Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29609 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

(1) D.C.R. e (2) A.V., entrambi

residenti in (OMISSIS)

ed elettivamente domiciliati in Roma alla Via Sardegna n. 38 presso

lo studio dell’avv. DI GIOVANNI Francesco che li rappresenta e

difende in forza della procura speciale rilasciata a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

(1) il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del

Ministro pro tempore, e (2) l’Agenzia delle Entrate, in persona del

Direttore pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 160/27/05 depositata il 7 febbraio 2006 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Puglia.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 dicembre 2011

dal Cons. dr. Michele D’ALONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. SEPE

Ennio Attilio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.C.R. ed A.V. – premesso (mediante riproduzione della conferente parte della sentenza gravata) che: (1) “con avviso di accertamento … notificato … il 30 marzo 1994”, l’Ufficio aveva (a) rettificato la “dichiarazione dei redditi dell’anno 1986” di essa D.C. (“esercente l’attività di carpenteria metallica”) avendo disconosciuto “costi per quote ammortamento per L. 164.649.000 contabilizzate” (a causa della “mancata esibizione del libro dei cespiti ammortizzabili e della relativa documentazione, … richiesti… con apposito questionario”) e (b) “sinteticamente” determinato (“avvalendosi delle disposizioni di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4”) in “L. 66.626.000” il “reddito imponibile” ad esso A. “sulla base di notevoli investimenti patrimoniali avvenuti nel periodo 1988- 1991”; (2) “i coniugi… si opponevano all’avviso di accertamento chiedendone la nullità e l’illegittimità”; (3) la “Commissione di primo grado … accoglieva il ricorso rilevando” (a) che “i contribuenti avevano prodotto il registro dei beni ammortizzabili” (“così” provando “la legittimità della detrazione … delle quote di ammortamento”) e (b) che “l’ A. aveva dimostrato il possesso di terreni agricoli la cui redditività era di gran lunga superiore a quella dichiarata agli effetti dell’imposizione diretta” -, in forza di tre motivi, chiedono di cassare la sentenza n. 160/27/05 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia (depositata il 7 febbraio 2006) che ha recepito l’appello dell’Ufficio e “dichiara(to) inammissibile l’appello incidentale”.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, benchè ritualmente intimati, non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale espone:

(1) col suo appello l’Ufficio ha dedotto (a) che “la parte … non aveva mai esibilo la documentazione inerente la prova” degli “ammortamenti” e (b) che “l’esistenza di investimenti di notevole entità costituiva fondamento certo per ritenere accertati redditi non dichiarati dall’ A.”;

(2) i “ricorrenti”, “con atto di appello incidentale del 18 gennaio 1996”, hanno chiesto “che venissero respinti i distinti appelli presentati avverso tali decisioni”.

Lo stesso giudice, quindi, ha accolto l’impugnazione dell’Ufficio (testualmente) esponendo:

– “l’appello incidentale proposto dalla parte privata” è “inammissibile” perchè “ha avuto ad oggetto distinti avvisi di accertamento, diversamente motivati, riguardanti diverse annualità e con esiti diversi …e riguardanti diverse problematiche”; “le stesse decisioni impugnate dall’Ufficio sono diverse nella decisione finale (in alcuni casi accoglimenti parziali in altri totali)”; “certamente non è una semplice richiesta di riunione” idonea a “giustificare un’ appello cumulativo che riguarda … questioni di fatto del tutto diverse”;

– “nel merito”:

(a) “la documentazione contabile prodotta dalla parte” (“registro dei beni ammortizzabili”) non è “sufficiente a ritenere provata la sussistenza della spese di ammortamento, mancando …la necessaria documentazione a base delle stesse”;

(b) “la mera produzione … della dichiarazione IVA” non è “idonea a giustificare l’annullamento dell’accertamento, che appare del tutto adeguatamente ed esaurientemente motivato, in ordine alla evidente esistenza di rilevanti investimenti che non possono che presupporre… redditi risparmiati e sfuggiti alla tassazione”;

(c) “chiaramente tali redditi… non possono che essere stati distribuiti tra i soci, tenendo conto dei molteplici elementi presuntivi che giustificano tale conclusione, quali la ristretta base azionaria (… divisione del capitale tra i due soci al 50%), il rapporto di coniugio …, la mancanza di qualsiasi prova contabile o documentale in ordine alla diversa destinazione delle somme”.

