 1 e 12 preleggi e art. 96 disp. trans. c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

15. Il ricorrente fa valere che, rimproverando al giudice di prime cure di non aver tenuto conto, nell’interpretazione dell’art. 2, comma 1 del CCNL sulla dirigenza bancaria, dell’inciso contenuto in questa previsione che si riferisce ai dirigenti “come tali qualificati dall’azienda”, la Corte di appello avrebbe condizionato o subordinato il riconoscimento della qualifica di dirigente ad una previa “investitura formale” da parte del datore di lavoro. Questa conclusione sarebbe in contrasto con le norme invocate, in particolare l’art. 2095 c.c. giacchè secondo la giurisprudenza di questa Corte (es. 5809/2010), è necessario e sufficiente per il riconoscimento della qualifica dirigenziale che sia dimostrato l’espletamento di fatto delle relative mansioni.

16. La lettura della sentenza impugnata rivela pianamente come la Corte bolognese non si sia discostata da questo principio, limitandosi a dare rilievo all’inciso in questione quale indizio dell’ampia discrezionalità che le parti contraenti del CCNL, avevano inteso riconoscere al datore di lavoro nell’individuazione delle figure dirigenziali. Non emerge dalla sentenza impugnata l’affermazione del principio secondo il quale l’individuazione delle figure dirigenziali sarebbe riservata al datore di lavoro con esclusione di ogni contrario accertamento in sede giurisdizionale.

17. Quindi questa doglianza si dirige contro una statuizione della sentenza impugnata in realtà non esistente, ed è quindi inammissibile.

18. Con il terzo, pure complesso, motivo, articolato su quattro profili, si censura la sentenza impugnata laddove essa, sulla base delle risultanze istruttorie, giunge alla conclusione secondo cui non può desumersi la piena autonomia decisionale e l’ampia discrezionalità che avrebbe caratterizzato sin dalla sua assunzione l’operare del ricorrente se non enfatizzando il valore strategico in sè dei servizi cui egli era preposto.

19. Sotto un primo profilo (III-a), si deduce nullità della sentenza per mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e comunque vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 132 e 112 c.p.c., art. 111 Cost. in relazione all’accertamento in fatto della Corte di appello secondo il quale il ricorrente non aveva svolto funzioni di livello dirigenziale.

20. Sotto il secondo profilo (III-b), vengono svolte analoghe censure di omessa motivazione con conseguente nullità della sentenza e di vizio di motivazione, giacchè la Corte territoriale avrebbe omesso “totalmente qualsiasi valutazione e confronto necessario con quanto previsto dalla declaratoria collettiva in punto qualifica dirigenziale (art. 2 CCNL dirigenti credito)”.

21. A proposito di questi due profili, che possono esaminarsi congiuntamente, analogamente alle altre censure relative alla motivazione della sentenza impugnata, anche qui, a proposito dell’accertamento in fatto compiuto dalla Corte di appello, accertamento secondo il quale le attività svolte dal ricorrente non erano qualificabili come dirigenziali, il ricorrente si limita a dissentire dalla ricostruzione della sentenza impugnata, senza individuare vizi tali da poter condurre alla constatazione dell’assoluta mancanza di motivazione ovvero della sua assoluta contraddittorietà, tale da escludere la sua idoneità ad essere considerata come fondamento della decisione del giudice.

22. Dall’angolo visuale dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non viene neanche indicato il fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte bolognese.

23. Sotto il terzo profilo (III-c), si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1 CCNL dirigenti credito, dell’art. 76 CCNL imprese creditizie e degli art. 2094, 1419, 2103, 20195, art. 1 e 12 preleggi, art. 96 disp. trans. c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

24. La doglianza è inammissibile, perchè il ricorrente si limita ad accusare la sentenza impugnata di aver trascurato di valutare le attività svolte dal ricorrente, a suo dire omettendo di esaminare la riconducibilità delle stesse alla categoria dei quadri direttivi, ovvero a quella dei dirigenti delle aziende di credito, ma le ragioni per le quali la Corte territoriale avrebbe violato le disposizioni invocate non vengono nemmeno esplicitate.

