Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29610 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. I, 24/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 24/12/2020), n.29610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1779/2019 proposto da:

N.C., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Maurizio Sottile;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1690/2018 della Corte d’appello di Bologna

depositata il 19/6/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/9/2020 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. N.C., cittadino (OMISSIS) proveniente dall'(OMISSIS), presentava ricorso avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonchè del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

il Tribunale di Bologna, con ordinanza n. 1498/2017, rigettava la domanda ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di nessuna delle diverse forme di protezione richieste;

2. la Corte d’appello di Bologna, preso atto del rilievo dell’appellante secondo cui la “situazione generale di diffusa pericolosità e soppressione dei diritti umani di cui tutt’ora la (OMISSIS) è pervasa” era di per sè idonea a giustificare il riconoscimento di una forma di protezione (pag. 3), osservava che “il riferimento alla situazione (OMISSIS)” era “rimasto del tutto privo di collegamenti alla situazione di vita del ricorrente al fine di legittimare il riconoscimento alla protezione sussidiaria”, aggiungendo poi che i “rapporti di associazioni varie…. non servono all’individualizzazione della specifica situazione del soggetto se questi non esprime uno sforzo nel circostanziare le proprie narrazioni in relazione alle situazioni di pericolo e pregiudizio sia fisico-morale che giuridico” (pag. 4);

la Corte di merito rilevava inoltre che le fonti esaminate dal Tribunale non lasciavano emergere informazioni da cui si potesse evincere che lo Stato di provenienza del migrante fosse interessato da una situazione tale “da porre in serio rischio la vita o l’incolumità fisica della popolazione civile per il solo fatto di essere presente sul territorio, non presentando oltretutto il ricorrente particolari fattori individualizzanti di rischio” (pag. 5);

da ultimo la Corte distrettuale condivideva il giudizio già espresso dal Tribunale in merito all’impossibilità di riconoscere la protezione umanitaria, in quanto il positivo percorso di inserimento non era un “fattore ostativo all’espatrio” ove non fosse accompagnato da “specifici fattori di rischio e/o di debolezza che impongono la forma di tutela residuale della protezione umanitaria”;

3. per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello proposto, pubblicata in data 19 giugno 2018, ha presentato ricorso N.C. prospettando due motivi di doglianza;

l’amministrazione intimata non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica “violazione ex art. 360, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,4,5,6,8,10,13 e 27, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 e artt. 2 e 3 CEDU, art. 16 della direttiva Europea n. 2103/32 UE oltre al difetto di motivazione, travisamento dei fatti e omesso esame dei fatti decisivi”, assume che il giudizio di credibilità sulle dichiarazioni del ricorrente sia avvenuto senza che fosse effettuato un esame della situazione socio-politica del paese di provenienza ed abbia inoltre costituito un escamotage per tralasciare un’analisi della situazione socio-politica del paese di provenienza, sebbene l’esistenza di una minaccia grave e individuale possa considerarsi provata quando il grado di violenza indiscriminata sia di carattere tale da far ritenere che lo straniero, in caso di rimpatrio, sarà sottoposto a un rischio effettivo;

la situazione generale esistente in (OMISSIS), come descritta dal più recente rapporto di Amnesty International, integrava in realtà – a dire del ricorrente – una situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato ed era idonea a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), o della protezione umanitaria;

4.2 il motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato, pur con le precisazioni che si vanno a illustrare;

4.2.1 la Corte di merito ha constatato (alle pagg. 2 e 3) che l’appellante non si era soffermato “sulle circostanze di fatto ritenute vaghe e contraddittorie dal primo decidente” ed aveva invece sostenuto che il riconoscimento della protezione sussidiaria potesse essere “anche del tutto slegato dalla sua storia personale”, “sulla base sostanzialmente della situazione generale di diffusa pericolosità e soppressione dei diritti umani di cui tutt’ora la (OMISSIS) è pervasa”; simili considerazioni attestano che in merito alla valutazione di non credibilità delle dichiarazioni del migrante formulata dal primo giudice si era formato il giudicato per mancanza di impugnazione;

risultano di conseguenza inammissibili le contestazioni che involgono in questa sede tale valutazione (e la sua formulazione senza un adeguato esame delle informazioni sul paese di origine);

4.2.2 la Corte distrettuale ha ritenuto – rispetto alle ragioni di impugnazione espressamente presentate ed al fine di “inferire una valutazione di connessione tra situazione generale e condizione personale del richiedente protezione” – che “ad accreditare un simile racconto non bastano rapporti di associazioni varie, i cui riferimenti alle situazioni della (OMISSIS), certamente problematiche, non servono all’individualizzazione della specifica situazione del soggetto se questi non esprime uno sforzo nel circostanziare le proprie narrazioni in relazione alle situazioni di pericolo e pregiudizio sia fisico-morale che giuridico che la normativa di tutela internazionale intende perseguire” (pag. 3);