2. La D.C. e l’ A. censurano la decisione per tre motivi:

(1) “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, artt. 23, 53 e 54, nonchè degli artt. 159, 342 e 343 c.p.c.” per l'”omesso … esame dell’appello incidentale” degli “odierni ricorrenti” (ritenuto “non … ritualmente proposto, in quanto contenuto in un unico atto, relativo a più decisioni di primo grado, separatamente gravate con appello da parte dell’Ufficio”), assumendo essere “sicuramente applicabili nel caso” i “principi” affermati da “Cass., … 2^, 7 luglio 2004 n. 12461” e da “Cass., … trib., 3 luglio 2003 n. 10499” in quanto “le questioni controverse erano, rispetto a tutte le sentenze appellate, in parte identiche e per il resto intimamente connesse, ed anzi dipendenti l’una dalle altre” come dimostrato “dal contenuto” (a) “degli appelli principali proposti dall’Ufficio”, (b) “dalle difese successivamente svolte dal medesimo Ufficio” e (e, indicata per errore ancora come b) “dalle stesse sentenze pronunziate dalla Commissione Tributaria Regionale (ivi compresa quella qui impugnata)”, (2) “violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.” nonchè “insufficiente e contraddittoria motivazione”: ritenendo di “poter fondare la presunzione di riparto dei maggiori utili tra i soci sulla … “ristretta base azionaria” (… ristretto novero dei quotisti)” (“essendo la compagine formata da due coniugi”) “nonchè sul fatto che non risulta una diversa destinazione degli utili stessi”, la “sentenza impugnata … salta … il primo passaggio del ragionamento” in quanto “il… “fatto noto” sul quale dovrebbe sorreggersi la presunzione … dovrebbe consistere … nell’effettiva esistenza di un maggior utile distribuibile e non soltanto di un maggior utile imponibile in capo ad essa società” (“i due concetti… non coincidono necessariamente” come, “ad esempio”, in ipotesi di “accantonamenti a fondo rischi superiori a quanto consentito dalle norme fiscali…, per l’eccesso soggetti a tassazione ma non potrebbero … considerarsi maggior utile distribuito tra i soci” o di mancato “riconoscimento a fini fiscali di spese fatte o di costi sostenuti” che “comporterà l’emergere di un maggior reddito imponibile in capo alla società, ma non anche un maggior utile distribuito tra i soci”);

(3) “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 33 e 39”:

(a) “la sentenza impugnata incorre nella … violazione dell’art. 39” detto perchè afferma la “legittimità dell’avviso di accertamento di maggiori redditi da impresa minore di essa D.C.” motivandola “con la mancata risposta al questionario inviato … ai sensi dell’art. 32 … del citato D.P.R.” mentre, “in assenza di una verifica ispettiva …ed in difetto di qualsiasi ulteriore elemento … previsto dell’art. 39”, la “sola omissione del riscontro al questionario non poteva giustificare la rettifica induttiva dei redditi dichiarati” atteso che “solamente con la L. 18 febbraio 1999, n. 28 … è stata estesa la possibilità, per gli uffici, di procedere ad accertamento … con metodo induttivo anche nell’ipotesi in cui il contribuente non avesse dato seguito agli inviti… di esibire documenti o rispondere a questionar”;

(b) “è privo di alcun fondamento … l’assunto … secondo il quale, una volta prodotto il registro dei beni ammortizzabili, il contribuente dovrebbe anche dimostrarne la corrispondenza al vero”;

“la Commissione Tributaria Regionale”, comunque, avrebbe dovuto “esercitare i propri poteri di acquisizione della documentazione ritenuta mancante”.

