Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29614 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. I, 16/11/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 16/11/2018), n.29614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 8458/2014 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato in Roma, Largo Leopoldo

Fregoli n. 8, presso lo studio dell’Avvocato Fabio Massimo

Cozzolino, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a., in persona del Collegio dei Curatori

Dott.ssa P.L., Avv. B.P.G. e Dott.

F.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via Panama n. 74,

presso lo studio dell’Avvocato Pierluigi Valentino, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Paolo Bosticco giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2999/2014 del TRIBUNALE di MILANO, depositato

il 3/3/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2018 dal Cons. Dott. PAZZI ALBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha chiesto l’accoglimento del primo e del secondo

motivo del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Fabio Massimo Cozzolino, che si

è riportato agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Giudice delegato al fallimento (OMISSIS) s.p.a. non ammetteva al passivo della procedura il credito di Euro 23.333,32 vantato dall’Avv. S.R. per prestazioni professionali stragiudiziali ravvisando la carenza di legittimazione attiva dell’istante, dato che la società fallita in realtà aveva stipulato un contratto con uno studio legale associato; quanto al credito di Euro 69.999,96, oltre oneri previdenziali e fiscali, accessori e interessi, vantato per prestazioni giudiziali il Giudice delegato ammetteva la minor somma di Euro 18.361,5, oltre I.V.A. e cassa previdenziale, escludendo il maggior credito azionato di competenza di un diverso legale e riducendo la pretesa in considerazione della ripetitività di parte dell’attività svolta.

2. Il Tribunale di Milano, con decreto depositato in data 3 marzo 2014, rigettava l’opposizione proposta dall’Avv. S.R..

Il collegio dell’opposizione osservava, rispetto alla pretesa ricollegata allo svolgimento di attività stragiudiziale, che il contratto con cui era stato conferito l’incarico professionale non era opponibile alla procedura opposta perchè privo di data certa, la quale non poteva essere attribuita nè con prova testimoniale nè poteva essere ricavata dall’ulteriore documentazione presente in atti; in particolare non giovavano a tal fine nè il richiamo al contratto contenuto in altre fatture emesse dal legale e nei preavvisi di parcella, che costituivano documenti unilaterali formati dallo stesso opponente ed erano come tali inidonei a fornire la prova di cui all’art. 2704 c.c., nè il pagamento di ulteriori corrispettivi, costituente un fatto giuridico privo di gravità e precisione rispetto alla data da dimostrare, nè gli ulteriori documenti tardivamente prodotti.

In ogni caso non era stata offerta alcuna dimostrazione dell’esecuzione di tali prestazioni professionali nè in via documentale nè tramite la formulazione di idonea prova orale.

In merito alle prestazioni giudiziali il Tribunale, una volta esclusa l’opponibilità del contratto di mandato professionale ai fini dell’applicazione dei valori medi degli onorari, condivideva la quantificazione delle prestazioni proposta dalla curatela e fatta propria dal Giudice delegato, dovendosi tenere conto del carattere seriale delle cause e dell’apporto dato dai codifensori.

3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia l’Avv. S.R., al fine di far valere due motivi di impugnazione. Ha resistito con controricorso il fallimento (OMISSIS) s.p.a..

A seguito della chiusura del fallimento con un concordato fallimentare si è costituita in questo giudizio di legittimità (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione depositando memoria con cui la società ha rappresentato in via preliminare che la procedura concorsuale si è chiusa con un concordato fallimentare nell’ambito del quale sono stati fatti specifici accantonamenti in relazione ai contenziosi pendenti.

La sesta sezione di questa Corte, nel ritenere che rispetto alla sola ratio decidendi attinente al difetto di data certa del conferimento dell’incarico professionale entrambe le censure apparissero manifestamente fondate, ha ricordato che tale data può essere provata per testimoni, con la conseguente necessità di esaminare la rilevanza dei capitoli riprodotti in ricorso anche alla luce del principio di prova scritta costituito dal pagamento di fatture relative ad altre prestazioni professionali stragiudiziali riguardanti il medesimo incarico, ed ha ritenuto di disporre la trattazione in pubblica udienza.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. E’ stata depositata da parte di (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione una visura da cui risulta la sopravvenuta chiusura, in data 10 luglio 2015, della procedura fallimentare.

