Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29603 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. I, 14/11/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 14/11/2019), n.29603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23975/2018 proposto da:

O.E., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Gualtiero Gennari, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, domiciliato per legge in Roma Via Dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

05/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/10/2019 dal Cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Brescia, con decreto pubblicato il 5 luglio 2018, respinge il ricorso proposto dalla signora O.E., cittadina della Nigeria proveniente da (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessata escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) preliminarmente vanno respinte le questioni preliminari sollevate dalla difesa in merito alla mancata videoregistrazione dell’audizione (irrilevante visto che è stata disposta l’udienza dinanzi al Collegio) e alla legittimità costituzionale del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito dalla L. n. 46 del 2017, in riferimento agli artt. 77 e 111 Cost.;

b) quanto al merito delle censure, il parere del PM attestante l’assenza di cause ostative ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007 non può essere accolto e il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito esposte;

c) infatti, all’esito dell’audizione personale della ricorrente e dell’esame della documentazione prodotta non possono dirsi chiariti i plurimi aspetti inverosimili e contraddittori del racconto dell’interessata specialmente con riferimento alle circostanze relative all’omicidio dello zio, filmato da O.E. e alle indagini svolte al riguardo dalla polizia;

d) in particolare, oltre a delle contraddizioni emerse tra la versione offerta in Commissione e quella riferita in sede di audizione giudiziale, l’elemento che più appare meno conciliabile con la storia narrata è rappresentato dal fatto che sembra inverosimile che, durante il narrato trattenimento in carcere per tre settimane a seguito della denuncia dell’omicidio, la polizia abbia lasciato alla richiedente il proprio telefono cellulare invece che sequestrarglielo;

e) quanto poi alle vicissitudini relative al trasferimento in Libia, la richiedente ha riferito di non avere più alcun rapporto con l’amica “che l’aveva venduta” e comunque di non avere alcun timore rispetto alla vicenda ivi vissuta di sottoposizione alla prostituzione, con la sua successiva opposizione alla sfruttatrice;

f) in considerazione delle plurime e insuperabili contraddizioni emerse in sede di audizione il racconto della richiedente è da considerare del tutto inattendibile e questo porta ad escludere la sussistenza dei presupposti sia per l’accoglimento della domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato sia per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) non essendo emerso che, in caso di rimpatrio, la ricorrente corra il rischio di subire un “danno grave”, del tipo ivi indicato;

g) con riferimento all’ipotesi indicata nel medesimo art. 14, lett. c va rilevato che nelle dichiarazioni dinanzi alla Commissione l’interessata non ha affatto allegato di poter essere esposta al rischio della vita o dell’incolumità personale in caso di rimpatrio a causa di situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato;

h) peraltro, le notizie raccolte da fonti internazionali affidabili aggiornate (Report EASO sulla Nigeria di giugno 2017 e Report del Dipartimento di Stato USA di aprile 2016) evidenziano che in (OMISSIS) (da cui proviene la ricorrente) si riscontra soprattutto la presenza di una criminalità sostanzialmente comune ma non possono dirsi presenti situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – che possano coinvolgere il ricorrente;

i) le plurime contraddizioni evidenziate impediscono di rilevare cause di vulnerabilità soggettive o oggettive, che consentano di accordare la protezione umanitaria;

3. il ricorso dalla signora O.E. domanda la cassazione del suddetto decreto per tre motivi; il Ministero dell’Interno, resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Profili preliminari.

1. in primo luogo, con riguardo alla questione di legittimità costituzionale del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito dalla L. n. 46 del 2017 per asserito difetto dei requisiti di necessità e urgenza (richiamata in ricorso), deve essere ricordato il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte secondo cui la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito dalla L. n. 46 del 2017 – sollevata in riferimento agli artt. 77 e 111 Cost. asserito difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza – sempre che in concreto sia rilevante, è manifestamente infondata essendo da considerare evidentemente privo di fondamento logico l’assunto secondo cui la previsione di un termine di 180 giorni per l’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale denoterebbe l’insussistenza del requisito di urgenza per l’adozione dello strumento del decreto-legge, dal momento che l’esigenza di un intervallo temporale perchè possa entrare a regime una complessa riforma processuale, quale quella in discorso, non esclude affatto che l’intervento di riforma sia caratterizzato dal requisito dell’urgenza (Cass. 5 luglio 2018, n. 17717; Cass. 5 novembre 2018, n. 28119);

Sintesi dei motivi.

