Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29613 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2011, (ud. 13/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

R.E., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DEI PARIOLI

77, presso lo studio dell’avvocato SQUILLANTE IACOPO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 75/2007 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 10/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito per il ricorrente l’Avvocato MADDALO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato SQUILLANTE, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del primo e

secondo motivo, rigetto del terzo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate ricorre contro il sig. R.E. – dirigente Enel in quiescenza, iscritto al fondo di previdenza complementare aziendale FONDENEL/P.I.A. da epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993 – per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, confermando la sentenza di primo grado, ha riconosciuto il diritto del contribuente al parziale rimborso della ritenuta d’ imposta operata sulla somma versatagli a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale; ritenuta che era stata calcolata dal sostituto d’imposta applicando sull’intero importo l’aliquota con la quale era stato tassato il TFR. La Commissione Tributaria Regionale ha preliminarmente ritenuto che le argomentazioni svolte in secondo grado dall’Ufficio (contumace in primo grado) in ordine al riscontro della sussistenza di contratti di assicurazione o capitalizzazione stipulati dalla P.I.A. o dal FONDENEL con istituti autorizzati fossero inammissibili, perchè nuove, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57. Nel merito, la Commissione Tributaria Regionale, sulla base di una certificazione rilasciata dell’Enel attestante la composizione del capitale versato al contribuente, ha distinto in detto capitale l’importo derivante dai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e l’importo derivante dal rendimento finanziario di tali contributi ed ha statuito che il primo importo è soggetto a tassazione (per la parte di contribuzione eccedente il 4% della retribuzione lorda annua dell’interessato) con la stessa aliquota del TFR, mentre il secondo importo, ridotto del 2% per ogni anno successivo al decimo, è soggetto a tassazione con l’aliquota del 12,5% fissata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, per i capitali corrisposti in dipendenza di contratto di assicurazione sulla vita.

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate si fonda su tre motivi.

Col primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, si denuncia la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in cui sarebbe incorsa la Commissione Tributaria Regionale giudicando inammissibili, perchè non proposte in primo grado, le osservazioni dell’Ufficio in ordine al riscontro della sussistenza di contratti di assicurazione o capitalizzazione stipulati dalla P.I.A. o dal FONDENEL con istituti autorizzati.

Col secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, si denuncia l’insufficiente motivazione sul fatto decisivo e controverso della quantificazione, nell’ambito della somma versata al contribuente, dell’importo proveniente dal rendimento finanziario dei contributi versati (ritenuto soggetto all’aliquota del 12,5%). In particolare, la ricorrente censura la sentenza gravata per aver quantificato l’importo derivante dal rendimento finanziario dei contributi versati basandosi esclusivamente su una certificazione del sostituto d’imposta Enel di per sè inidonea a dimostrare tale quantificazione.

Col terzo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, si denuncia la nullità della sentenza gravata per contrasto tra la motivazione ed il dispositivo.

Il contribuente resiste con controricorso.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 13.12.11, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare è opportuno sottolineare che, poichè l’oggetto del presente giudizio è una domanda di rimborso del contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non soltanto formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche sostanziale (cfr. Cass. 13057/04, Cass. 22567/04, Cass. 10797/10).

Da tale rilievo discende una duplice conseguenza: per un verso, l’onere di allegare e provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato in domanda grava sul contribuente;

per altro verso, le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o contesta che i medesimi siano qualificabili giuridicamente nei termini proposti dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale; salva l’ipotesi di formazione di un giudicato interno o – ove in concreto ne ricorrano i presupposti – l’applicazione del principio di non contestazione. Quanto a tale ultimo principio, va altresì sottolineato che esso non può essere invocato per sostenere l’assunto secondo cui la mancata contestazione, da parte dell’Ufficio, dei contenuti della certificazione rilasciata dal sostituto d’imposta Enel sulla composizione della somma erogata al contribuente implicherebbe ammissione della quantificazione del rendimento finanziario operata in detta certificazione. In proposito va precisato, per un verso, che il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore, allorchè il convenuto si limiti a negare in radice l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull’an debeatur (Cass. SS.UU 761/02); per altro verso, che il principio di non contestazione opera sul piano della prova, cosicchè nel processo tributario (nel quale pure è certamente applicabile, vedi Cass. 1540/07) esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, nè determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie (cfr. Cass. 7789/06).

Svolta tale premessa, si può procedere all’esame dei motivi di ricorso.

