Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2962 del 03/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 03/02/2017, (ud. 10/01/2017, dep.03/02/2017),  n. 2962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

V.G., in proprio, come socio e quale amm.re e L.r. di

Masseria Modesti di V.G. & c. s.n.c., nonchè

T.R., socio della stessa s.n.c., rappr. e dif. dall’avv. Ugo Patroni

Griffi e dall’avv. Giovanna Ciccarella, elett.dom. in Roma, presso

il loro studio alla piazza Barberini n. 12, come da procura a

margine dell’atto;

– ricorrenti –

contro

V.M. e VE.Do.Ma.Ca., rappr. e dif. dall’avv.

Saverio Verna, elett. dom. presso lo studio del medesimo e in Roma,

alla via G. Nicotera n. 29 presso l’avv. Salvatore Terribile, come

da atto di costituzione con procura in calce, depositata ai fini di

partecipare alla discussione;

– resistenti –

per la cassazione della sentenza App. Bari 11.3.2015, n. 345/2015, in

R.G SP8/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 10 gennaio 2017 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo;

udito l’avv. Pierfrancesco Grazioli per i ricorrenti;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott.

CAPASSO Lucio che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

il rigetto di secondo e terzo, l’assorbimento del quarto.

Fatto

IL PROCESSO

Con unico ricorso Masseria Modesti di V.G. & c. s.n.c., nonchè i soci V.G. (altresì amministratore e legale rappresentante) e T.R. impugnano la sentenza App. Bari 11.3.2015 n. 345/15 in R.G. 1398/2012 con cui veniva rigettato il proprio appello avverso la sentenza Trib. Bari 14.6.2012, che aveva pronunciato l’annullamento della delibera 25.9.2002 di esclusione dei soci V.M. e Ve.Do.Ma.Ca., già impugnanti la stessa, respingendo invece la domanda di risarcimento del danno dai medesimi avanzata.

La corte d’appello riepilogò in premessa che: a) l’esclusione dalla Masseria s.n.c. era stata assunta imputando a V.M. l’omessa presentazione del rendiconto dell’attività di gestione agrituristica condotta nella società, ad entrambi la mancata restituzione a V.G. delle somme risultate in eccedenza rispetto a quelle versate e corrispondenti alle quote necessarie al ripianamento delle passività sociali e delle perdite, secondo il bilancio al 31.12.2001, pari a circa 207 mila e rispettivamente 14 mila euro circa ed infine la cessazione di ogni attività in favore della società, sin dal luglio 2000; b) il tribunale aveva ritenuto unitaria la gestione, non veridico il bilancio cui parametrare perdite e restituzioni, giustificata dal conflitto acceso tra i soci la mancata prestazione del lavoro in azienda; c) anche la corte d’appello riscontrò che comma 1.) il bilancio, nella s.n.c. del caso, equivaleva al rendiconto ed era unico, posto che, nonostante l’amministrazione disgiuntiva, unica era la gestione patrimoniale e pertanto il relativo onere di presentazione gravava su entrambi; comma 2) alla data dell’esclusione il bilancio difettava di veridicità, ciò condizionando il mancato ripianamento dei debiti; comma 3) l’accesa conflittualità tra i soci, cui dava causa anche il figlio dell’appellante V., risultava provata e tale da giustificare, come emerso poi dalla necessità del reintegro coattivo, la mancata prestazione collaborativa, in conseguenza dell’impedimento all’accesso frapposto agli appellati.

Il ricorso è su quattro motivi, ad esso resistendo gli altri due soci con atto di costituzione depositato al fine della discussione all’udienza.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deducono plurime violazioni ai sensi degli artt. 2293, 2247, 2252, 2257, 2260, 1713, 2261, 2262, 2286 e 203 c.c., nonchè 8 st. soc., la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., per vizio di ultra o extra petita, e degli artt. 91 e 92 c.p.c., oltre al vizio di motivazione, avendo errato la sentenza nel negare l’obbligo di rendiconto in capo a V.M., che amministrava la società per l’attività agrituristica risultando rendiconto e bilancio documenti distinti.

Con il secondo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 2263, 2293 e 2909 c.c., artt. 91 e 92 c.p.c. e 8 st.soc., essendo errata la sentenza che, nel ritenere cristallizzato l’obbligo di partecipazione alle perdite ad un’epoca in cui il bilancio sarebbe stato non veridico, ha omesso di valutare che la somma di competenza degli appellati era comunque di circa 190 mila Euro, di contro ad una richiesta iniziale di 222 mila Euro, e che nulla era stato versato, dunque non incidendo sull’inadempimento l’affermazione, resa in altro giudizio ma nei citati termini, della irregolarità, comunque parziale.

Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 9 st.soc., 2293, 2253 e 2286 c.c. e art. 9192 c.p.c., avendo mancato la corte di considerare che il clima di conflittualità esistente tra i soci già aveva rinvenuto giustificazione nelle provocazioni poste in essere da V.M., come riconosciuto nell’accertamento di sentenza penale resa sulla denuncia – querela sporta dai soci esclusi e con riguardo all’appropriazione di somme.

Con il quarto motivo viene contestata la liquidazione delle spese, anche ai sensi dell’art. 112 c.p.c., nonostante vi fosse impugnazione per non avere i giudici di merito applicato la regola della compensazione, a fronte di parziale soccombenza anche dei soci esclusi, la cui domanda di risarcimento danni era stata rigettata nel merito.

1. Osserva preliminarmente il Collegio che l’atto difensivo di V.M. e Ve.Do.Ma.Ca., con conferimento di procura all’avv. Verna Saverio, appare redatto senza rispettare il principio, che qui si ribadisce, per cui “Nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83 c.p.c., comma 2” (Cass. 26909/2016, 18323/2014, 7241/2010). Ne consegue l’inammissibilità del menzionato atto costitutivo, per invalidità del conferimento in esso della procura ad litem, relativa a giudizio pacificamente instaurato in primo grado prima della data dell’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009.