questi assunti meritano di essere corretti, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, e rispetto alla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), sia in ordine alla necessaria individualizzazione della situazione di rischio in cui versa il richiedente asilo, sia in merito alle conseguenze provocate dal giudizio di non verosimiglianza del racconto del migrante;

in primo luogo secondo la giurisprudenza di questa Corte l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), implica o una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso a una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 14006/2018);

in questo secondo caso il riconoscimento della protezione non è subordinato alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico dalla situazione generale a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale, ma sussiste anche qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (Cass. 25083/2017);

dunque, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non sempre sono necessarie la deduzione e la dimostrazione del fatto che, accanto alla situazione di violenza indiscriminata, sussista anche una condizione di minaccia individuale dovuta a elementi che riguardino la situazione personale del migrante;

inoltre, la richiesta di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nel secondo caso sopra indicato, deve essere comunque analizzata dal giudice di merito, a prescindere dallo sforzo che il migrante abbia fatto per circostanziare le proprie dichiarazioni e dall’intrinseca credibilità di queste ultime;

infatti il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) medesimo decreto, poichè in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purchè egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass. 10286/2020, Cass. 14283/2019);

4.2.3 ciò precisato, occorre tuttavia rilevare che la corte distrettuale, pur richiedendo a torto la prova di un riflesso del contesto generale di violenza sulla condizione individuale e pur ritenendo erroneamente che la valutazione della fondatezza della domanda risultasse compromessa dalla mancanza di uno sforzo nel circostanziare le proprie narrazioni (e quindi dalla non credibilità delle stesse), ha comunque condiviso la valutazione compiuta dal primo giudice delle fonti internazionali reperite, reputando che nella regione di provenienza del migrante non sussistesse una situazione tale da “porre in serio rischio la vita o l’incolumità fisica della popolazione civile per il solo fatto di essere presente sul territorio” (pag. 5);

a fronte di questi accertamenti la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito, malgrado l’accertamento del ricorrere di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, compiuta a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

nè giova al ricorrente il riferimento ad altre autorevoli fonti, sia perchè non risulta che le stesse fossero state esplicitamente indicate al giudice di merito (Cass. 29056/2019), sia perchè il mezzo non critica specificamente l’attendibilità delle fonti consultate da entrambi i giudici di merito e poste a base della valutazione compiuta;

4.2.4 infine, quanto al mancato esame della situazione di violenza esistente in (OMISSIS) ai fini della domanda relativa alla concessione della protezione umanitaria, occorre rilevare che a tal fine non erano sufficienti le allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine;

in vero il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, quale misura atipica e residuale, è il frutto della valutazione della specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente;

ne consegue che in questa prospettiva non è sufficiente la mera allegazione delle condizioni generali del paese di origine a cui non si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità;

5.1 il secondo motivo di ricorso, sotto la rubrica “violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 – errato e omesso esame dei fatti decisivi anche in riferimento alla integrazione socio lavorativa in Italia e alla condizione di vulnerabilità in capo al ricorrente”, sostiene che la Corte territoriale abbia fatto discendere dalla mancanza di credibilità delle dichiarazioni del migrante l’assenza di un obbligo di cooperazione istruttoria del giudice ed abbia così ritenuto assorbita ogni questione anche in merito alla protezione umanitaria, senza far menzione del percorso di integrazione del ricorrente in Italia;

la Corte di merito avrebbe invece dovuto valorizzare il percorso di integrazione in Italia compiuto dal migrante, tenendo conto sia delle sue peculiari condizioni personali (e segnatamente della giovane età, dello stato di estrema povertà, dell’assenza di occupazione nel paese di origine e della forte conflittualità per instabilità politica esistente in (OMISSIS)), sia dell’evidente sproporzione esistente fra le condizioni di vita che il richiedente asilo si troverebbe ad affrontare in caso di rimpatrio e quelle conquistate nel paese di accoglienza;

5.2 il motivo è inammissibile;

la Corte distrettuale non ha fatto discendere il rigetto della domanda di protezione umanitaria dalla valutazione di inverosimiglianza delle dichiarazioni del migrante, nè ha omesso di apprezzare il percorso di integrazione in Italia da questi compiuto, ma ha ritenuto che il richiedente asilo non fosse esposto “a specifici fattori di rischio e/o di debolezza”, condizione che rendeva irrilevante il positivo percorso di integrazione da questi intrapreso nel paese ospitante (valutazione, questa, del tutto coerente con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria si deve operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato; Cass., Sez. U., 29459/2019);

la doglianza in esame quindi da un lato non incontra il contenuto della sentenza impugnata e se ne astrae, malgrado il ricorso per cassazione debba necessariamente caratterizzarsi per la riferibilità al provvedimento impugnato, dall’altro sollecita la valorizzazione, a fini comparativi della condizione di integrazione con quella di espatrio, di condizioni che la corte distrettuale, nel compiere la valutazione di merito di sua esclusiva pertinenza, ha ritenuto inadeguate a dimostrare l’esistenza di una condizione di vulnerabilità;

6. in conclusione, in forza delle ragioni sopra illustrate, il ricorso va rigettato;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

 

 

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