Il primo motivo è ammissibile, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dal contro ricorrente, individua precisamente la statuizione censurata ed è corredato da idoneo quesito. Detto motivo è altresì fondato e va accolto, perchè la statuizione che si legge al paragrafo 6.1 della sentenza gravata – secondo cui dovrebbero giudicarsi inammissibili D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57, perchè nuove, le argomentazioni svolte dall’Ufficio, con memoria depositata in secondo grado, “in ordine al riscontro della sussistenza di contratti di assicurazione o capitalizzazione stipulali dalla P.I.A. o dal FONDENEL con istituti autorizzati” – contrasta costante orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di contenzioso tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale, ma non limita la possibilità dell’Amministrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio; vedi, in termini, Cass. 5895/02, la già citata Cass. 7789/06, Cass. 22010/06 (dove si precisa che “non configura la proposizione di una nuova domanda la contestazione da parte dell’Ufficio appellante dei fatti dedotti dall’appellato in primo grado, la quale non incide sull’individuazione dell’oggetto della domanda giudiziale o dei suoi elementi costitutivi, ma solo sulla prova di tali elementi”), Cass. 13659/09 e, da ultimo, Cass. 3338/11.

Il secondo motivo di ricorso è pur esso ammissibile – perchè, al contrario di quanto argomenta il contro ricorrente, non investe la Corte di cassazione dell’esame diretto del fatto, ma censura lacune del percorso motivazionale del giudice di merito – e va altresì giudicato fondato. Osserva al riguardo la Corte che la questione del trattamento tributario delle somme corrisposte a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale erogato dal fondo previdenziale FONDENEL/P.I.A. è stata recentemente chiarita dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13642 del 2011, resa in controversia analoga, che ha affermato il seguente principio: “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate informa capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n, 124 del 1993, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17).

Alla stregua di tale principio, il meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 (aliquota del 12,5% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) si applica a coloro che siano iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale FONDENEL/P.I.A. da epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, solo limitatamente agli importi maturati entro il 31.12.2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento finanziario del capitale; per tale intendendosi, come espressamente precisato nella parte motiva della citata sentenza delle Sezioni Unite (ultima parte del penultimo periodo del paragrafo 6.1), il “rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato”.

Il secondo mezzo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate va quindi giudicato fondato, perchè la sentenza gravata – pur affermando il corretto principio di diritto secondo cui l’aliquota del 12,5% si applica solo sulla parte del capitale erogato al contribuente che corrisponde al rendimento finanziario generato dall’impiego sul mercato delle somme versate dal lavoratore e dal datore di lavoro a titolo di contribuzione – è tuttavia viziata da insufficiente motivazione in ordine all’accertamento (sul quale non si era formato alcun giudicato interno con la sentenza di primo grado) degli investimenti concretamente effettuati sul mercato finanziario, sulla base delle norme contrattuali via via applicabili, e delle plusvalenze con essi realizzati e, quindi, in ordine alla concreta quantificazione, nel caso di specie, dell’importo corrispondente a detto rendimento finanziario. La Commissione Tributaria Regionale ha infatti operato tale quantificazione senza svolgere alcuna analisi dei meccanismi di funzionamento del fondo FONDENEL/P.I.A. nel corso degli anni e limitandosi a recepire acriticamente il contenuto della “analitica certificazione del sostituto d’imposta Enel” (paragrafo 6.2 della sentenza gravata), della quale, tuttavia, non specifica, nè quindi giustifica, i criteri di formazione. In tal guisa la sentenza gravata omette di accertare se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato finanziario, quali siano stati i risultati dell’investimento ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali; la Commissione Tributaria Regionale, cioè, omette di spiegare le ragioni che dimostrerebbero che l’importo che essa ha ritenuto soggetto all’aliquota del 12,5% corrisponde effettivamente all’importo del rendimento finanziario derivato dall’impiego sul mercato dei capitali degli accantonamenti effettuati negli anni dal lavoratore e dal datore di lavoro. La sentenza va quindi cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale che procederà a quantificare, previa disamina delle concreta operatività del Fondo nell’arco degli anni, la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcolerà l’imposta dovuta dal contribuente (e, conseguentemente, l’ammontare del suo credito restitutorio) applicando solo a tale importo l’aliquota del 12,5%, secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.

Il terzo motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo.

In definitiva, il ricorso va accolto e, per l’effetto, la sentenza gravata va cassata con rinvio, dovendosi rimettere le parti alla Commissione Tributaria Regionale perchè questa si pronunci sulla domanda restitutoria del contribuente determinando l’imposta da costui dovuta secondo i principi sopra enunciati. Spese al merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza gravata e rinvia le parti alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in altra composizione, che si atterrà ai principi di cui in motivazione e regolerà anche le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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