Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29616 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 14/11/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 14/11/2019), n.29616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13037-2018 proposto da:

A.F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

GLADIOLI N. 18, presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA LAI,

rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO GIAMPA’;

– ricorrente –

contro

ATERP – AZIENDA TERRITORIALE PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA

DELLA REGIONE CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIMA 28, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE COSCO (studio Nicolosi), rappresentata

e difesa dagli avvocati MARCO SANTOEMMA, GIUSEPPE SPADAFORA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 501/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/03/2018 R.G.N. 1022/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CATIA TAMAGNINI per delega Avvocato DOMENICO

GIAMPA’;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SPADAFORA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato il reclamo proposto da A.F.M. nei confronti dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica della Regione Calabria – ATERP, succeduta ex lege alla Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica della Provincia di Catanzaro, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Catanzaro che, pronunciandosi in senso difforme dall’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 29, (che aveva accordato la tutela reintegratoria), aveva rigettato la domanda di reintegra proposta a seguito del recesso dell’ATERP della Provincia di Catanzaro, in data 15 luglio 2015, dal rapporto di lavoro non formalizzato intrattenuto dalla lavoratrice dal 1 giugno 2015 come impiegata amministrativa, ritenendo di dover fare applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 che non consente l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato per effetto di prestazioni lavorative rese di fatto in violazione di norme imperative.

2. La Corte d’Appello ha affermato, confermando la statuizione del Tribunale, che l’ATERP della Provincia di Catanzaro convenuta in giudizio dalla lavoratrice è una pubblica amministrazione, rispetto alla quale trova applicazione il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e il divieto di trasformazione dei rapporti di lavoro invalidi o instaurati di fatto in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

3. L’ATERP non poteva essere assimilato agli Istituti autonomi case popolari – IACP, che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, ricomprende tra le pubbliche amministrazioni, trattandosi di una indicazione che non poteva estendersi a tutti gli enti competenti in materia di edilizia residenziale pubblica, ma ciò non escludeva che l’ATERP in questione andasse qualificato come pubblica amministrazione.

Ed infatti, la L.R. Calabria n. 27 del 1996, art. 6 (che trovava conferma nell’art. 21 medesima legge), che aveva istituito le ATERP calabresi, aveva previsto che la loro trasformazione in enti pubblici economici sarebbe dovuta avvenire con una successiva legge che, tuttavia, non veniva emanata.

Pertanto, tali enti avevano mantenuto la natura di enti pubblici non economici, che era propria degli IACP, ai quali erano succeduti, e che era stata poi attribuita all’unica ATERP istituita con la L.R. n. 24 del 2013, succ. mod. dalla L.R. n. 34 del 2015 (art. 7, comma 1, “E’ istituita l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica regionale, ente ausiliario della regione in materia di edilizia residenziale pubblica, con l’accorpamento delle Aziende regionali per l’edilizia residenziale”; art. 1 dello statuto approvato con Delib. Giunta regionale n. 1 del 2016 – recte, del 2 marzo 2016, n. 66: l’ATERP Calabria “è ente pubblico non economico con funzioni ausiliarie alla Regione Calabria di natura tecnica-operativa in materia di edilizia reesidenziale pubblica, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile”).

A fronte del suddetto disposto legislativo non erano rilevanti nè lo statuto dell’ATERP della Provincia di Catanzaro, nè la finalità “economica” o meno dell’attività dell’Azienda stessa.

Afferma la Corte d’Appello che, in un ambito com’è quello della disciplina del pubblico impiego contrattualizzato, in cui il principio di effettività è recessivo rispetto alla previsione della legge e dei contratti collettivi nazionali, la qualificazione dell’ente in termini di pubblica amministrazione non può essere che affidata alla legge (è indicato in una nota “cfr.” sentenza del TAR Abruzzo in materia di comunità montane, citazione che, avulsa dal contesto motivazionale, non concorre ad integrare la ratio decidendi della sentenza di secondo grado).

E la L.R., nel caso di specie, è chiara nell’escludere che l’ATERP sia un ente pubblico economico, giacchè la L.R. n. 27 del 1996, art. 6 affida ad una successiva L.R. siffatta trasformazione dell’ente medesimo.