2. il ricorso è articolato in tre motivi con i quali – dopo essersi posto l’accento sulla presenza del parere del PM attestante l’assenza di cause ostative ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007 – si denuncia la nullità del decreto impugnato, rispettivamente, per:

2.1. omessa motivazione ed omesso esame circa un punto decisivo della controversia, rappresentato dalla condizione socio-politica del Paese di provenienza della ricorrente e dalla correlazione di tale situazione con la specifica posizione dell’interessata (primo motivo), sottolineandosi che il Tribunale con motivazione generica e carente ha respinto la domanda della ricorrente, senza valutare – esercitando il proprio ruolo attivo nell’istruttoria, a fronte del circostanziato racconto dell’interessata – che, proprio nella zona di Benin City (da cui proviene la ricorrente) si registra il triste primato, nell’ambito della Nigeria, della violenza sulle donne anche domestica, del traffico di donne giovani e/o minorenni a scopo di sfruttamento sessuale, sicchè molte donne come la ricorrente sono costrette a sopportare violenze e abusi (anche da parte della polizia) e ad essere coinvolte nella tratta e nello sfruttamento sessuale in Libia, come è successo alla ricorrente costretta a prostituirsi e poi arrestata dalla polizia libica per essersi sottratta al giogo della prostituzione, subendo in carcere trattamenti inumani e degradanti per circa otto mesi;

2.2. violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, in combinato disposto con gli artt. 3 e 14 del Protocollo del 1967 (secondo motivo) per non avere il Tribunale considerato che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e anche della protezione sussidiaria (ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 da legge unitamente con l’art. 10 Cost.) il fatto che il richiedente abbia subito persecuzioni, danni gravi o minacce dirette di persecuzioni o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore di subire persecuzioni o del rischio effettivo di gravi danni, tale è la situazione dell’attuale ricorrente, non analizzata nel modo dovuto dal Tribunale;

2.3. violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., in base al quale alla ricorrente dovrebbe comunque essere riconosciuto il diritto di asilo, autonomo rispetto alla qualifica di rifugiato politico (terzo motivo);

Esame dei motivi.

3. in ordine logico deve essere esaminato per primo il terzo motivo che va respinto in quanto questa Corte, con costante giurisprudenza, ha da tempo chiarito (a partire da Cass. 26 giugno 2012, n. 10686, cui si è uniformata la successiva giurisprudenza) che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui al D.Lgs.25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6. Ne consegue che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione;

3.1. poichè il presupposto ermeneutico delle censure formulate nel terzo motivo risulta non conforme al suddetto indirizzo qui condiviso, il motivo deve essere respinto;

4. gli altri due motivi – da trattare insieme, data la loro intima connessione – vanno, invece accolti per le ragioni e nei limiti di seguiti indicati;

4.1. come più volte affermato da questa Corte:

a) l’allegazione da parte del richiedente la protezione internazionale che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani – anche senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda di protezione – costituisce in ogni caso circostanza rilevante ai fini della ricostruzione della vicenda individuale e, di conseguenza, della credibilità del dichiarante e della sua condizione di fragilità (vedi, per tutte: Cass. 6 febbraio 2018, n. 2861);

b) a maggior ragione quando la suddetta connessione venga illustrata o addirittura siano state evidenziate violenze (in particolare sessuali) subite nel Paese di transito (Libia) e di temporanea permanenza del richiedente asilo in tale Paese, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, il Giudice del merito non può esimersi dallo svolgere una specifica valutazione in ordine alle violenze sessuali che la richiedente asilo ha allegato di avere subito in Libia, Paese di transito e di permanenza per un certo periodo (Cass. 15 maggio 2019, n. 13096, riguardane un ricorso proposto da una cittadina nigeriana);

c) in simili casi l’accertamento della situazione di disagio psico-fisico del richiedente e di vulnerabilità potrà essere presa in considerazione quanto meno ai fini della protezione umanitaria, che nella configurazione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, – qui applicabile ratione temporis – è una misura atipica e residuale destinata a coprire situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi il rimpatrio e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (vedi, per tutte: Cass. 9 ottobre 2017, n. 23604; Cass. 15 maggio 2019, n. 13079);

d) senza peraltro escludere la possibilità della concessione di una misura di protezione internazionale se, in concreto, nella vicenda umana posta a base della domanda e ivi narrata (al di là di aspetti meramente di dettaglio) risulti che l’attraversamento ed il soggiorno in un Paese di transito (come la Libia) e i trattamenti inumani e degradanti nonchè le violenze ivi subite abbiano un importante ruolo nell’ambito nucleo essenziale della richiesta di protezione internazionale, che è quello che deve essere esaminato nelle due fasi del procedimento (arg. ex Cass. 20 novembre 2018, n. 29875);

