Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29621 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 14/11/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 14/11/2019), n.2962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12303/2016 proposto da:

R.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268-A, presso lo studio dell’avvocato PIERO FRATTARELLI,

rappresentato e difeso dagli avvocati SIMONETTA FERRANTE, ANTONIO

GABRIELLI;

– ricorrente –

contro

BANCA MEDIOLANUM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 116 00197,

presso lo studio dell’avvocato FULVIO NERI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7422/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/11/2015 R.G.N. 189/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/07/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PIERO FRATTARELLI per delega verbale Avvocato

SIMONETTA FERRANTE;

udito l’Avvocato FULVIO NERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 7422/2015, pubblicata il 9 novembre 2015, la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale di Frosinone aveva, in accoglimento del ricorso di Banca Mediolanum S.p.A., condannato R.R., già promotore finanziario della Banca dal luglio 2002 al dicembre 2003, a restituire il minimo provvigionale garantito, previsto dall’accordo integrativo stipulato in data 28/6/2002 ed erogato in suo favore per il primo semestre di durata del rapporto, al termine dello stesso avendo la preponente verificato il mancato conseguimento degli obiettivi concordati e considerato l’accordo decaduto, con conseguente cessazione di ulteriori versamenti a tale titolo.

2. La Corte ha rilevato che il rapporto si era concluso, per il recesso del promotore, prima che venisse a scadenza il termine di ventiquattro mesi dal perfezionamento dell’accordo integrativo e che, pertanto, ai sensi della clausola di cui all’art. 7 dello stesso, la Banca aveva diritto alla restituzione, non potendosi aderire alla tesi, secondo la quale l’accordo si sarebbe risolto ex tunc per mancato raggiungimento degli obiettivi alla scadenza del primo semestre, così da non costituire più un valido e sussistente titolo su cui fondare il diritto alla restituzione.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione il R. con unico motivo, cui ha resistito la società con controricorso, assistito da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo proposto, deducendo l’erronea applicazione degli artt. 1363,1366,1369,1370 e 1371 c.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che la clausola n. 6 dell’Accordo integrativo del 28 giugno 2002 si limitasse a consentire alla Banca di cessare il versamento del “minimo provvigionale garantito” nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi semestrali concordati, lasciando sussistere, a carico del collaboratore, l’obbligo di restituzione delle somme già incassate a tale titolo, ove nel termine di 24 mesi dal perfezionamento dell’Accordo egli avesse comunicato – come nella specie – il proprio recesso dal rapporto: peraltro senza considerare che detta clausola, con lo stabilire che l’Accordo, nell’ipotesi prevista, sarebbe “integralmente” decaduto, era tale da configurarne una fattispecie di risoluzione ex nunc, con l’effetto di determinare la decadenza anche della clausola (n. 7), sulla quale la preponente aveva fondato la propria domanda.

2. Il motivo non può trovare accoglimento.

3. La Corte di appello ha esaminato sia la clausola n. 6 che la clausola n. 7 dell’Accordo integrativo, ponendone in rilievo le reciproche relazioni e l’equilibrio da esse realizzato fra i contrapposti interessi delle parti contraenti; ha, in particolare, rilevato a tale proposito come la “decadenza” dell’Accordo, in ipotesi di mancato raggiungimento degli obiettivi concordati, risolvendosi nella previsione di cessazione della sua vigenza con efficacia ex nunc, legittimasse la Banca a cessare per il futuro l’erogazione del minimo garantito ma senza che ciò significasse che l’Accordo “non potesse più continuare a rappresentare, anche rispetto alle prestazioni già eseguite, la fonte regolatrice dei rispettivi diritti e obblighi”.

3.1. In sostanza, ha ritenuto la Corte, “il mancato conseguimento degli obiettivi, di per sè, non implicava, in capo all’agente, obblighi di restituzione del minimo garantito ormai incassato” e neppure esso “travolgeva retroattivamente l’accordo”, tali obblighi essendo sorti solo “con il recesso ante tempus dell’agente”: e “ciò a norma dell’art. 7 dell’accordo medesimo, in parte qua – per le considerazioni spese – applicabile al rapporto”.

4. Come più volte precisato da questa Corte, “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. n. 28319/2017; conformi, fra le più recenti: n. 11254/2018; n. 16987/2018).

5. Consegue da quanto sopra che il ricorso deve essere respinto.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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