In mancanza di tale nuova legge, l’ATERP della Provincia di Catanzaro non poteva quindi assumere (nemmeno per fatta concludentia) la natura che invece la reclamante gli ascrive.

4. La Corte d’Appello rigettava anche l’impugnazione proposta avverso la condanna al pagamento delle spese di giudizio in quanto disposta in ragione del principio della soccombenza determinatasi all’esito del primo grado di giudizio che aveva assorbito l’esito della fase sommaria.

5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando tre motivi di ricorso.

6. Resiste l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica-ATERP della Regione Calabria, succeduta ex lege alla Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica della Provincia di Catanzaro, con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2.

La ricorrente prospetta che è dirimente ad escludere la natura di pubblica amministrazione dell’ATERP della Provincia di Catanzaro la previsione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, che riserva tale qualificazione solo agli IACP, come peraltro riconosciuto dalla stessa Corte di Appello.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, della L.R. Calabria n. 27 del 1996, art. 6, dell’art. 12 preleggi e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, nel testo successivo alla riforma del 2004. Omesso esame di fatti decisivi del giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

3. La lavoratrice censura l’interpretazione data dalla Corte d’Appello alla L.R. Calabria n. 27 del 2006, art. 6 in quanto tale previsione normativa fa espresso riferimento alla intervenuta “trasformazione ” degli IACP in ATERP, e la Corte d’Appello avrebbe dovuto soffermarsi in primo luogo su tale dato normativo (che non indicava solo un mero mutamento di denominazione), e solo successivamente sulla non avvenuta formalizzazione prevista dal medesimo art. 6, comma 2.

In mancanza di una espressa previsione legislativa che qualificasse la natura dell’ATERP, era onere della Corte d’Appello esaminare e qualificare la vera natura giuridica dell’ATERP della Provincia di Catanzaro, senza limitarsi ad assurgere a dettato legislativo la previsione di meri intenti contenuta nella L.R. n. 27 del 1996, art. 6, comma 2.

Ciò si imponeva anche in ragione dell’art. 73 TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986), e tenuto conto che al momento dell’emanazione del D.Lgs. n. 165 del 2001 già esistevano e funzionavano le ATERP di diverse Regioni.

Dopo aver richiamato la L. n. 254 del 1903, la ricorrente espone, che negli anni ‘90 maturò la consapevolezza che l’ente pubblico doveva essere in grado di operare con i criteri di economicità, efficienza, efficacia e produttività tipici dell’impresa privata, e in tale linea, segnata dall’adozione delle L. n. 57 del 1997 e L. 127 del 1997, nonchè dalla Legge Costituzionale n. 3 del 2001, si inseriva la trasformazione degli IACP in ATERP.

In tal senso, diverse Regioni trasformarono gli IACP in enti pubblici economici o in società di capitali.

Nella fattispecie in esame, dunque, in carenza di una disciplina legale, la Corte d’Appello (come affermato dalla giurisprudenza di legittimità) per stabilire la natura economica o meno dell’ente pubblico avrebbe dovuto tenere presente la disciplina statutaria che regola l’attività dell’ATERP con riferimento agli scopi dell’ente.

Dall’esame dello statuto risultava che l’ATERP solo formalmente doveva essere trasformata in ente pubblico economico, ma che era già stata istituita e approntata quale ente pubblico economico.

Nè era conferente la giurisprudenza amministrativa in materia di comunità montane richiamata in nota nella sentenza di appello.

Infine, rileva la ricorrente che neppure la L.R. Calabria n. 24 del 2013 indica la qualificazione giuridica dell’ATERP regionale, come invece effettuato dallo statuto, quale ente pubblico non economico.

4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 113-115 e 116 c.p.c., degli artt. 73 e 149TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986, nel testo successivo alla riforma del 2004). Omesso esame di fatti e documenti decisivi del giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

La lavoratrice, dopo avere richiamato quanto già esposto nel secondo motivo di ricorso, prospetta che la Corte d’Appello avrebbe dovuto prendere in esame tutta la disciplina legale, e non solo la L.R. n. 27 del 1996.