La documentazione non rileva ai fini della procedibilità di questo giudizio di legittimità, in quanto non è possibile applicare al caso di specie il generale principio secondo cui, nel caso di fallimento sottoposto al regime introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, la sopravvenuta revoca o chiusura della procedura concorsuale rende improcedibile il giudizio di opposizione allo stato passivo per la sua natura endofallimentare, restando esclusa ai sensi della L. Fall., art. 120,l’efficacia ultrafallimentare del provvedimento con il quale il credito è stato ammesso al concorso (Cass. n. 19752/2017, Cass. n. 3075/2018).

Costituisce eccezione a questo principio il caso della chiusura del fallimento a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato fallimentare, che non impedisce la prosecuzione dei giudizi di opposizione rispetto ai crediti non ammessi al passivo; infatti in questo caso non è possibile escludere l’interesse delle parti a coltivare le opposizioni già proposte e l’efficacia ultrafallimentare del provvedimento che, all’esito delle stesse, disporrà in merito all’ammissione al concorso, tenuto conto degli accantonamenti effettuati in sede concordataria e del fatto che l’esclusione dal passivo dei crediti impugnati comporterebbe, una volta divenuta definitiva, il venir meno dell’obbligo della società fallita tornata in bonis di soddisfare i medesimi (cfr. Cass. n. 28492/2005).

5.1 Il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2704,2740,2741,2709 e 2710 c.c., L. Fall., artt. 31,93,94,95,96 e 97: in tesi di parte ricorrente il Tribunale di Milano, ove avesse applicato i principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in merito al fatto che le fatture e il relativo pagamento valgono come fatti idonei a dimostrare la preesistenza del contratto a cui si riferiscono, una volta preso atto del fatto che era pacifico fra le parti che la società fallita avesse pagato i compensi concordati nel contratto di incarico professionale del 25 febbraio 2009 per il periodo marzo/giugno dello stesso anno, ne avrebbe dovuto trarre le dovute conseguenze ai sensi dell’art. 2704 c.c., rispetto all’esistenza del contratto professionale, che era stato richiamato all’interno delle fatture non onorate.

5.2 La doglianza si fonda sulla constatazione della mancata contestazione dell’avvenuto pagamento delle prime tre fatture relative al contratto d’opera professionale ed assume che questa pacifica circostanza valesse a dimostrare la preesistenza del negozio, richiamato all’interno delle fatture non saldate, all’avvio della procedura fallimentare.

Un simile motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

La doglianza presuppone, in primo luogo, che fosse pacifico fra le parti l’avvenuto pagamento, in forza del contratto sottoscritto inter partes, dei compensi concordati per il solo periodo marzo/giugno 2009, quando al contrario il Tribunale parla unicamente del pagamento di “ulteriori corrispettivi” non meglio precisati, senza spiegare se gli stessi riguardassero o meno le prime tre fatture emesse in virtù del contratto in parola.

Sotto questo profilo la censura attiene a una questione, comportante accertamenti in fatto, che non è stata espressamente affrontata nel decreto impugnato, di modo che il ricorrente avrebbe preliminarmente dovuto chiarire se la stessa fosse stata effettivamente e tempestivamente devoluta alla cognizione del giudice del gravame al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura (si veda al riguardo, fra molte, Cass. n. 23675/2013).

Oltre a ciò il motivo di ricorso, sotto le spoglie dell’eccepita violazione di legge sostanziale, tenta di introdurre un sindacato di fatto sull’esito della prova presuntiva.

In realtà il Tribunale ha tenuto conto dei pagamenti compiuti dalla fallita in favore del legale (più precisamente del “fatto che la società fallita abbia regolarmente pagato all’odierno opponente ulteriori corrispettivi”), ma ha ritenuto che questa circostanza fosse un fatto giuridico di per sè non fornito di gravità e precisione al fine di dimostrare la certezza della data del conferimento dell’incarico.

Ora secondo la costante giurisprudenza di questa Corte le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione.

Spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico, verificare la loro rispondenza ai requisiti di legge e apprezzare in concreto l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (si vedano in questo senso Cass. n. 8023/2009, Cass. n. 10847/2007, Cass. n. 1404/2001).

Risulta così inammissibile in questa sede una censura che si limiti a proporre una diversa lettura degli elementi presi in esame dal giudice del merito al fine di valutarne la pregnanza in termini di prova presuntiva.