3. Il ricorso – non soggetto alle prescrizioni dell’art. 366 bis c.p.c. perchè la sentenza impugnata è stata depositata il 7 febbraio 2006, quindi prima dell’entrata in vigore di tale norma: per tale ragione, pertanto, è stata anche omessa la trascrizione del “quesito di diritto” formulato a conclusione di tutti i motivi di censura – è infondato.

A. Il primo motivo è inammissibile.

Dalla formulazione della censura e, comunque, anche dalla lettura di tutti gli atti consentiti a questo giudice di legittimità (ovverosia dal ricorso e dalla sentenza impugnata, non avendo gli intimati svolto attività difensiva), invero, non si evince assolutamente quale sia il concreto pregiudizio sofferto dai ricorrente dalla inammissibilità del loro “appello incidentale” affermata dal giudice a quo, considerato che la Commissione Tributaria Provinciale ha accolto (“accoglieva” dice la regionale) il ricorso dei contribuenti:

manca, quindi, la stessa allegazione del necessario ed imprescindibile interesse (ex art. 100 c.p.c.) a censurare l’affermazione detta, non risultando che questa si sia concretizzata nell’omesso esame di una qualche autonoma e rilevante questione, idonea a determinare una decisione (anche solo in parte) più favorevole ai ricorrenti.

B. L’infondatezza del secondo motivo di ricorso – pure in ordine al quale, peraltro, va sottolineato che gli atti di questo giudizio di legittimità (ricorso e sentenza impugnata, unici accessibili) non consentono di riscontrare la necessaria rilevanza, pur avendola il giudice di appello affrontata, della questione investita dalla censura, atteso che l’unico atto impositivo contiene due accertamenti reddituali diversi, fondati peraltro su differenti circostanze fattuali (disconoscimento “costi per quote ammortamento …

contabilizzate” per la D.C.; “notevoli investimenti patrimoniali” per l’ A.) in ordine alle quali non si deduce, nè si evince, neppure l’esistenza di una società – discende dal principio ripetutamele affermato da questa Corte (sostanzialmente non contestato neppure dalla ricorrente) per il quale (Cass., trib., 24 luglio 2009 n. 17358, che ricorda le precedenti sentenza “n. 2390 del 3 marzo 2000” e “n. 3254 del 20 marzo 2000”) “nel caso di una società di capitali, pur non sussistendo, a differenza di quanto previsto per le società di persone, una presunzione legale di distribuzione dell’utile ai soci, l’appartenenza della società ad una stretta cerchia familiare può costituire, sul piano degli indizi, elemento di prova dell’avvenuta distribuzione degli utili in questione”: “nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria”, quindi (Cass., trib., 22 aprile 2009 n. 9519) “è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nemmeno la eventuale mera deduzione del profilo per cui l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cfr. anche Cass. sentenze n. 6197 del 16/03/2007, n. 20851 del 26/10 n. 16885 del 2003)”.

La “presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati”, inoltre (sentenza n. 9519 del 2009, cit.), “non viola il divieto presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto”, diversamente da quanto affermato dai contribuenti (che lo identificano nel “maggior utile imponibile” accertato in capo alla società partecipata), “non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società …ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale”.

Da quest’ultima osservazione discende l’irrilevanza degli “esempi” di non distribuzione degli utili formulati dai ricorrenti; tali “esempi”, peraltro ed all’evidenza, non scalfiscono il principio atteso che gli utili presuntivamente distribuiti sono sempre e solo quelli non risultati dalla contabilità per cui (1) l’ipotesi di “accantonamenti a fondo rischi superiori a quanto consentito dalle norme fiscali” è evidentemente estranea perchè gli “accantonamenti” rilevanti sono solo quelli iscritti nella contabilità e (2) il mancato “riconoscimento a fini fiscali di spese fatte o di costì sostenuti” implica che quei “costi” e quelle “spese”, ai “fini fiscali” (gli unici rilevanti), non sono stati mai nè “sostenuti” nè “fatte”.

