Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29612 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. I, 14/11/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 14/11/2019), n.29612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19927/2018 proposto da:

O.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Cesarini,

giusta procura in calce al ricorso, domiciliato in Roma presso la

cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto n. 18579/2018 del Tribunale di Brescia, depositato

il 25/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/10/2019 dal Cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 25.5.2018, il Tribunale di Brescia ha rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, avanzate da O.S. cittadino della Nigeria (Edo State). Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di tre motivi. L’Amministrazione non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per non avere il Tribunale applicato i principi in materia di attenuazione dell’onere della prova, ed aver ritenuto non credibile, sulla scorta di una motivazione apparente, il particolareggiato racconto da lui reso.

2. Col secondo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione al medesimo D.Lgs. n. 25, art. 2, lett. f), per non avere il Tribunale ritenuto che il pericolo di essere perseguitato dai membri della setta ed il rischio di subire, ove rientrato in Patria, riti di iniziazione degradanti, o, addirittura di essere ucciso, in quanto cattolico.

3. I motivi, da valutarsi congiuntamente sono, in parte, infondati ed, in parte, inammissibili.

4. Il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente – secondo cui era fuggito per evitare di succedere al padre quale leader della setta (OMISSIS) dedita a sacrifici umani – evidenziando, con diffusa motivazione, la contraddittorietà dell’episodio centrale narrato (di cui pure aveva modificato la versione in relazione ai soggetti che lo avevano rapito – il padre o i componenti della setta – l’epoca del rapimento -, antecedente o successiva alla morte del padre – e le circostanze del decesso del padre), la genericità del racconto nel periodo successivo a tale episodio e fino alla partenza (10 anni), l’inverosimiglianza della perdita della vista per aver preso in mano l’idolo della setta e la dissonanza con le notizie reperite sulla sette operanti in Nigeria, da cui risulta che l’adesione è volontaria (ed è anzi considerata un privilegio), e, sotto altro profilo, la mancata allegazione di un’effettiva ed adeguata protezione statuale.

5. Tali conclusioni risultano adottate in conformità dei parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), non risultano scalfite dalla generica censura di violazione di legge, in quanto la valutazione relativa alla credibilità soggettiva, che attiene al giudizio di fatto, non può essere in questa sede messa in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e tale fatto non è stato dedotto, tendendo, piuttosto, la censura, ad un riesame di merito, inammissibile in questa sede di legittimità.

6. Nè, del resto, il ricorrente, che pure evoca giurisprudenza in tema di presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria riferiti dell’art. 14, lett. c), in esame, contesta in alcun modo la conclusione secondo cui nello Stato di Edo, da cui egli proviene, non è ravvisabile alcuna situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato.

7. Con il terzo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in riferimento alla protezione umanitaria.

8. Il motivo è inammissibile. Se, infatti la positiva valutazione di credibilità soggettiva attiene al riconoscimento, anche di questo titolo di soggiorno, essendo, perciò irrilevanti gli argomenti che, contro quanto è stato accertato, presuppongono la veridicità del narrato, la censura non deduce alcuna situazione di vulnerabilità, non rilevata dal Tribunale, e tale situazione deve riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

9. Non va disposto sulle spese in assenza di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello ove dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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