Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29606 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. I, 14/11/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 14/11/2019), n.29606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12693/2018 proposto da:

I.C., rappresentato e difeso dall’avvocato Giacinto

Corace, giusta procura in calce al ricorso, domiciliato in Roma

presso la cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui Uffici domicilia in Roma;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 964/2018 del Tribunale di Brescia, depositato

il 19/3/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/10/2019 dal cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 19.3.2018, il Tribunale di Brescia ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da I.C., cittadino nigeriano, il quale aveva narrato di esser partito per il timore di essere ucciso dalla setta degli (OMISSIS) alla quale si era rifiutato di aderire, nonostante le pressioni dello zio, dopo l’uccisione del proprio padre, componente della predetta setta, e la morte del fratello, generata dalla relativa affiliazione.

Il Tribunale, dichiarate non fondate le sollevate questioni di costituzionalità, ha ritenuto il racconto del richiedente inattendibile, anche in raffronto alle acquisite informazioni sul reclutamento delle sette in Nigeria, ha quindi ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, e del pari insussistenti la situazione di violenza generalizzata nell'(OMISSIS) o specifiche situazioni soggettive, tali da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno umanitario.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero sulla base di quattro motivi, ai quali l’Amministrazione ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 per non avere il Tribunale valutato la credibilità di esso richiedente alla luce dei parametri stabiliti nell’invocata norma, e per non aver compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni da lui rese e la situazione dei sostenitori del movimento religioso degli (OMISSIS), in attuazione del principio di cooperazione istruttoria. Il Tribunale, precisa il ricorrente, ha esclusivamente confrontato le informazioni da lui fornite in sede di formalizzazione della domanda di asilo (mod. C3) ed i fatti narrati in modo difforme ai precetti di legge.

2. Col secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14,8 e 27, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 5, artt. 2 e 3 CEDU, oltre che omesso esame di fatti decisivi relativi alla persecuzione da lui subita.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 17 e art. 14, lett. c) riferita al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria. In particolare, pur prendendo in considerazione quale fonte principale di informazione il rapporto sulla Nigeria, il Tribunale ha errato nel ritenere che l’attività di reclutamento si fondava su promesse, lusinghe e manipolazioni psicologiche e non anche sull’omicidio.

4. I motivi vanno congiuntamente esaminati e rigettati.

5. Va, anzitutto, rilevato che se è vero che le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. da a) ad e) (Cass. n. 15782 del 2014, n. 4138 del 2011), è pure vero che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude che egli abbia l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. n. 27503 del 2018). Sotto altro profilo, va rilevato che il ricorrente confonde l’onere di allegazione con quello della prova, e questa Corte ha di recente ribadito (Cass. n. 3016 del 2019) che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel suo Paese straniero di origine si registrino fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda, in altri termini, la cooperazione istruttoria si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova.

6. Nella specie, il giudizio di non credibilità è stato assunto dal Tribunale non già sulla scorta della comparazione col mod. c3, ma in base alla intrinseca inverosimiglianza del narrato (circa il prelievo degli organi dopo la morte del padre dai membri della setta, ed i supposti limiti territoriali degli effetti dei riti magici compiuti dai suoi adepti) evidenziandone la dissonanza con le notizie reperite ex officio, in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria, sulla setta degli (OMISSIS), tenuto conto che le fonti consultate non menzionano la possibilità che l’affiliazione possa essere coattiva (salvo che il soggetto cooptato sia venuto a conoscenza di segreti o notizie riservate, il che non è stato dedotto) ma mediante il ricorso a lusinghe ed adulazioni, raramente ad intimidazioni, ma mai all’omicidio riservato a rivali e traditori.

7. Tali conclusioni risultano adottate in conformità dei parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) e non risultano scalfite dalla generica censura di violazione di legge, in quanto la valutazione relativa alla credibilità soggettiva, che attiene al giudizio di fatto, non può essere in questa sede messa in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e tale fatto non è stato dedotto, essendo piuttosto stato contestato l’apprezzamento del materiale probatorio, talchè la censura tende ad un riesame dei fatti, inammissibile in questa sede di legittimità.

8. Se il “serio indizio” della fondatezza del timore di subire persecuzioni o danno grave in caso di rientro in Patria, posto dall’invocato D.Lgs. n. 251, art. 5, comma 4 presuppone che persecuzioni o minacce siano già accertate come subite dal richiedente, e tale dato non ricorre nella specie, va, poi, rilevato che, sebbene il racconto del richiedente non abbia fatto alcun cenno alle ipotesi di cui all’art. 14, lett. c, il Tribunale non ha omesso di acquisire le informazioni aggiornate sul Paese di origine, ed ha quindi escluso che sussista alcuna ipotesi di conflitto armato interno, in base a fonti espressamente menzionate nella sentenza. Anche in questo caso, il relativo accertamento implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato risulta essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che pur formalmente dedotto, appare inammissibile, in quanto invoca fonti che non vengono neppure indicate, tenuto conto, peraltro, che la protezione sussidiaria contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) può esser riconosciuta, al lume dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07 e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018), solamente qualora si ritenga, eccezionalmente, che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati raggiungano un grado di violenza indiscriminata talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la minaccia di un danno grave.

9. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria e l’omesso esame di fatti decisivi.

10. Il motivo è inammissibile. La censura non deduce alcuna situazione di vulnerabilità, non rilevata dal Tribunale, e tale situazione deve riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna alle spese, che liquida in Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito ed accessori. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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