Assume, in particolare, rilievo l’art. 73 TUIR, commi 4 e 5, che ai fini della qualificazione dell’ente pubblico come economico o meno, attribuisce rilievo alla legge istitutiva, allo statuto e all’atto costitutivo dell’ente e, in mancanza dello statuito e dell’atto costitutivo, all’attività effettivamente svolta.

La ricorrente richiama, altresì, l’art. 149 TUIR, che prevede, in particolare, che, indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualificazione di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta; prospetta in sintesi la definizione di ente pubblico non economico (persona giuridica istituita secondo norme di diritto pubblico, ed attraverso il quale la pubblica amministrazione svolge una funzione amministrativa) ed ente pubblico economico (ente che agisce in veste imprenditoriale, attraverso strumenti privatistici e svolge in via principale o esclusiva attività di produzione per il mercato e di intermediazione nello scambio di beni e servizi, e cioè attività economica come gli imprenditori privati, art. 2082 c.c.).

Infine, evidenzia le caratteristiche che accomunano le ATERP, nella specie quella di Catanzaro, alle aziende aventi natura commerciale: la titolarità di partita IVA; l’iscrizione nel registro delle imprese; la stipula di contratti di diritto privato, nella specie contratti di locazione a seguito di trattativa privata con applicazione aliquota IVA superiore rispetto a quella prevista per un ente pubblico economico; lo svolgimento di attività commerciale per più periodi di imposta; l’attribuzione dei ricavi ad attività commerciale, preponderanti rispetto ai trasferimenti dello Stato e/o di altri enti pubblici; l’usufruire di deduzioni in relazione al costo del lavoro; l’autonomia organizzativa e amministrativa; la soggettività tributaria.

5. I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

6. Va premesso che ratione temporis è applicabile alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.

Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicchè quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perchè non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

7. In sintesi, le diverse censure prospettate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dalla lavoratrice con i tre motivi di ricorso rinvengono un punto comune e centrale nella doglianza dell’erronea interpretazione che la Corte d’Appello ha dato del combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, della L.R. Calabria n. 27 del 1996, art. 6 attribuendo all’ATERP della Provincia di Catanzaro natura di ente pubblico economico, senza prendere in considerazione lo statuto e la disciplina del TUIR, nonchè l’attività commerciale.

Le stesse non sono fondate.

8. In via preliminare si impone una ricognizione, anche sotto un profilo storico, della disciplina che viene in rilievo, in particolar modo per ricostruire il passaggio dalla disciplina statale alla disciplina regionale, anche con riguardo alla riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione, a cui è corrisposta la trasformazione degli IACP in ATERP, peraltro sollecitata dai cenni contenuti nel secondo motivo di ricorso alla L. n. 254 del 1903 e al cd. decentramento amministrativo.

9. Pur potendosi richiamare, la L. n. 254 del 1903 sulle case popolari e il R.D. 28 aprile 1938, n. 1165 “Testo unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica”, quali indici di una attenzione al “bisogno di provvedere alloggi per le classi meno agiate” (Corte Cost., sent. n. 135 del 1998), è alla Legge Quadro n. 865 del 1971, in particolare artt. 6 e 8, e al D.P.R. 30 dicembre 1972 n. 1036, che occorre rifarsi per una sistematica disciplina degli IACP, per poi giungere al D.P.R. n. 616 del 1977, a cui seguivano, dopo alcuni anni, le discipline regionali in materia, tra cui quella della Regione Calabria.

10. Va infatti posto in evidenza come il D.P.R. n. 616 del 1977, non sopprimeva, ma conservava e comunque subordinava a scelte di competenza regionale la figura dell’Istituto autonomo delle case popolari, quale ente proprietario e gestore del patrimonio immobiliare (art. 93, comma 2).

E con tali caratteri e attribuzioni l’Istituto veniva considerato, oltre che dalla L. n. 513 del 1977, dalla successiva L. n. 457 del 1978.

11. Il D.P.R. n. 616 del 1977, artt. 87,88,93 e 94, prevedeva il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di edilizia residenziale pubblica, eccezione fatta per la programmazione nazionale, la previsione di programmi congiunturali di emergenza, nonchè la determinazione dei criteri per le assegnazioni di alloggi e per la fissazione dei canoni.

