Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29605 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. I, 14/11/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 14/11/2019), n.29605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8313/2018 proposto da:

E.E., rappresentato e difeso dall’avvocato Mario Marcuz, giusta

procura in calce al ricorso, domiciliato in Roma presso la

cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui Uffici domicilia in Roma Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 243/2018 del Tribunale di Brescia, depositato

il 2/2/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/10/2019 dal cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 2.2.2018, il Tribunale di Brescia ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da E.E., cittadino nigeriano, il quale aveva narrato di esser partito perchè, nonostante fosse il figlio del Chief del villaggio dedito al culto animista, si era convertito al cristianesimo ed aveva distrutto l’idolo animista custodito nella sua casa. Per tale motivo, era stato condannato a morte da un Tribunale presieduto dalla sua matrigna, che lo odiava, ma era riuscito a fuggire recardosi, prima, a Benin City e, poi, visto il proprio fratello – anch’egli inseguito da un gruppo di persone armate di machete, su consiglio di un uomo che aveva assistito alla scena, era scappato al Nord, e, attraversando il Niger e la Libia era giunto in Italia.

Il Tribunale, dichiarate non fondate sollevate questioni di costituzionalità, ha ritenuto il racconto del richiedente inattendibile, ha quindi ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, del pari insussistente la situazione di violenza generalizzata nell'(OMISSIS) ed indimostrate specifiche situazioni soggettive, tali da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno umanitario.

Avverso questa pronuncia, ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero sulla base di quattro motivi, ai quali l’Amministrazione ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le sollevate questioni di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017 (c.d. rito Minniti) sono inammissibili per la loro irrilevanza rispetto al caso in esame. L’elaborazione della Corte costituzionale ha difatti chiarito che la nozione di rilevanza della questione incidentale di legittimità costituzionale postula l’accertamento che un’eventuale sentenza di accoglimento sia in grado di spiegare un’influenza concreta sul processo principale (Corte Cost. n. 184/2006; Corte Cost. n. 1994; Corte cost. n. 62/1993; Corte Cost. n. 10/1982; Corte Cost. n. 90/1968; Corte cost. n. 132/1967), e, viceversa, devono esser reputate irrilevanti, tra l’atro, le questioni che non sortirebbero alcun effetto in detto giudizio (Corte Cost. n. 113/1980; Corte Cost. n. 301/1974) o non risponderebbero in nessun modo alla domanda di tutela rivolta al rimettente (Corte Cost. n. 202/1991; Corte Cost. n. 211/1984; Corte Cost. n. 15/2014; Corte Cost. n. 337/2011; Corte Cost. n. 71/2009). Nel caso in esame, i dubbi di costituzionalità sollevati non hanno in effetti assolutamente nulla a che vedere con la decisione adottata dal giudice di merito, la quale ha trovato fondamento non già nella disciplina giuridica introdotta nel 2017, ma in ragioni di merito e considerato che nella specie l’udienza pubblica è stata celebrata.

Va rilevato, ad abundantiam, che le profilate questioni devono ritenersi manifestamente infondate, al lume dei principi posti da questa Corte (Cass. n. 17717 del 2018 e successive conformi) ed ai quali si presta adesione, secondo cui:

a) l’esigenza di un intervallo temporale perchè possa entrare a regime una complessa riforma processuale, quale quella in discorso, non esclude affatto che l’intervento di riforma sia caratterizzato dal requisito dell’urgenza;

b) l’idoneità del procedimento camerale, da sempre impiegato anche per la trattazione di controversie su diritti e status, a garantire l’adeguato dispiegarsi del contraddittorio con riguardo al riconoscimento della protezione internazionale, neppure potendo riconoscersi rilievo all’eventualità della soppressione dell’udienza di comparizione, sia perchè essa è circoscritta a particolari frangenti nei quali la celebrazione dell’udienza si risolverebbe in un superfluo adempimento, tenuto conto dell’attività in precedenza svolta, sia perchè il contraddittorio è comunque pienamente garantito dal deposito di difese scritte;

c) il principio del doppio grado di giurisdizione è privo di copertura costituzionale, potendo il legislatore sopprimere l’impugnazione in appello al fine di soddisfare specifiche esigenze, quale quella della celerità, esigenza decisiva per i fini del riconoscimento della protezione richiesta, tenuto, peraltro, conto che il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.