25. Sotto il quarto profilo (III-d), il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati Oggetto di discussione tra le parti. Vengono elencati diversi elementi la cui valorizzazione avrebbe dovuto condurre, secondo il ricorrente, a un diverso esito della controversia. A parere del ricorrente la Corte territoriale avrebbe omesso di richiamare e comunque valorizzare le dichiarazioni di diversi testimoni i quali avrebbero confermato l’ampiezza dei poteri e delle facoltà discrezionali attribuite al ricorrente e da lui esercitate e inoltre avrebbe omesso di valorizzare documenti ritenuti essenziali ai fini della decisione in quanto comprovanti i poteri attribuiti al ricorrente nella gestione dei singoli incarichi con riferimento anche alle fideiussioni, alle procure per la cancellazione delle ipoteche e altro, il tutto per valori rilevanti.

Inoltre si sarebbe omesso di considerare che a diverse figure asseritamente di pari grado del ricorrente, come ad esempio il responsabile del servizio del personale ed altri, era stata attribuita la qualifica di dirigente, e che nel 2003 il ricorrente era stato sostituito da un dipendente, il Dott. V., con qualifica di dirigente.

26. Come condivisibilmente rileva la Banca controricorrente, tutte le circostanze fatte valere dal ricorrente sotto questo profilo sono compatibili con la declaratoria relativa ai quadri direttivi di cui all’art. 76 del CCNL di categoria, a termini del quale i compiti di questa figura professionale possono prevedere “l’effettivo esercizio di poteri negoziali nei confronti dei terzi, in rappresentanza dell’impresa, da espletarsi con carattere di autonomia e discrezionalità, in via generale, nell’ambito definito dalle deleghe di poteri aziendali conferite al riguardo…”, per cui manca il requisito della decisività dei fatti invocati. A proposito, in particolare, della sostituzione del ricorrente con il Dott. V., al quale venne riconosciuto l’inquadramento come dirigente, si tratta di circostanza non decisiva, perchè da sola non idonea a fondare una conclusione favorevole al riconoscimento in capo al ricorrente della piena autonomia decisionale e del grado di discrezionalità richiesti per l’inquadramento a livello dirigenziale.

27. Con il quarto, complesso, motivo, il ricorrente solleva diversi profili di violazione e falsa applicazione di legge e difetti motivazionali in relazione a tre episodi di allegato demansionamento riconosciuti dal giudice di prime cure.

28. In particolare, a proposito del primo episodio, (marzo-agosto 2003), il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (IV-a.1) e l’omesso esame di fatti decisivi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (IV-a.2).

29. Sotto il primo profilo il ricorrente denuncia che la sentenza impugnata avrebbe riconosciuto il demansionamento per il periodo in questione, quando a lui fu attribuito l’incarico di “responsabile dell’ufficio riorganizzazione commerciale filiali”, ma ne avrebbe escluso la rilevanza giuridica a causa della sua brevità (cinque mesi), così ponendosi in contraddizione con la giurisprudenza di questa Corte, che dà rilievo demansionamento anche quando questo si protragga per un breve periodo (Cass. n. 3772/2004).

30. In realtà, come rileva la controricorrente, la Corte territoriale ha parlato, a proposito di questo periodo, di “ridimensionamento” dei compiti operativi già assegnati. La Corte bolognese non ha riconosciuto un’ipotesi di demansionamento dovendosi escludere profili discriminatori, essendo il cambio di mansioni giustificato dalla crescita della rete commerciale della banca, donde la non palese illogicità, ed avendo il ricorrente successivamente ricevuto l’incarico, definito “appagante” di Responsabile della Funzione Ispettorato e Antiriciclaggio.