C. La “sentenza impugnata”, infine, non è affetta da nessuno dei vizi denunziati nell’ultima doglianza.

C1. La Commissione Tributaria Regionale, infatti, non ha violato in alcun modo il “D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, perchè non ha posto (nè i ricorrenti indicano il conferente punto) a fondamento della sua decisione “la mancata risposta al questionario inviato …

ai sensi dell’art. 32 … del citato D.P.R.”, essendosi limitata ed evidenziare che il registro dei beni ammortizzabili è stato esibito solo in giudizio.

C.2. Con l’unico atto impositivo, inoltre, l’Ufficio ha operato una “rettifica … dei redditi dichiarati” che è “induttiva” soltanto per l’ A. (al quale, peraltro, nè questi nè la moglie espongono sia mai stato inviato un “questionario … ai sensi dell’art. 32” detto) perchè quella effettuata nei confronti della D.C., come riferito nella sentenza impugnata (fatta propria, sul punto, dagli stessi ricorrenti, avendo riportato solo quel riferimento), scaturisce dal “mancato riconoscimento di costi per quote di ammortamento … contabilizzate”.

Questa, quindi, integra propriamente una rettifica analitica in quanto derivata soltanto dall’esame della documentazione fiscale:

conseguentemente l’Ufficio non doveva offrire nessun “qualsiasi ulteriore elemento” di prova.

C.3. Rettamente, ancora, il giudice di appello ha ritenuto insufficiente, ai fini della legittimità della contabilizzazione degli afferenti “costi per quote di ammortamento” la sola produzione in giudizio del “registro dei beni ammortizzabili”: costituisce, infatti, “orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte” (tale definito da Cass., trib., 25 febbraio 2010 n. 4554, da cui gli excerpta che seguono, la quale ricorda, “ex multis, Cass. n. 11514 del 2001, n. 11240 del 2002, n. 4345 del 2003”) “quello secondo cui, nell’accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973, e del D.P.R. n. 598 del 1973, che del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, incombe al contribuente”.

“Nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento”, inoltre (si è precisato nella stessa sentenza), “rientra” anche “la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’impresa, con negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa” (così Cass. n. 11240 del 2002 e n. 12813 del 2000)” (“l’onere della prova dell’inerenza dei costi gravante sul contribuente, pertanto, in presenza di argomentata contestazione, ha ad oggetto anche la congruità di quei costr).

Da tali principi discende che l’onere in esame, in caso di contestazione della deducibilità dello specifico “costo”, comprende non solo l’aspetto formale della registrazione del bene cui lo stesso inerisce ma anche (perchè la contestazione include quella relativa all’inerenza), quello sostanziale: rientra, infatti, negli ordinari poteri ispettivi dell’Ufficio di richiedere e di esaminare tutti i documenti giustificativi di ogni “costo” esposto dal contribuente.

D.4. La Commissione Tributaria Regionale, inoltre ed infine, non poteva “esercitare i propri poteri di acquisizione della documentazione ritenuta mancante” documentazione” di cui, ancora in violazione dell’art. 366 c.p.c., non si indica nessun estremo identificativo) essendo ciò contrario al principio – reiteratamente affermato da questa sezione (Cass., trib., 30 dicembre 2010 n. 26392, tra le recenti, che cita “Cass. 10267/05; … 12262/2007”) – secondo cui il giudice tributario era) tenuto “ad esercitare ex officio i poteri istruttori conferitigli dal comma 3 (abrogato, poi, dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3 bis, comma 5, convertito in L. 2 dicembre 2005 n. 248) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 – “norma eccezionale, la quale preclude al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori in un processo a connotato tendenzialmente dispositivo” (Cass., trib. 22 giugno 2010 n. 14960, che richiama “Cass. civ. n. 18976 del 10 settembre 2007) – solo se sussiste(va) “il presupposto della impossibilità di acquisire la prova altrimenti”.

4. Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità non avendo gli enti intimati svolto attività difensiva.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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