A tanto va aggiunto che il dubbio secondo cui la previsione di cui al D.L. n. 13 del 2017, art. 1 istituirebbe giudici speciali, è manifestamente infondato, essendo state piuttosto istituite, presso i tribunali ordinari, sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, consentite dall’art. 102 Cost., comma 2.

2. Col primo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non avere il Tribunale applicato l’onere della prova attenuato e per non aver valutato la credibilità di esso richiedente alla luce dei parametri stabiliti ne l’invocata norma.

3. Col secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, oltre che vizio di motivazione, per non avere il Tribunale applicato il principio di verosimiglianza.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) riferita al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria.

5. Con il quarto motivo, si deduce l’omesso esame circa il fatto decisivo relativo alle persecuzioni religiose attualmente esistenti in Nigeria, che non può essere considerato come un Paese sicuro.

6. I motivi vanno congiuntamente esaminati e rigettati.

7. Va, anzitutto, rilevato che se è vero che le Lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. da a) ad e) (Cass. n. 15782 del 2C14, n. 4138 del 2011), è pure vero che l’attenuazione dell’onere prcbatorio a carico del richiedente non esclude che egli abbia lone-e di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. n. 27503 del 2018). Sotto altro profilo, va rilevato che il ricorrente confonde l’onere di allegazione con quello della prova, e questa Corte ha di recente ribadito (Cass. n. 3016 del 2019) che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costituivi del suo(diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel suo Paese straniero di origine si registrino fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda, in altri termini, la cooperazione istruttoria si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova.

8. Nella specie, il giudizio di non credibilità è stato assunto dal Tribunale in base alla rilevata inverosimiglianza del racconto, non solo rispetto alla distruzione dell’idolo, ma anche rispetto alle circostanze relative alla fuga dalla prigione in cui sarebbe stato richiuso e sorvegliato, inoltre, in riferimento alle diverse versioni fornite delle vicende che si sarebbero svolte a Benin City e che avrebbero visto coinvolto il proprio fratello. Va, quindi, rilevato che la valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, ed insindacabile in sede di legittimità, e che la valutazione di credibilità soggettiva costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, quando, come nella specie, siano assunte alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 871 del 2017).

9. Se il vizio motivazionale non è più predicabile, in esito alla modifica dell’art. 360 codice di rito, n. 5 che limita il controllo sulla motivazione al minimo costituzionale (qui pienamente rispettato), va rilevato che il “serio indizio” della fondatezza del timore di subire persecuzioni o danno grave in caso di rientro in Patria, posto dall’invocato D.Lgs. n. 251, art. 5, comma 4 presuppone che persecuzioni o minacce siano già accertate come subite dal richiedente, e tale dato non ricorre nella specie.

10. Va, poi, rilevato che, sebbene il racconto del richiedente non abbia fatto alcun cenno alle ipotesi di cui all’art. 14, lett. c il Tribunale non ha omesso di acquisire le informazioni aggiornate sul Paese di origine, ed ha quindi escluso che sussista alcuna ipotesi di conflitto armato interno, in base a fonti espressamente menzionate nella sentenza. Anche in questo caso, il relativo accertamento implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato risulta essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che pur formalmente dedotto, appare inammissibile, in quanto invoca discriminazioni religiose riferite a zona diversa del Paese e richiama giurisprudenza di merito e fonti che danno, bensì, conto di una situazione di precarietà e di violazioni di diritti civili, una che non può esser sussunta in quella situazione di violenza generalizzata in conflitto armato interno o internazionale, che, al lume dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07 e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12: vedi pure Cass. n. 13858 del 2018), può dar luogo alla tutela richiesta.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna alle spese, che liquida in Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito ed accessori. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 13, comma bis, semprecchè l’ammissione a gratuito patrocino non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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