Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29618 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. I, 24/12/2020, (ud. 29/09/2020, dep. 24/12/2020), n.29618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36627/2018 proposto da:

E.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso

la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Antonio Almiento, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– intimato –

Avverso il decreto n. 2669/2018 del TRIBUNALE di LECCE, depositato il

29/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

E.A., nato in (OMISSIS), con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 impugnava dinanzi il Tribunale di Lecce, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale in tutte le sue forme.

Egli aveva riferito di appartenere al gruppo etnico (OMISSIS), di essere di fede (OMISSIS) e di avere un figlio, anche senza essere sposato; aveva motivato la fuga dal proprio Paese con la volontà di sottrarsi alla carcerazione a cui sarebbe stato esposto per avere praticato l’omosessualità, giacchè era stato denunciato dal padre di un suo amico deceduto che lo riteneva responsabile di averlo indotto alla pratica omossessuale.

Il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente perchè vago e non circostanziato in merito alla scoperta della sua inclinazione sessuale, tanto più che l’eterosessualità era testimoniata dalla nascita di un figlio, così come in relazione ai timori di essere arrestato ed al fatto che i genitori, pur risiedendo ancora in (OMISSIS), non gli avessero fornito notizie circa il presunto procedimento a suo carico.

Quindi, stante la valutazione di non credibilità, il Tribunale ha escluso la possibilità del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) in assenza dei presupposti; quanto alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), ha ritenuto che non vi era una condizione oggettiva di pericolo direttamente riferibile alla zona geografica di provenienza, in quanto nella regione del (OMISSIS) della (OMISSIS) non si ravvisava la presenza di un conflitto armato tale da comportare una minaccia individualizzata a danno del ricorrente (come risultava da Report di Amnesty International 2017/2018 e dal sito (OMISSIS) del 13/8/2018). Infine, ad avviso del Tribunale, non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, in difetto di situazioni di vulnerabilità oggettive o soggettive e non emergendo rilevanti condizioni di integrazione in Italia del richiedente, tanto non potendosi dedurre dallo svolgimento di attività lavorativa a tempo determinato per circa un mese e mezzo.

Il richiedente propone ricorso articolato in sei mezzi, corroborato da memoria; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2017, artt. 3 e 5 per avere sopravvalutato alcune imprecisioni nel racconto del ricorrente in Commissione – mancata applicazione del principio del c.d. onere probatorio attenuato.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia la nullità del decreto e/o del procedimento per omesso esame del ricorrente in violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

Il ricorrente lamenta la violazione del dovere di cooperazione officioso perchè, a suo parere, una volta fissata l’udienza D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis in assenza di video registrazione, il Tribunale avrebbe potuto ascoltarlo nuovamente.

1.3. I due motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili in quanto si esauriscono nella riepilogazione di principi e precedenti giurisprudenziali, senza tuttavia porli in diretta correlazione con la decisione impugnata e senza indicare quali elementi e quali informazioni, tempestivamente dedotte, non sarebbero state acquisite, risolvendosi in una impropria sollecitazione del riesame del merito.

Quanto alla doglianza relativa al mancato ascolto da parte del giudicante, la censura non coglie la ratio decidendi: premesso che tale incombente non era dovuto perchè, in assenza di videoregistrazione del colloquio presso la Commissione, alla fissazione dell’udienza non consegue automaticamente l’obbligo del giudice di fissare l’audizione (Cass. n. 5973 del 28/02/2019), va osservato che nel caso di specie il Tribunale ha espressamente accertato – con statuizione non smentita in concreto e non impugnata – che, attese le modalità di svolgimento del colloquio, non sussisteva alcuna evenienza che ne rendesse necessaria la ripetizione e che il richiedente non aveva indicato “alcuno specifico aspetto meritevole di essere chiarito mediante ascolto diretto” (fol. 3 del decr. imp.).

2.1. Con il terzo motivo si denuncia la nullità del decreto e/o del procedimento per (a) violazione del dovere officioso di acquisire informazioni e documenti rilevanti ex Cass. S.U. n. 27310/2008 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8; (b) per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili; si lamenta anche la omessa, erronea e/o insufficiente valutazione della situazione epidemica (febbre di Lassa).

2.2. Con il quarto motivo si denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14 rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragioni delle attuali condizioni socio politiche del Paese di origine)”, lamentando il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria pur sussistendone, a dire del ricorrente, i presupposti.

2.3. Il terzo ed il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente per connessione e vanno respinti perchè infondati.

Va osservato che, nel caso in esame, il Tribunale – pur avendo ritenuto non credibile il ricorrente con statuizione non direttamente impugnata – ha proceduto ugualmente, al fine di valutare la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 ad acquisire informazioni – mediante le fonti internazionali (Amnesty International 2017/2018), in attuazione dell’onere di cooperazione istruttoria – e a vagliare le condizioni socio/politiche della (OMISSIS) (cfr. Cass. n. 16122 del 28/07/2020) giungendo ad affermare che le situazioni di violenza e di conflitto non avevano raggiunto nella zona di provenienza del richiedente una situazione che integrasse il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona e le censure si traducono in una impropria sollecitazione del riesame del merito. Anche riguardo all’epidemia di febbre di Lassa ha accertato l’andamento decrescente dell’epidemia e la predisposizione di sistemi di profilassi da parte del Ministero della salute locale e la censura si risolve nella sollecitazione della rivalutazione del merito.

Entrambe le censure risultano, peraltro, essere assolutamente generiche quanto alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione e, per conseguenza, priva di decisività perchè non viene indicato quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del ricorso (in tema, Cass. n. 2119 del 24/1/2019; Cass. n. 30105 del 21/11/2018) e quando siano state allegate dinanzi al giudice del merito.

3.1. Con il quinto motivo si denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. n. 110 del 2007, all’art. 10 Cost. e art. 3 CEDU, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (il Tribunale ha errato a non applicare al ricorrente la protezione, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè essendo vietata l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi)”, criticando la decisione impugnata nella parte in cui aveva negato all’appellante anche la protezione umanitaria.

3.2. Con il sesto motivo si denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dell’art. 8 CEDU, violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria”, nuovamente criticandosi la decisione impugnata nella parte in cui ha negato all’appellante anche la protezione umanitaria senza prendere in considerazione la sua vulnerabilità e la sua integrazione in Italia.

3.3. I motivi quinto e sesto, da trattare unitariamente perchè volti a censurare il mancato riconoscimento della cd.protezione umanitaria, sono infondati.

La statuizione assunta, che fonda il diniego della protezione umanitaria sull’accertamento della mancanza di una specifica situazione di vulnerabilità personale e di integrazione sociale, è conforme al principio secondo il quale, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. S.U. n. 29459 del 13/11/2019; Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Inoltre va rimarcato che la insussistenza dei presupposti accertata dal giudice del merito non trova una adeguata e puntuale replica nell’illustrazione dei motivi di ricorso, formulati in termini generali.

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensive dell’intimato.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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