31. Essendo diretta contro una statuizione che la sentenza impugnata non contiene, la doglianza è inammissibile.

32. In ogni caso può rilevarsi che un “ridimensionamento” dei compiti non implica l’espletamento di mansioni inferiori rispetto a quelle proprie dei quadri direttivi. 1,a giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che non ogni modifica quantitativa delle mansioni con riduzione delle stesse si traduce automaticamente in una dequalificazione professionale in quanto tale fattispecie implica una sottrazione di mansioni tale – per natura, portata e incidenza sui poteri del lavoratore e sulla sua collocazione nell’ambito aziendale – da comportare un abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con una sottoutilizzazione delle capacità dallo stesso acquisite e un conseguente impoverimento della sua professionalità (Cass. n. 6856/2001). Ciò la Corte bolognese ha escluso, con accertamento di fatto normalmente incensurabile in questa sede.

33. Sotto il secondo profilo il ricorrente censura, per l’appunto, l’accertamento di fatto compiuto dal giudice di appello, denunciando l’omessa considerazione di diverse circostanze di fatto (la riassegnazione alla funzione ispettorato e riciclaggio era stata disposta in tutta fretta in seguito alle dimissioni di altro dipendente; tale riassegnazione era durata solo tre mesi; la funzione di riorganizzazione commerciale filiali era stata eliminata dall’organigramma subito dopo lo spostamento del ricorrente ad altro ruolo; nello svolgimento delle nuove mansioni il ricorrente era solo) a suo dire decisive.

34. In realtà nessuna delle invocate circostanze riveste a giudizio di questa Corte natura decisiva. La censura tende inammissibilmente a rimettere in discussione l’accertamento di fatto compiuto dal giudice di appello. L’allegata decisività degli elementi valorizzati non viene argomentata.

35. Con riguardo al secondo periodo di allegato demansionamento (gennaio 2004 – agosto 2005) il ricorrente fa valere un vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione, motivazione apparente, affermazioni contrastanti e obiettivamente incomprensibili, invocando sia l’art. 360, comma 1, n. 4 sia l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5(IV-b), nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. (IV-b.1).

36. Viene qui in rilievo l’incarico di “coordinatore della rete commerciale Emilia Romagna”.

37. Per questa parte della censura, relativa al secondo periodo di allegato demansionamento, la Banca controricorrente invoca un giudicato interno, che viene formalmente eccepito, perchè la motivazione sul punto del Tribunale di Bologna non era stata messa in discussione dal ricorrente in sede di appello. L’eccezione non ha fondamento: il giudicato interno può formarsi solo su capi autonomi di sentenza, che cioè risolvano una questione controversa avente una propria individualità e autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente, mentre sono privi di autonomia i meri passaggi motivazionali (Cass. n. 24358/2018), quale quello che qui rileva.

38. Sotto il primo profilo le censure del ricorrente si limitano inammissibilmente a riproporre la ricostruzione fattuale operata dal giudice di prime cure, contrapponendola a quella della sentenza impugnata, non individuando alcuno dei vizi denunciati. Sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la doglianza è egualmente inammissibile perchè non viene neanche dedotto il fatto decisivo discusso tra le parti il cui esame sarebbe stato omesso.

39. Va aggiunto che, come condivisibilmente osserva la Banca controricorrente, che aveva allegato sul punto l’esistenza di un giudicato interno, la sentenza impugnata nota che in realtà lo stesso giudice di prime cure aveva ritenuto le mansioni affidate al ricorrente in questo periodo compatibili con la qualità posseduta di quadro apicale.

