Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29607 del 16/11/2018

Cassazione civile sez. I, 16/11/2018, (ud. 18/06/2018, dep. 16/11/2018), n.29607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29203/2014 proposto da:

T.G. e Ta.Ma.Lu., in proprio e quale erede di

P.B., nonchè P.E. e P.E., quali

ulteriori eredi di P.B., elettivamente domiciliate in Roma,

Corso Trieste n. 87, presso lo studio dell’avvocato Antonucci

Arturo, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Vassalle Roberto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Cassa di Risparmio di Alessandria S.p.a., ora Banca Popolare di

Milano Soc. Coop. a r.l., a sua volta incorporante la Cassa di

Risparmio di Alessandria S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

A. Mordini n. 14, presso lo studio dell’avvocato Spinoso Antonino,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bellato Fausto,

giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1612/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20.8.2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/06/2018 dal cons. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 1612/2014, pronunciata in un giudizio promosso da T.G., unitamente alla figlia Ta.Ma.Lu. ed al marito di quest’ultima, P.B., nei confronti della Cassa Di Risparmio di Alessandria s.p.a., al fine di ottenere la declaratoria di nullità, ovvero di annullamento, ovvero, ancora, di risoluzione, di due ordini di acquisto di obbligazioni argentine, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione delle somme investite e/o al risarcimento dei danni – ha confermato la decisione di primo grado, che aveva solo parzialmente accolto la domanda attorea.

In particolare, la Corte di Appello, come anche affermato dal Tribunale di Alessandria, ha ritenuto fondata la domanda risarcitoria degli attori solo in relazione alla seconda delle due operazioni in contestazione, vale a dire all’ordine di acquisto di obbligazioni argentine intervenuto il 24/09/2001, con conseguente condanna della Cassa Di Risparmio di Alessandria s.p.a. al risarcimento del danno per la perdita delle somme investite; per quel che attiene alla prima operazione, risalente al 15/01/1999, la Corte distrettuale ha confermato il rigetto delle domande, per non avere gli investitori fornito la prova del nesso di causalità, intercorrente tra l’asserito ed accertato inadempimento della Banca all’obbligo informativo specifico ed il danno patrimoniale subito dagli stessi, nesso di causalità, al contrario, ritenuto in re ipsa per la seconda operazione, essendo la medesima certamente inadeguata rispetto al profilo di rischio degli investitori, con particolare riguardo a quello del conferente l’ordine ( P.B., il quale aveva agito in rappresentanza delle altre cointestatarie), con conseguente obbligo di astensione dell’intermediario.

La Corte d’appello ha confermato altresì le statuizioni di rigetto/inammissibilità delle domande di nullità, del contratto quadro, per indeterminatezza dell’oggetto e per mancato adeguamento alla normativa sopravvenuta, e dei singoli contratti di investimento, ovvero di annullamento degli stessi o di risoluzione per grave inadempimento (potendo essere risolto il solo contratto-quadro, in relazione al quale nessuna domanda del genere era stata introdotta).

Avverso la pronuncia della Corte di Appello di Torino, propone ricorso per Cassazione, con cinque motivi, T.G., unitamente alla figlia Ta.Ma.Te., in proprio e quale erede del marito P.B., nonchè ad E. ed P.E., figlie del de cuius. La Cassa Di Risparmio di Alessandria s.p.a. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato, con due motivi. Le ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le ricorrenti lamentano, con il primo motivo, l’erronea interpretazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, (nella formulazione previgente alla L. n. 69 del 2009), nonchè la violazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 10, u.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, poichè la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che la nullità della costituzione della Banca convenuta, in primo grado, per mancanza della rappresentanza processuale e sostanziale in capo al conferente la procura alla lite, avv. A.A., qualificatosi quale Capo del settore legale dell’istituto di credito, cui risultava demandato, per procura, il solo compito di “assegnare le pratiche a legali esterni per cause di qualsiasi fattispecie” e non anche quello di rappresentare la banca in giudizio e disporre del diritto controverso, potesse essere sanata, in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva, dalla ratifica dell’operato del falsus procurator da parte del legale rappresentante dell’ente.

2. La censura è infondata.

Costituisce ormai ius receptum di questa Corte il seguente principio di diritto: “l’art. 182 c.p.c., comma 2, (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009), secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, deve essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46,comma 2, nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio ed indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti “ex tunc”, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali” (Cass. 26948/2017, 15156/2017, SSUU 9217/2010).