5. nella specie il Tribunale – dopo aver disatteso, senza alcuna giustificazione, il parere del PM attestante l’assenza di cause ostative ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007 – ha considerato inattendibile la parte del racconto riguardante l’omicidio dello zio della richiedente sulla base di un elemento, quale il supposto mancato sequestro della memory card della richiedente da parte della Polizia, che appare assolutamente marginale (e comunque è contestato dall’interessata) rispetto al riferito trattenimento in carcere per tre settimane a seguito della denuncia sporta per il suddetto omicidio;

6. ma ciò che ha maggiormente rilievo è che il Tribunale, pur considerando pacifico che la ricorrente sia stata “venduta” tramite un’amica – il che vuoi dire che, presumibilmente, ella sia stata vittima del fiorente traffico di esseri umani tra la Nigeria e la Libia – in contrasto con la normativa in materia (a partire dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8) non risulta che abbia dato alcun peso a questo fatto;

7. in particolare, dal decreto risulta che il Tribunale, pur avendo ritenuto attendibile il racconto della richiedente sul punto, non ha sulla base dei dati forniti in tale racconto, assunto informazioni precise e aggiornate circa la situazione donne in Nigeria, notoriamente spesso obbligate a subire violenze ed abusi soprattutto di tipo sessuale e coinvolte nella tratta e nello sfruttamento sessuale anche in Libia, pure al fine di stabilire se, ad esempio, la suddetta “vendita” è stata conclusa in Nigeria ovvero direttamente in Libia, onde apprestare la protezione più adeguata;

8. in altri termini il Tribunale non avendo attribuito alcun rilevo al dato raccapricciante della “vendita” della richiedente – vendita che, di per sè, costituisce una violenza e un trattamento di tipo schiavistico – non avendo assunto specifiche informazioni sulla situazione delle donne nigeriane non ha neppure considerato che spesso le vittime di tratta non denunciano le violenze subite per timore di ritorsioni e che, quindi, la ricorrente per la medesima ragione, potrebbe aver dichiarato di non avere alcun timore rispetto alla vicenda vissuta in Libia;

9. ne deriva che il Tribunale, per tutte le indicate ragioni, è venuto meno al dovere di accertare – avvalendosi dei suoi poteri istruttori anche ufficiosi, data la ritenuta credibilità di questa parte del racconto (vedi, per tutte: Cass. 27 giugno 2018, n. 16925) – le conseguenze subite dalla ricorrente per effetto dell’indicata “vendita” e dell’esercizio della prostituzione cui è stata obbligata, acquisendo informazioni aventi per specifico oggetto la situazione delle donne nigeriane, onde stabilire se, come richiesto anche dal Pubblico ministero davanti al Tribunale, Endurance O. sia meritevole di una forma di protezione internazione ovvero della protezione umanitaria, quale prevista dall’art. 5, comma 6 TUI (non essendo qui applicabile, ratione temporis, il D.L. n. 113 del 2018 convertito dalla L. n. 132 del 2018);

10. per tutte le indicate ragioni il decreto impugnato deve essere cassato in accoglimento dell’assorbente profilo di censura relativo allo sostanziale assenza – e, quindi, all’apparenza – della motivazione relativa al rigetto nel suo complesso della domanda di protezione proposta dalla ricorrente, domanda che il Tribunale ha respinto facendo riferimento ad elementi del tutto secondari (vedi: memory card) ovvero a ricerche riguardanti la situazione complessiva della Nigeria, ma senza procedere alla valutazione specifica della situazione della ricorrente, effettuata sulla base del nucleo essenziale del racconto dell’interessata, nel quale deve farsi senz’altro rientrare la circostanza di essere stata oggetto di una vendita seguita dalla sottoposizione all’obbligo di prostituirsi (vedi, per tutte: Cass. 12 novembre 2018, n. 28990);

11. in particolare, la motivazione del decreto, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter-logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice, in particolare con riguardo alle ragioni della mancata valutazione degli effetti della “vendita” di cui si è detto (ex plurimis, Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009; n. 4488 del 2014; SU n. 8053 e n. 19881 del 2014);

12. tutto questo comporta l’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, nei delineati limiti;

Conclusioni.

13. in sintesi, il terzo motivo di ricorso deve essere respinto e i primi due motivi devono, invece, essere accolti, nei limiti di cui in motivazione, con rinvio al Tribunale di Brescia, in diversa composizione, il quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il terzo motivo di ricorso e accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo e il secondo motivo. Cassa il decreto impugnato, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Brescia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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