La competenza legislativa regionale in materia di edilizia residenziale pubblica era pertanto all’epoca “riconducibile all’art. 117 Cost., comma 1” (nel testo anteriore alla riforma del Titolo V, Parte II, Cost.), e gli Istituti autonomi delle case popolari dovevano essere “considerati come enti regionali” (cfr., Corte Cost., sent. n. 1115 del 1988).

Dalla suddetta competenza legislativa regionale concorrente (l’unica prevista dalla Costituzione per le Regioni ordinarie prima della riforma del Titolo V) veniva tratta la conclusione che alle Regioni fossero conferiti “ampi poteri di programmazione e di gestione degli interventi pubblici (…) nonchè l’organizzazione del servizio, da esercitare in conformità dei principi stabiliti dalla legge di riforma delle autonomie locali” (cfr., Corte Cost., sent. n. 393 del 1992).

12. L’approdo della evoluzione giurisprudenziale, anteriore alla riforma del Titolo V, veniva raggiunto con l’affermazione secondo cui “si è parlato di piena cognitio delle regioni, sia amministrativa sia (per il parallelismo delle funzioni) legislativa, in materia di edilizia residenziale pubblica, cosicchè potrebbe ritenersi ormai formata, nell’evoluzione dell’ordinamento, una “nuova” materia di competenza regionale (…) l’edilizia residenziale pubblica appunto – avente una sua consistenza indipendentemente dal riferimento all’urbanistica e ai lavori pubblici” (Corte Cost., sent. n. 27 del 1996).

13. Dopo la riforma del Titolo V, il quadro sistematico non è cambiato, nel senso che la consistenza della materia non ha subito variazioni dipendenti da una nuova classificazione costituzionale o da una diversa sistematizzazione legislativa di principio.

La “nuova materia” ha continuato ad esistere come corpus normativo, tuttavia, nell’attuale quadro costituzionale, la stessa possiede quel carattere di “trasversalità” individuato dalla giurisprudenza costituzionale a proposito di altre materie non interamente riconducibili nell’ambito di una denominazione contenuta nell’art. 117 Cost.

14. Pertanto, dopo il mutamento della sistematica costituzionale sul riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, la materia dell’edilizia residenziale pubblica si articola su tre livelli normativi (Corte Cost., sent. n. 94 del 2007, ord. n. 32 del 2008, sent. n. 166 del 2008).

Il primo riguarda la determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale determinazione – che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. m), – si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale (cfr., Corte Cost., sent. n. 486 del 1995).

Il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia “governo del territorio”, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 3 (Corte Cost., sent. n. 451 del 2006).

Il terzo livello normativo, che qui viene in rilievo, rientrante nell’art. 117 Cost., comma 4 e dunque rimesso alla potestà legislativa residuale della Regione, riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale.

15. L’excursus normativo e giurisprudenziale sopra delineato mette in evidenza come la legislazione regionale in materia, tra cui quella della Regione Calabria che qui viene in rilievo che ha trasformato gli IACP negli ATERP, è stata adottata nell’ambito del complesso iter di trasferimento delle funzioni amministrative e (specularmente) legislative alle Regioni, che si sono trovate a dover rimodulare gli enti cui era devoluta la gestione dell’edilizia residenziale pubblica “in attuazione di quanto previsto dal D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 13 e 93 e in conformità ai principi stabiliti dalla L. 8 giugno 1990, n. 142”, come si legge nella L.R. n. 27 del 1996, art. 6.

Enti, gli IACP, che come questa Corte ha più volte affermato sono enti pubblici non economici (Cass., S.U., n. 2397 del 1979; Cass. S.U., n. 947 del 1981; Cass. n. 1126 del 1982; Cass., n. 15196 del 2017).

16. Nell’esercizio della potestà legislativa residuale, la Regione Calabria ha disposto la graduale trasformazione degli IACP in enti pubblici economici, sancendo da subito la trasformazione degli IACP operanti nelle singole Province in aziende territoriali per l’edilizia residenziale pubblica aventi la medesima competenza territoriale e il subentro di diritto, di queste ultime, fin dal momento della loro istituzione, nei rapporti giuridici e patrimoniali già facenti capo agli istituti preesistenti, ma rinviando ad un’ulteriore fase la trasformazione da ente pubblico economico a ente pubblico non economico.