Ne consegue, pertanto, che il difetto di legittimazione processuale della persona fisica o giuridica, che agisca in giudizio in rappresentanza di un altro soggetto, può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza, il quale manifesti la volontà di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator. La sanatoria retroattiva, peraltro, non è impedita dalla previsione dell’art. 182 c.p.c., secondo cui sono fatte salve le decadenze già verificatesi. Questa, infatti, va riferita alle decadenze sostanziali (sancite, cioè, per l’esercizio del diritto e dell’azione) e non a quelle che si esauriscono nell’ambito del processo.

Da ultimo, questa Corte (Cass. 23274/2016) ha chiarito che “il difetto di legittimazione processuale della persona fisica, che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente (nella specie, per mancanza dell’autorizzazione preventiva alla proposizione dell’azione da parte dell’organo competente per statuto), può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell’ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare l’operato del “falsus procurator””.

Vero che, sul punto, si registra anche un orientamento giurisprudenziale secondo cui il disposto dell’art. 1399 c.c.. non opera nel campo processuale, ove invece il conferimento di una valida procura ad litem costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale (tanto che può essere conferita con effetti retroattivi, solo nei limiti fissati dall’art. 125 c.p.c.), sì che deve escludersi la possibilità di sanatoria con effetti retroattivi del vizio afferente la procura stessa. Tuttavia, a fronte di tale orientamento, seguito di recente in fattispecie diverse da quella in esame (cfr. Cass. 9464/2012, Cass. S.U. n. 13431/14 e Cass. n. 17697/13 riguardo al difetto di valida procura speciale per il ricorso per cassazione o controricorso), vi è un orientamento, maggioritario (cfr. Cass. n. 20913/05; n. 12088/06; n. 21811/06; n. 15304/07; n. 23670/08; n. 7529/09; n. 5343/15), secondo cui occorre distinguere la questione della validità della procura ad litem, sotto il profilo dello ius postulandi del procuratore (al quale si riferisce la disciplina dell’art. 125 c.p.c.), da quella della capacità processuale, cui fa riferimento l’art. 182 c.p.c..

Ne consegue, dunque, che la pronuncia della Corte di Appello si presenta pienamente conforme al predetto principio di diritto.

3. Con il secondo motivo, le ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 1421 c.c., e del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23quanto alla non rilevabilità d’ufficio della nullità “di protezione” nell’interesse del contraente protetto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la nullità degli investimenti oggetto di causa, per mancanza di un valido contratto quadro (in quanto l’esistente contratto, redatto nel 1995, sulla base della legge, all’epoca vigente, n. 1/1991 doveva ritenersi venuto meno, per sua mancata rinnovazione alla luce delle prescrizioni normative sopravvenute in materia di intermediazione in valori mobiliari), sarebbe stata rilevabile anche d’ufficio, trattandosi di nullità irrogata da una norma imperativa anche nell’interesse della collettività e, in quanto tale, rilevabile d’ufficio dal giudice ove il rilievo medesimo sia conforme all’interesse del contraente protetto.

4. La censura è inammissibile.

La Corte distrettuale, invero, ha, anzitutto, ritenuto infondata la doglianza, sollevata con il secondo motivo di appello, in ordine alla nullità del contratto quadro di negoziazione in servizi di intermediazione finanziaria del 1995 per mancato adeguamento del testo negoziale alla normativa sopravvenuta, non essendo espressamente stabilita per legge la necessità di una rinnovazione del contratto; la successiva affermazione di inammissibilità della doglianza, per tardiva proposizione, e di sua non rilevabilità d’ufficio, in quanto nullità di protezione, risulta pertanto svolta ad abundantiam.