5.1 Il secondo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2721 e 2724 c.c., art. 244 c.p.c., L. Fall., artt. 98 e 99: la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che la certezza della data del conferimento dell’incarico non potesse essere fornita con prova testimoniale quando al contrario il conferimento di mandato professionale per l’espletamento di attività stragiudiziale e il suo contenuto potevano essere dimostrati non necessariamente in forma scritta, ma con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso, e dunque anche in via testimoniale.

Oltre a ciò il Tribunale avrebbe errato nel non apprezzare i documenti depositati unitamente al ricorso in opposizione, che non potevano considerarsi tardivi pur non essendo stati prodotti in sede di formazione dello stato passivo.

Infine risulterebbe errata l’osservazione del collegio dell’opposizione, seppur estranea alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, secondo cui il destinatario dell’incarico professionale era uno studio legale associato e non vi era prova della cessione del credito da parte dello stesso all’opponente, in quanto l’orientamento giurisprudenziale richiamato dal Tribunale faceva riferimento alla diversa fattispecie in cui la domanda di ammissione al passivo era stata presentata da uno studio associato piuttosto che da un professionista, mentre nel caso in esame il rapporto d’opera si era instaurato fra (OMISSIS) s.p.a. e l’Avv. S..

5.2 Il motivo è fondato nei limiti che si vanno a illustrare.

5.2.1 La certezza della data del conferimento dell’incarico può, diversamente da quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, essere dimostrata anche facendo ricorso a una prova testimoniale; al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il mandato professionale per l’espletamento di attività di consulenza e, comunque, di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta, ad substantiam ovvero ad probationem, poichè può essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e il giudice, in sede di accertamento del relativo credito nel passivo fallimentare, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, può ammettere l’interessato a provare, anche con testimoni, sia il contratto che il suo contenuto; inoltre l’inopponibilità, per difetto di data certa ex art. 2704 c.c., non riguarda il negozio, ma la data della scrittura prodotta, sicchè il negozio e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso (in questo senso Cass. n. 2319/2016 e Cass. n. 4705/2011).

Nè osta all’ammissione di una simile prova il disposto dell’art. 2233 c.c., comma 3, che prescrive la forma scritta per i patti che stabiliscono i compensi professionali degli avvocati, in quanto questa prescrizione riguarda non l’esistenza del mandato professionale, ma la sola misura del compenso, da determinarsi, in caso di mancato ricorso alla forma necessaria per la validità della pattuizione, secondo i criteri previsti dall’art. 2233 c.c..

5.2.2 Il Tribunale, dopo aver espressamente esaminato i documenti prodotti dall’opponente da 2 a 16 ritenendo che gli stessi, redatti unilateralmente dalla parte, non potessero essere apprezzati ai fini di attribuire data certa al mandato professionale, ha reputato che gli “ulteriori documenti” – dunque tutti i documenti non esaminati in precedenza, ivi compresi perciò anche quelli depositati in uno con l’atto di opposizione sub B1, B2, B3, B4 e B5 – non fossero valutabili in quanto tardivamente prodotti.

L’esame del fascicolo processuale, cui questa corte ha accesso quale giudice del merito processuale, attesta come la produzione in realtà sia avvenuta insieme al deposito del ricorso in opposizione.

Ne deriva la tempestività della produzione, in quanto nel giudizio di opposizione solo gli atti introduttivi L. Fall., ex artt. 98 e 99, con l’onere di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti, segnano il termine preclusivo per l’articolazione dei mezzi istruttori (Cass. n. 4708/2011).

Giova rilevare come la doglianza in esame assuma rilievo anche in funzione di offrire, in via testimoniale e documentale, la prova dell’effettiva esecuzione delle prestazioni stragiudiziali, che il Tribunale ha ritenuto non provate, e dunque di criticare il secondo ordine di argomentazioni su cui si fonda il provvedimento impugnato.

5.2.3 Il decreto impugnato ha inteso prescindere, expressis verbis, dal fatto che il destinatario dell’incarico fosse uno studio associato e dalla mancanza di prova della cessione del credito di tale studio all’opponente al fine di apprezzare la fondatezza dell’opposizione proposta.

La critica a una simile osservazione, non facente parte della ratio decidendi e svolta in sovrappiù, risulta inammissibile; infatti un’affermazione che, seppur contenuta nel provvedimento impugnato, non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa per espressa indicazione dell’organo giudicante, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. n. 8755/2018, Cass. n. 23635/2010).

6. Il provvedimento impugnato andrà dunque cassato, con rinvio al Tribunale di Milano, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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