Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29613 del 11/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 29613 Anno 2017
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GHINOY PAOLA

ORDINANZA
sul ricorso 20678-2016 proposto da:
PITEO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in RONLk, PRESS()
LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE GENTILE;

– ricorrente contro
FINSERVICE SPA, in persona del legale rappresentante,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata
e difesa dagli avvocati DONATO DI PINTO, RAFFAELE
CASTRIOTTA;

– controricorrente avverso Li senrenza n, 3261/2015 della CORTE D’APPELLO di
BARI, depositata l’08/03/2016;

(

C.

Data pubblicazione: 11/12/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 09/11/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;
rilevato che:
1. la Corte d’appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale
di Foggia che aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento intimato

Centro medico di riabilitazione vita, a seguito di contestazione
disciplinare del 5/3/2012 con la quale gli si addebitava di avere svolto
altra attività lavorativa, nel corso di assenze per infortunio e per
assistenza disabile ex art. 33 comma 3 della legge n. 104 del 1992;
2. per la cassazione della sentenza Giuseppe Piteo ha proposto
ricorso, affidato a tre motivi:
2.1. come primo motivo, deduce la violazione e/o falsa
applicazione della legge n. 300 del 1970 art. 7 comma 2, e della legge n.
604 del 1966 art.2, per avere la Corte territoriale ritenuto specifiche le
contestazioni disciplinari;
2.2. con il secondo motivo, attinge la sentenza nella parte in cui la
Corte territoriale ha ritenuto provata la circostanza che il soggetto
riprodotto nelle foto e controllato dagli investigatori privati fosse il
ricorrente, così violando e falsamente applicando gli articoli 115 e 116
c.p.c.;
2.3. come terzo motivo, censura la sentenza impugnata nella parte
in cui ha ritenuto rispettato il principio di gradualità e proporzionalità
nell’applicazione della sanzione disciplinare, nonché l’esistenza della
giusta causa di recesso, violando e falsamente applicando l’articolo 41
del C.C.N.L., che prevede l’applicazione di sanzioni comportanti la
conservazione del posto di lavoro per le ipotesi di “condotte
comportanti pregiudizio all’economia, all’ordine e all’immagine della
struttura sanitaria”. Lamenta che la Corte abbia ignorato le seguenti
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da Finservice S.p.A. a Giuseppe Piteo, addetto all’assistenza presso il

circostanze, che attenuavano la gravità del fatto: che l’assenza dal
lavoro era giustificata e legittima; che non sussiste per il lavoratore un
divieto assoluto di prestare attività presso terzi durante l’assenza per
malattia; che egli in 23 anni di servizio non aveva subito alcuna
sanzione disciplinare;

Considerato che:
1. il primo motivo non è fondato.
Il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità nella
materia delle sanzioni disciplinari, come regolata dall’art. 7 St. lav., è nel
senso che la previa contestazione dell’addebito ha lo scopo di
consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente
rivestire il carattere della specificità, integrato esclusivamente qualora
vengano fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare,
nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia
ravvisato infrazioni disciplinari. L’accertamento relativo alla sussistenza
di tale requisito costituisce oggetto di un’indagine di fatto,
incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e di
congruità delle ragioni esposte dal giudice del merito (ex multis, Cass.
21/04/2017, n. 10154; Cass. 13/06/2013, n. 14880, Cass. 6 maggio
2011,n. 10015);
1.1. la Corte territoriale si è attenuta a tale principio, rilevando che
il fatto materiale addebitato al Piteo era adeguatamente circostanziato e
idoneo a consentire un’adeguata difesa, considerato che l’indicazione
delle giornate in cui sarebbe stata svolta l’attività lavorativa era
sufficiente a porre il lavoratore in grado di difendersi;
1.2. occorre peraltro puntualizzare che la contestazione
disciplinare deve delineare l’addebito così come individuato dal datore
di lavoro e quindi la condotta ritenuta disciplinarmente rilevante, in
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3. la Finservice s.p.a. ha resistito con controricorso.

modo da perimetrare anche l’ambito dell’ attività difensiva del
lavoratore: nel caso, non era quindi necessario che il datore di lavoro
indicasse, per assolvere agli oneri imposti dall’art. 7 della legge n. 300
del 1970, anche di quale attività lavorativa si trattasse, considerato che
nella sua prospettazione qualunque attività lavorativa era ritenuta

controllo, successivo, dell’idoneità della condotta contestata a
costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso);
2. il secondo motivo è inammissibile.
Al di là della rubrica di stile, si chiede in definitiva una
rivalutazione delle risultanze probatorie al fine di giungere da un
risultato difforme da quello della Corte di merito e più consono alle
aspettative del ricorrente in merito al riconoscimento del soggetto che,
nelle giornate indicate, svolgeva attività di venditore ambulante.
Occorre tuttavia rilevare che al presente giudizio si applica ratione
tempolis la formulazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta

dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con
modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al “minimo
costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso
chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8Q53 del 2014, secondo
il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono
essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in
una sostanziale omissione, né può fondare il motivo in questione
l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad
una circostanza che è stata comunque -valutata dal giudice del merito,
come è stato nel caso;
3. infondato è infine il terzo motivo.
In virtù di costante giurisprudenza di questa S.C., per giustificare
un licenziamento disciplinare i fatti addebitati devono rivestire il
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inconciliabile con le ragioni dell’assenza (diverso problema essendo il

carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale
da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario; la relativa
valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti
.afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione
delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni

soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai
motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo
(cfr., per tutte, Cass. n. 13149 del 24/06/2016, Cass. n. 25608 del
03/12/2014).
3.1. A tali principi si è attenuta la Corte di merito, che, nel valutare
l’incidenza della condotta contestata sul vincolo fiduciario, ha tenuto
conto di rutti gli elementi del caso concreto, ma ha valorizzato in
particolare la condotta fraudolenta del Piteo che, ingannando la parte
datoriale sull’effettività delle ragioni dell’astensione dal lavoro,
svolgendo attività lavorativa in luogo distante da quello di lavoro per
impedire l’accertamento della propria condotta, sottraendosi al proprio
lavoro che comportava anch’esso cura e assistenza verso soggetti
abbisognevoli, aveva realizzato una condotta idonea a ledere il vincolo
fiduciario, “avuto riguardo altresì alla causale del permesso per
disabilità disonorata dall’evidente disinteresse manifestato nei riguardi
del familiare meritevole di negata assistenza”.
3.2. Le circostanze valorizzate dal ricorrente non sono state quindi
trascurate dalla Corte territoriale, che ha ritenuto però di attribuire
decisiva rilevanza al fatto che il comportamento del dipendente che si
avvalga del beneficio di cui all’art. 33 della legge n. 104 del 1992 per
attendere ad esigenze diverse dall’assistenza al disabile integra l’abuso
del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, realizzando una
condotta che assume anche disvalore morale e sociale, in coerenza
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del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata

con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass.
n. 17968 del 13/09/2016, Cass. n. 8784 del 30/04/2015, Cass. n. 4984
del 04/03/2014);
4. per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore,
il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in

civ.;
. la regolamentazione delle spese processuali segue la
soccombenza;
6. sussistono i -presupposti’ per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n.
115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n.
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P.Q.N1.
rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in 3.000,00 per compensi,
oltre ad C 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del
15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 ‘quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9.11.2017

camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 5, cod. proc.

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