Questa Corte, con la sentenza n. 7067/2016, ha già chiarito, proprio con riferimento ad una censura di nullità sopravvenuta del contratto-quadro sulla base della mancata rinnovazione della volontà contrattuale in conformità alla disciplina imperativa sopravvenuta di cui al D.Lgs. del 1996 (cd. Eurosim) ed all’art. 23 TUF del 1998 e dell’art. 30 del relativo Regolamento Consob attuativo, che l’obbligo di rinnovazione del contratto è stato introdotto solo nel 2004, con la direttiva MiFid, e che lo ius superveniens del Testo unico sull’intermediazione finanziaria, pur modificando in parte i presupposti ed i requisiti anche formali del contratto-quadro, non per questo ha caducato i contratti regolarmente stipulati nel vigore della L. n. 1 del 1991, in applicazione dell’ordinaria disciplina della successione delle leggi nel tempo, cosicchè anche gli ordini di acquisto emessi nel vigore di quest’ultima legge, come pure quelli acquistati successivamente all’entrata in vigore del Testo unico di intermediazione finanziaria, restano validi in quanto conformi al contratto-quadro, non infirmato dallo ius superveniens.

5. Le ricorrenti lamentano, quindi: 1) con il terzo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 29 del Reg. Consob n. 11522/98, in merito alla prima e più rilevante operazione del 15/01/99, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare l’adeguatezza della prima operazione con riferimento al profilo di rischio di tutti i cointestatari del rapporto e non solo avendo riguardo all’esperienza del conferente l’ordine ( P.B.), peraltro neppure correttamente vagliata, ed avrebbe dovuto, altresì, compiere la propria valutazione anche in relazione alle “dimensioni” delle operazioni, in rapporto al patrimonio di tutti i singoli investitori e considerando che resta operatore non qualificato anche l’investitore che in precedenza abbia occasionalmente investito in titoli a rischio; 2) con il quarto motivo, in relazione al rigetto della domanda di risoluzione dei due ordini di investimento ovvero “del contratto quadro limitatamente e relativamente alle operazioni di causa”, la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21,comma 1, lett. b) e art. 28, commi 1 e 2 del reg. Consob n. 11522/98, nonchè degli artt. 1453 e 1458 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè i giudici di appello, sulla base delle considerazioni svolte dal Tribunale, che aveva riconosciuto, da un parte, l’inadempimento della Banca agli obblighi informativi per entrambe le operazioni di investimento, e, dall’altra, l’adeguatezza della prima operazione di investimento, del 1999, al profilo di rischio del P., hanno dato rilevanza a quest’ultimo aspetto per escludere la sussistenza dell’importanza dell’inadempimento, conseguentemente errando nel ritenere che la risoluzione degli ordini di investimento avrebbe potuto essere dichiarata solo ove anche la prima delle due operazione fosse stata ritenuta inadeguata; 3) con il quinto motivo, la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6, e artt. 1223,2727,2729 e 2967 c.c., in merito alla sussistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento al fondamentale obbligo informativo ed il danno, per quel che attiene alla prima operazione di investimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè la Corte territoriale avrebbe errato nel negare la sussistenza del nesso di causalità sulla base della mera presunzione per cui il P., anche ove adeguatamente informato circa “la natura, i rischi e le implicazioni” del primo investimento del Gennaio ‘99, non si sarebbe, comunque, astenuto dal compiere l’operazione, in ragione del suo profilo di rischio (essendo “disposto a correre rischi in acquisti di tipo speculativo, con remunerazione adeguata”).

6. Il terzo motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha ritenuto, con accertamento in fatto, che tutti gli intestatari del conto, rappresentati dal P., avessero la medesima propensione al rischio e che si poteva presumere che, quand’anche fossero stati informati del rischio, essi avrebbero ugualmente effettuato l’investimento, rientrante nelle strategie di quegli anni.

La prima parte della censura non coglie, quindi, l’effettiva ratio decidendi. La seconda parte della stessa, relativa alla valutazione di adeguatezza dell’investimento sotto il profilo dimensionale, è inammissibile per genericità, non essendo indicate le dimensioni del patrimonio di tutti gli intestatari del rapporto. Estranea, infine, alla ratio decidendi è anche la parte finale della censura, relativa alla qualificazione dell’investitore, atteso che la Corte d’appello non ha affatto considerato l’investitore come operatore qualificato, ma ha semplicemente ritenuto che egli, quand’anche informato del rischio, avrebbe ugualmente effettuato l’investimento perchè rientrante nelle sue strategie di quel periodo, desunte dagli investimenti pregressi.