2. Il primo motivo è fondato. Pur sulla premessa che la società Masseria Modesti s.n.c. era condotta secondo regole di amministrazione disgiuntiva, spettante per distinte attività a V.M. (il socio escluso) e a V.G., la corte d’appello ha inferito dall’unicità della gestione patrimoniale altresì la unicità del bilancio ed altresì di ogni rendiconto, riconnettendo il primo obbligo (assorbente il secondo) ad entrambi i soci gestori e dunque negando che esso gravasse sul solo V.M., conseguentemente assolto dalla stessa imputazione riferitagli quale ragione di inadempimento. Tale, conclusione non è condivisibile, posto che proprio il carattere non controverso della autonoma attività – secondo l’allegazione di parte, agrituristica – gerita da V.M. avrebbe preteso che si desse conto positivamente, per suffragare la valutazione di annullamento della delibera di esclusione, che – contrariamente all’assunto contestato – questi aveva in realtà presentato il conto della gestione del settore cui era preposto o comunque messo compiutamente in condizione l’altro socio coamministratore di consultare i documenti afferenti al settore curato in proprio. Può invero dirsi che, nell’ipotesi di amministrazione disgiuntiva, retta anche per la società in nome collettivo dalla disciplina di cui agli artt. 2257, 2260, 2261 c.c. per via del rimando di sistema dall’art. 2293 c.c., al capo 2, del titolo 5 del libro 5, i soci che non siano anche amministratori della unica azienda ovvero i soci amministratori non addetti ad una specifica attività o settore, sono titolari di un generale diritto d’informazione sullo svolgimento degli affari sociali, con consultazione dei documenti di gestione e di rendiconto a consuntivo all’esito, che non coincide con la mera informazione conseguente al bilancio (cioè al documento generale sull’attività economica, che è unico), ma si determina in ragione della progressività dell’amministrazione altrui stessa. Se poi il compimento degli affari sociali, ex art. 2261 c.c., comma 2, eccede l’anno e salva diversa pattuizione (nel caso non emersa), il diritto al rendiconto dell’amministrazione scaturisce al termine di tale periodo, nel presupposto – com’è proprio della vicenda -che l’amministrazione non spettasse a tutti i soci (Cass. 1036/2009). In questo contesto il rendiconto funzionale alla ripartizione degli utili, ai sensi dell’art. 2262 c.c. (e, in concreto, sulla base del patto sociale come accertato dal giudice di merito), ha una portata generale e rimanda alla formazione di un necessario documento unico di periodo correlato all’intero esercizio economico convenzionalmente assunto (oltre che parametrato ai criteri di redazione del bilancio delle società di capitali, sulla base di un principio esteso dalla giurisprudenza anche al rendiconto dell’amministrazione annuale di cui al cit. art. 2361 c.c., comma 2, – per Cass. 1036/2009, 4454/1995 – che pure ha portata eventuale), ma non soddisfa ogni esigenza informativa connessa al rendiconto proprio della gestione di subperiodo dell’amministratore, che può essere provocato appunto in relazione allo “svolgimento degli affari sociali”, dunque anche per singole rilevanti operazioni, ed a scopo preparatorio del primo.

2. Il secondo motivo è fondato. Il totale inadempimento da parte di V.M. e di Ve.Do.Ma.Ca. all’obbligo di contribuzione alle perdite, e in generale al ripianamento delle passività sociali ex art. 2263 c.c., è stato riduttivamente `giustificato” dalla corte d’appello con generico riferimento alla non veridicità del bilancio, quale affermata con distinta sentenza irrevocabile di Trib. Bari 2009. Tuttavia le proporzioni dell’accertata inesattezza, sottratta la quota di contributi pubblici AIMA che V.G. si era illecitamente trattenuto rispetto alla s.d.f. nel frattempo costituita e regolarizzata fra le parti, conducevano ad una misura solo rettificata del passivo imputabile pro quota ai soci esclusi, di rilevanza tale da non correlarsi in modo diretto ad una generale esenzione dalla partecipazione alle perdite, posto che l’unico vizio del bilancio contabilmente rettificato al 31.12.2001 motivava il versamento originario dagli iniziali 222 mila Euro ai finali 190 mila Euro, corrispondenti – secondo quanto contestato in sede di esclusione – al rimborso in percentuale alle somme anticipate da V.G. per tutti. La possibile rilevanza di tale inadempimento, in termini di gravità ed ai sensi dell’art. 2286 c.c., dovrà pertanto di nuovo essere esaminata dal giudice del rinvio, alla luce della non corretta giustificazione della relativa condotta omissiva.

3. Il temo motivo è inammissibile, posto che con esso i ricorrenti sottopongono a questa Corte la richiesta, al di là della denominazione illustrativa della doglianza, di una rivisitazione dell’apprezzamento di fatto già condotto – in punto di impedimento alla prestazione dell’attività collaborativa nell’azienda sociale – dal giudice di merito, conseguendone il doveroso riscontro dei limiti in cui incorre tale censura alla luce del principio per cui “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivaone perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass. s.u. 8053/2014, Cass. 21257/2014, 23828/2015). Il quarto motivo, vertendo sulla imputazione delle spese, è assorbito dalle decisioni testè esposte.

Il ricorso va dunque accolto quanto ai motivi primo e secondo, con inammissibilità del terzo ed assorbimento del quarto, cassazione e rinvio.

PQM

Dichiara inammissibile l’atto costitutivo di V.M. e VE.Do.Ma.Ca.; accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il terzo, assorbito il quarto; cassa e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2017

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