Al fine di realizzare la trasformazione della natura giuridica dell’ente, dunque, la L.R. n. 27 del 1996 ha disposto un percorso graduale (che non si completava, venendo poi adottata in materia la L.R. n. 24 del 2013, che abrogava la L. n. 27 del 1996), in cui specifica attenzione è stata dedicata alla disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti.

17. Quindi, come affermato dalla Corte d’Appello, la L.R. che ha istituito le ATERP assume precipuo rilievo per stabilire la natura giuridica dell’ATERP della Provincia di Catanzaro, nella specie in relazione alla determinazione della disciplina applicabile ai rapporti di lavoro.

18. In proposito, si può ricordare che questa Corte, con la sentenza n. 15196 del 2017, relativa all’ATER del Comune di Roma, ha escluso che la natura giuridica del rapporto di lavoro con i propri dipendenti potesse discendere dalle finalità perseguite, che ben potevano rilevare per altri profili, osservando invece, a tal fine, che dalla qualificazione giuridica della L.R. Lazio n. 30 del 2002, art. 2, comma 3, dell’ATER come ente pubblico economico strumentale della Regione, dotato di personalità giuridica e di economia imprenditoriale, patrimoniale, finanziaria e contabile, discendeva la natura privatistica del rapporto di lavoro con i propri dipendenti.

Con la sentenza n. 7295 del 2018, analogamente si rinveniva nel dettato legislativo regionale, rispetto al quale era coerente lo statuto, la qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro, atteso che la L.R. Lombardia n. 13 del 1996, art. 4, comma 1, primo periodo stabiliva “Gli Istituti Autonomi Case Popolari (I.A.c.p.) della Regione Lombardia sono trasformati in Aziende Lombarde per l’Edilizia Residenziale (ALER)”. La medesima disposizione prevedeva al comma 2 che: “Le ALER sono enti pubblici di natura economica, dotati di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e organizzativa, patrimoniale e contabile e di proprio statuto approvato dal consiglio regionale”.

19. L’affermazione di questa Corte, a Sezioni Unite civili (sentenza n. 10968 del 2001, richiamata con altre pronunce dalla ricorrente), che l’indagine rivolta a stabilire se un ente pubblico sia o no economico deve essere compiuta tenendo presente la disciplina legale e statutaria che ne regola l’attività, dovendosi fare particolare riferimento agli scopi dell’ente medesimo, peraltro, non equipara le due fonti, legislativa e statutaria, che hanno diversa valenza.

Nella specie, d’altra parte, come riconosce la stessa ricorrente (pag. 11 del ricorso) lo statuto dell’ATERP della Provincia Catanzaro, all’art. 1 affermava che l’ATERP della Provincia di Catanzaro era ente pubblico dotato di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile, utilizzando quindi un’espressione analoga a quella della L.R..

20. Va altresì ricordato, venendo qui in rilievo la natura giuridica dell’ATERP della Provincia di Catanzaro ai soli fini della qualificazione dei rapporti di lavoro, come la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, decisioni sentenza n. 2660 del 2015, n. 3043 del 2016) ha accolto una nozione funzionale di ente pubblico, ammettendosi che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica.

21. Tanto premesso, quindi, come afferma la Corte d’Appello, oltre al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, va presa in considerazione la legislazione regionale di settore.

Nella specie, la L.R. n. 27 del 1996, all’art. 6, comma 1, sancisce che gli Enti regionali operanti nel settore dell’edilizia residenziale pubblica, già denominati Istituti autonomi per le case popolari, dall’entrata in vigore della presente L.R. sono trasformati in Aziende territoriali per l’edilizia residenziale pubblica.

Il medesimo art. 6, comma 2 stabilisce: “Le A.T.E.R.P. sono Enti pubblici dotati di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile, hanno sede nel capoluogo di ogni provincia ed operano nel territorio della stessa. Successivamente all’entrata in vigore della legge quadro di riassetto degli I.A.c.p., con L.R. le A.T.E.R.P. saranno trasformate in Enti pubblici economici dotati di autonomia patrimoniale e imprenditoriale, secondo i principi di cui alla suddetta legge nazionale”.