7. Il quinto motivo è invece fondato.

Costituisce, ormai, orientamento consolidato di questa Corte, il principio secondo cui “in tema di risarcimento del danno per la perdita del capitale investito dovuta all’acquisto di un prodotto finanziario, grava sull’intermediario l’onere di provare, D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 23 di aver adempiuto positivamente agli obblighi informativi relativi, non solo alle caratteristiche specifiche dell’investimento ma anche al grado effettivo di rischiosità, mentre grava sull’investitore l’onere di provare il nesso causale consistente nell’allegazione specifica del deficit informativo nonchè a fornire la prova del pregiudizio patrimoniale dovuto all’investimento eseguito, potendosi fornire la prova presuntiva del nesso causale tra l’inadempimento ed il danno lamentato”, cosicchè “la prova dell’avvenuto puntuale adempimento degli obblighi informativi non può essere ritenuta ininfluente in considerazione dell’elevata propensione al rischio dell’investitore dalla quale desumere che quest’ultimo avrebbe comunque accettato il rischio ad esso connesso dal momento che l’accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che fondarsi sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche specifiche del prodotto, in relazione a tutti gli indicatori della sua rischiosità” (Cass. n. 4727/2018; nella specie, questa Corte ha cassato la sentenza nella quale la Corte di Appello aveva escluso la sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento ed il danno, proprio sul rilievo che, dalla prova testimoniale espletata, era emerso che l’eventuale violazione degli obblighi informativi non avrebbe comunque inciso sulla decisione dell’investitore, orientato da un intento speculativo).

Sempre questa Corte (Cass. 3914/2018; Cass. 12544/2017), con specifico riguardo al profilo del riparto dell’onere probatorio sul nesso di causalità tra condotta inadempiente dell’intermediario e danno dell’investitore, ha precisato che “in tema di distribuzione dell’onere della prova nei giudizi relativi a contratti d’intermediazione finanziaria, alla stregua del sistema normativo delineato dal D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 23 (TUF) e dal reg. Consob n. 11522 del 1998, la mancata prestazione delle informazioni dovute ai clienti da parte della banca intermediaria ingenera una presunzione di riconducibilità alla stessa dell’operazione finanziaria, dal momento che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario, costituisce di per sè un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento”, con la conseguente considèrazione che “tale condotta omissiva, pertanto, è normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell’intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze che risultino atte a deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa”.

La valutazione dell’adeguatezza delle operazioni, ai sensi dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, ha carattere relativo, implicando un confronto tra le caratteristiche intrinseche dell’investimento proposto (tipologia, oggetto, frequenza o dimensione), cui fa riferimento il comma 1, ed il profilo di rischio dell’investitore, richiamato dal comma 2 attraverso il rinvio all’art. 28, e può quindi condurre a ritenere adeguato anche un investimento rischioso, ove dalle informazioni acquisite in ordine all’esperienza dell’investitore, alla sua situazione finanziaria, ai suoi obiettivi d’investimento ed alla sua propensione al rischio emerga che la forma d’impiego prescelta, oltre ad apparire compatibile con i mezzi economici di cui egli dispone, corrisponda effettivamente ai suoi intendimenti, nell’ambito di una scelta “consapevole” (cfr. Cass. 23417/2016). Gli obblighi informativi posti a carico degl’intermediari finanziari, hanno ad oggetto, da un lato, l’acquisizione delle notizie necessarie per la ricostruzione del profilo di rischio dell’investitore (c.d. informazione passiva: art. 28, primo comma, lett. a, del Regolamento) e, dall’altro, la fornitura di informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione (c.d. informazione attiva: art. 28, comma 2) e mirano a consentire all’intermediario d’individuare e proporre le forme d’investimento più appropriate al profilo dell’investitore, senza tuttavia dispensare quest’ultimo dall’onere di valutare autonomamente le soluzioni proposte, ma assicurando anzi che egli sia posto nelle condizioni migliori per effettuare una scelta “consapevole” (Cass.23417/2016).

L’inadeguatezza dell’operazione comporta un alleggerimento dell’onere probatorio gravante sull’investitore, ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria (non nel senso che il danno derivante dall’inadempimento degli obblighi informativi possa considerarsi in re ipsa, ma in quello, più limitato, di consentire l’accertamento, in via presuntiva, del nesso di causalità): anche in presenza di operazioni adeguate, la mancata fornitura di informazioni esaurienti ed appropriate in ordine alla tipologia ed alle caratteristiche dell’impiego suggerito costituisce un indice dell’avvenuta effettuazione di una scelta non consapevole da parte dell’investitore, i cui effetti pregiudizievoli non sono pertanto ascrivibili alla sua volontà.

