Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29615 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. I, 14/11/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 14/11/2019), n.29615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22940/2018 proposto da:

S.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Carmelo Cataudella,

del foro di Ragusa, domiciliato presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto n. 2410/2018 del Tribunale di Brescia, depositato

il 21/6/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/10/2019 dal cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 21.6.2018, il Tribunale di Brescia ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da S.A., cittadino del Gambia, il quale aveva narrato di esser partito perchè si era convertito alla religione cattolica, in ciò avversato dal patrigno, ministro del culto musulmano, e perchè, nel corso di un diverbio col patrigno per motivi religiosi, i fratellastri lo avevano attaccato, e nel reagire, ne aveva ferito uno, che era poi morto. Temeva quindi di essere ucciso sia per la sua conversione, che per quanto accaduto al fratellastro.

Il Tribunale ha ritenuto il racconto del richiedente inattendibile, ha quindi ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, del pari insussistente la situazione di violenza generalizzata in Gambia ed indimostrate specifiche situazioni soggettive, tali da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno umanitario.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero sulla base di tre motivi. Non ha svolto difese l’Amministrazione intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e segg..

Il ricorrente, che enuncia i principi e le disposizioni in tema di riconoscimento dello status di rifugiato lamenta, in particolare, che il Tribunale non li abbia applicati alla sua persona, tenuto conto che la popolazione del Gambia è quasi interamente musulmana e che il governo isola e punisce chiunque abbia un credo o un’idea politica differente. Il ricorrente aggiunge che il Tribunale ha errato nella valutazione di non credibilità delle dichiarazioni da lui rese in riferimento a circostanze marginali, quando invece la sua narrazione era del tutto puntuale.

2. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente è stato ritenuto non credibile per le innumerevoli contraddizioni e circostanze inverosimili allegate (conversione a 29 motivata dalla scoperta del suo nome – A. invece che M. – datogli dal padre in onore di un turista inglese; nessuna conoscenza dei principi del cristianesimo; incongruenze dell’episodio dell’aggressione, nessuna prova circa il nesso tra l’infausta sorte del fratello ed il suo gesto, motivato da legittima difesa, pienamente riconosciuta in quel sistema e dalla stessa legge islamica; genericità delle ragioni addotte circa la mancata richiesta di intervento della polizia), e tale valutazione, peraltro effettuata in conformità dei parametri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 attinge al giudizio di fatto rimesso al giudice del merito, ed insindacabile in questa sede, se non nei ridotti limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e tanto non è stato dedotto.

3. Col secondo motivo, si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in riferimento al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria. Il tribunale, lamenta il ricorrente, non ha considerato il “danno grave” di cui è stato già vittima, essendo stato “picchiato selvaggiamente solo per non aver voluto eseguire la preghiera islamica”, per esser stato costretto “a non studiare il cattolicesimo” e per esser stato obbligato a lavorare nei campi come punizione per la sua conversione.

4. Il motivo è inammissibile: esso sconta il giudizio negativo sulla credibilità della narrazione dello straniero, a parte che introduce elementi di novità (del lavoro nei campi il decreto non tratta) e comunque deduce fatti privati.

5. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

6. Anche questo motivo è inammissibile.

7. A parte che la credibilità soggettiva costituisce un presupposto per il riconoscimento, anche di tale titolo di soggiorno, va rilevato che il Tribunale, ha escluso la ricorrenza di situazioni di vulnerabilità, e che tale apprezzamento attiene al merito, nè il ricorrente, che indica quale sua vulnerabilità le violenze psichiche e fisiche subite in Patria, espone le ragioni per le quali la decisione sarebbe giuridicamente erronea, sicchè la censura tende ad un diverso apprezzamento dei fatti.

8. Non si fa luogo a statuizioni sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’Amministrazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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