Il comma 3 ha poi sancito: “Le A.T.E.R.P., sin dal momento della loro istituzione a seguito della trasformazione dei preesistenti istituti Autonomi per le Case Popolari subentrano, di diritto, nei rapporti giuridici e patrimoniali già facenti capo a detti Istituti” (cfr., Cass., n. 21209 del 2014).

22. La trasformazione di cui al citato art. 6, comma 2 non aveva luogo, venendo adottata poi la L.R. n. 24 del 2013, che all’art. 7 istituiva l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica regionale, ente ausiliario della Regione in materia di edilizia residenziale pubblica, con l’accorpamento delle Aziende regionali per l’edilizia residenziale istituite con la citata L.R. n. 27 del 1996.

23. Il legislatore regionale, dunque, ha inteso rimandare in modo chiaro a una successiva fase, condizionata all’entrata in vigore della legge quadro di riassetto degli IACP, la trasformazione dell’ATERP da ente pubblico non economico, come già era lo IACP, in ente pubblico economico, precisando la persistente qualificazione, nelle more, dei rapporti di lavoro quali rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato, riconducibili al Comparto Regioni – Autonomie locali.

24. In tal senso depongono la medesima L.R. n. 27 del 1996, artt. 9 e 21.

L’art. 9, nel disciplinare la struttura organizzativa dell’ATERP, stabilisce che “Ciascuna Azienda territoriale di edilizia residenziale pubblica (A.T.E.R.P.) costituisce una struttura organizzativa articolata in un settore amministrativo ed in un settore tecnico, in servizi ed uffici, in analogia a quanto previsto dalla L.R. 13 maggio 1996, n. 7”.

La L.R. n. 7 del 1996, che reca “Norme sull’ordinamento della struttura organizzativa della Giunta regionale e sulla dirigenza regionale”, all’art. 1, comma 3, prevede, quale norma di chiusura, che: “Per quanto non previsto dalla presente legge valgono le disposizioni del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni, nonchè quelle dei contratti collettivi nazionali stipulati ai sensi del Titolo III del predetto decreto legislativo”, richiamando quindi la disciplina del lavoro pubblico contrattualizzato.

La L.R. n. 27 del 1996, art. 21 che reca “Stato giuridico e trattamento economico del personale”, a sua volta sancisce che “Fino alla emanazione della L.R. di trasformazione delle A.T.E.R.P. in Enti pubblici economici ai dirigenti ed al personale delle Aziende si applicano gli istituti attinenti lo stato giuridico ed economico nonchè previdenziale, rispettivamente, dei dirigenti e dei dipendenti regionali, così come previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto del personale delle “Regioni – Autonomie locali”, nonchè di ogni altro provvedimento legislativo statale o regionale in materia di personale”.

25. Il combinato disposto della L.R. n. 27 del 1996, artt. 6, 9 e 21 indica che il legislatore regionale ha inteso mantenere in capo all’ATERP della Provincia di Catanzaro, quanto ai rapporti di lavoro con i propri dipendenti, la natura di ente pubblico economico, con la conseguente applicazione della disciplina legale e contrattuale del pubblico impiego contrattualizzato, e dunque del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36.

Nè la ricorrente ha dedotto essere intervenuta una diversa regolamentazione statutaria dei rapporti di lavoro dell’ATERP della Provincia di Catanzaro, il cui art. 1, tra l’altro, si limitava a riprodurre, nella sostanza, la qualificazione di ente pubblico dotato di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile, in modo analogo alla L. n. 27 del 1996.

26. Con riguardo al terzo motivo di ricorso, anche in relazione al richiamo delle disposizioni statutarie effettuato nel secondo motivo di ricorso, va, altresì, precisato quanto segue.