Ora, la Corte di Appello, confermando sul punto la decisione di primo grado, ha espressamente accertato l’inadempimento della Banca al fondamentale obbligo informativo specifico, in relazione ad entrambe le operazioni, riconoscendo, tuttavia, il diritto al risarcimento del danno patrimoniale solo in relazione alla seconda delle operazioni in contestazione, mancando, per la prima, la prova del nesso di causalità tra inadempimento contrattuale della banca ed il danno patrimoniale degli investitori.

In verità, il predetto nesso di causalità doveva desumersi in via presuntiva, non assumendo alcuna rilevanza, al riguardo, la circostanza, assunta dalla Corte territoriale alla base della propria decisione, per cui il P., anche ove adeguatamente informato circa la natura ed i rischi delle operazione, non si sarebbe comunque astenuto dal compierle, atteso che la prova contraria non può essere fornita dalla Banca facendo riferimento solo al profilo di rischio dell’investitore.

8. Anche il quarto motivo è fondato.

La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto più volte enunciato da questa Corte, secondo il quale l’investitore, a causa dell’inadempimento di non scarsa importanza dell’intermediario agli obblighi informativi previsti dalla legge e dai regolamenti Consob, può chiedere la risoluzione non solo del contratto-quadro, ma anche dei singoli contratti di acquisto, cioè degli ordini di investimento, aventi natura negoziale nonchè distinti e autonomi dal contratto-quadro, indipendentemente dalla risoluzione di quest’ultimo, atteso che il momento negoziale delle singole operazioni di investimento non può rinvenirsi nel contratto-quadro (Cass. nn. 12937 e 16861 del 2017, 8394 e 16820 del 2016, 23717 del 2014). Si è anche precisato che gli obblighi di informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e quelli correlati alle situazioni di conflitto di interessi finalizzati al rispetto della clausola generale che impone all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente – assumono rilevanza per effetto dei singoli ordini di investimento, che non sono mere istruzioni date dal cliente all’intermediario ma costituiscono negozi autonomi rispetto al contratto quadro stipulato dall’investitore (Cass. nn. 20617 del 2017, 3950 del 2016; Cass. 3261/2018). E infatti rispondente alle prescrizioni della normativa primaria e regolamentare l’idea che nella fase attuativa del contratto-quadro si configurino negozi di contenuto complesso, in cui l’intermediario debba prima rappresentare all’investitore le caratteristiche e le implicazioni della singola operazione e poi, se del caso, porla in essere. Ed è conforme anche alle finalità che ispirano la suddetta normativa ritenere che, nell’economia della singola operazione, l’obbligo informativo assuma rilievo determinante, essendo diretto ad assicurare scelte di investimento realmente consapevoli: per modo che, in assenza di un consenso informato dell’interessato, il sinallagma del singolo negozio di investimento non possa trovare piena attuazione, giustificandosi la risoluzione per inadempimento del medesimo.

Ne consegue che il giudice del rinvio dovrà riesaminare la sussistenza o meno di inadempimento di non scarsa importanza, in relazione alle due operazioni di investimento, e dovrà poi procedere al vaglio della domanda di risoluzione degli ordini, in astratto ammissibile.

9. La controricorrente ha proposto ricorso incidentale condizionato in due motivi, il primo dei quali condizionato all’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, inerente all’eccepito difetto di rappresentanza processuale della banca nel giudizio di merito, il secondo dei quali condizionato all’accoglimento del quarto motivo, in punto di risoluzione dei contratti di investimento.

10. Il primo motivo è assorbito, in conseguenza del rigetto del primo motivo del ricorso principale. Il secondo motivo è comunque assorbito, in quanto, in sede di rinvio, dovrà vagliarsi la fondatezza nel merito della domanda di risoluzione proposta.

11. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei motivi quarto e quinto del ricorso principale, respinti i primi due motivi ed inammissibile il terzo, assorbito il ricorso l’incidentale condizionato, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, la quale si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati ai paragrafi 7 e 8 e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi quarto e quinto del ricorso principale, respinti i primi due motivi e dichiarato inammissibile il terzo, nonchè assorbito il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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