40. Sotto il secondo profilo (IV-b.1), il ricorrente fa valere che l’art. 2103 c.c. sarebbe stato violato e falsamente applicato perchè sarebbe mancata del tutto l’indagine del giudice di appello diretta a verificare se le nuove mansioni a lui attribuite fossero o meno aderenti alla sua qualifica professionale e ne garantissero l’accrescimento, secondo i principi desumibili dalla giurisprudenza di questa Corte. Secondo il ricorrente la sentenza impugnata si sarebbe invece concentrata sul carattere non discriminatorio della sostituzione del ricorrente nell’incarico precedente con un nuovo assunto, il Dott. V., del quale non era stata provata la “minore professionalità specifica”.

41. In realtà, la sentenza impugnata sfugge a questa critica giacchè essa, con accertamento di fatto incensurabile in questa sede, assume che il passaggio del ricorrente dall’area dei controlli ispettivi a quella dei controlli sulla rete commerciale non integrava alcun contrasto con la specifica competenza professionale da lui posseduta, “tenuto conto che l’ampliamento del ventaglio di esperienze e la fungibilità in mansioni parimenti, inequivocabilmente, direttive comportano di norma un arricchimento della professionalità e non un suo depauperamento.” L’indagine richiesta in base ai principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte di cui il ricorrente lamenta la mancanza è stata invece compiuta, per cui neanche questa doglianza può essere accolta.

42. Infine, per quanto attiene al terzo periodo di allegato demansionamento, da giugno 2009 in poi, sino al 2014 (IV-c), emerge dalla sentenza impugnata che a partire dal mese di gennaio 2009 il Servizio gestione crediti cui era preposto il ricorrente aveva visto progressivamente ridotte le sue competenze con l’assegnazione al servizio legale del settore “incagli”, per cui era diminuito il numero dei dipendenti sotto la supervisione del ricorrente. La Corte territoriale riconosce che diversi compiti qualificanti erano stati sottratti al ricorrente, ma esclude un demansionamento vietato dall’art. 2103 c.c. da una parte perchè la modifica organizzativa era stata imposta in seguito ad un’ispezione della Banca d’Italia e, d’altra parte, perchè la rarefazione della presenza in ufficio del ricorrente, a causa di assenze per permessi sindacali e per malattia, aveva reso necessaria la nomina di un vicario per assicurare la continuità del funzionamento del Servizio gestione crediti. Alla stessa conclusione la sentenza impugnata giunge per il periodo successivo al 27 giugno 2011, quando al ricorrente, oramai pochissimo presente in ufficio, venne affidato l’incarico ad hoc di Responsabile della funzione “studio crediti”, funzione di natura non operativa.

43. Sul punto, la sentenza impugnata viene censurata sotto il profilo della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di punti decisivi (IV-comma 1). Sotto questo profilo la doglianza è inammissibile, perchè non vengono neanche dedotti i fatti decisivi discussi tra le parti il cui esame sarebbe stato omesso.

44. Inoltre, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli art. 2130,1218 c.c., L. n. 300 del 1970, artt. 23 e 28 e dell’art. 39 Cost. (IV-comma 2).

45. Le assenze del ricorrente, insindacabili e incensurabili, non avrebbero potuto giustificare la riduzione dei compiti affidati al ricorrente.

46. Questa critica non è fondata e la censura non può essere accolta. La sentenza impugnata ha osservato che, nelle circostanze di causa, il comportamento dell’azienda era giustificato dalla necessità di garantire la propria operatività in un settore, quello del servizio gestione crediti, definito importante, essenziale e “strategico”, a prescindere dal livello di inquadramento della figura del responsabile.

47. E’ condivisibile l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale la tutela offerta dall’art. 2103 non può essere spinta al punto da comportare la paralisi di un servizio essenziale per l’impresa. In effetti, la disposizione dell’art. 2103 c.c. sulla1 disciplina delle mansioni e sul divieto di declassamento va interpretata alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto; nei consegue che, nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse, anche inferiori, a quelle precedentemente svolte, restando immutato il livello retributivo, non si pone in contrasto con il dettato del codice civile. (Cass. n. 11395/2014)

48. Segue alle svolte considerazioni il rigetto del ricorso.

49. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

50. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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