Così come ha affermato la riconducibilità al lavoro pubblico contrattualizzato dei rapporti di lavoro dei dipendenti ATERP, la L.R. n. 27 del 1996, art. 7, commi 3 e 4, nel disciplinare l’attività dell’Azienda, stabilisce che: per lo svolgimento di queste attività le ATERP potranno compiere tutte le necessarie attività commerciali, finanziarie, mobiliari ed immobiliari che siano disposte dal Consiglio di Amministrazione; per il conseguimento delle predette finalità le ATERP potranno inoltre partecipare, sia con altri soggetti pubblici che privati, a società commerciali, consorzi od associazioni che abbiano oggetto sociale analogo, affine o connesso a quello dell’Azienda, purchè le modalità di tali partecipazioni consentano di garantire l’interesse dell’Azienda stessa.

Con tale previsione – che è distinta e non interferisce con la disciplina dedicata dalla L.R. n. 27 del 1996, artt. 9 e 21 ai rapporti di lavoro – nonchè con la soggettività giuridica ed autonomia riconosciuta all’ATERP della Provincia di Catanzaro, sono coerenti non solo le disposizioni statutarie richiamate dalla ricorrente nella trattazione del secondo motivo di ricorso, ma anche lo svolgimento di un’attività commerciale.

Dunque, le relative deduzioni della lavoratrice, lungi dall’offrire un dato dirimente da cui far discendere la natura di ente pubblico economico dell’ATERP della Provincia di Catanzaro in relazione ai rapporti di lavoro, indicano delle modalità di realizzazione delle persistenti finalità pubblicistiche dell’ente, previste dalla L.R. e, in coerenza con questa, dallo statuto, che, non sono rilevanti rispetto alla fattispecie in esame, come affermato dalla Corte d’Appello.

27. Va, inoltre, rilevato che la normativa fiscale specificamente richiamata dalla lavoratrice nei motivi di ricorso (D.P.R. n. 987 del 1986, artt. 73, 144 e 149; D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 10) disciplina i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società, i criteri determinazione dei redditi per l’attività commerciale, la perdita della qualifica di ente non commerciale, la determinazione del valore della produzione netta dei soggetti passivi dell’IRAP, e delinea un quadro di regole finalizzate alla effettività e correttezza della contribuzione tributaria, in attuazione dell’art. 53 e 119 Cost., che si inscrivono nel più ambio sistema tributario e contabile di cui all’art. 117 Cost., comma 2, lett. e).

Tale disciplina, pertanto, in ragione della sua specificità e finalizzazione, concorre a definire la complessiva disciplina di un soggetto giuridico (per quanto attiene al profilo tributario), la cui qualificazione giuridica, tuttavia, deve tener conto della disciplina sostanziale civilistica o pubblicistica e nella specie della legislazione statale e regionale sugli IACP e sugli ATERP sopra richiamata.

28. Quanto ai profili di censura connessi alla documentazione richiamata nel terzo motivo di ricorso si rileva l’inammissibilità degli stessi atteso che i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l'”atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di specificità (cfr., Cass., n. 29093 del 2018).

Tale onere nella specie non è stato assolto, atteso che la critica alla sentenza della Corte d’Appello, nella quale non vi è espressa menzione di tale documentazione (il giudice di secondo grado ha ritenuto la irrilevanza “degli elementi dai quali la reclamante desume che l’ATERP sia stata approntata per operare come ente pubblico economico”, atteso il corretto rilievo attribuito alla legislazione regionale) è svolta senza ripercorrere le deduzioni che sarebbero state prospettate e disattese nei gradi di merito in relazione alla articolata documentazione contabile, contributiva e fiscale richiamata nel motivo di ricorso per cassazione (in particolare pagg. 17-20 del ricorso), peraltro in parte indicata come allegata nel “fascicoletto Cassazione” senza l’indicazione circostanziata del luogo di produzione della stessa tempestivamente, nei precedenti gradi di giudizio.

29. Nè sono ravvisabili le condizioni che integrano il vizio di omesso esame cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite civili, sopra richiamata, con conseguente inammissibilità dei relativi profili di censura, con i quali si deduce in effetti un vizio di motivazione, peraltro per le ragioni sottese alla deduzione dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, ritenuti non fondati in ragione di quanto sopra esposto.

30. Il ricorso deve essere rigettato.

31. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

32. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00, per esborsi, Euro 5.500,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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