Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29602 del 22/10/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/10/2021, (ud. 16/06/2021, dep. 22/10/2021), n.29602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7312-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3058/14/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata P11/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

FATTO e DIRITTO

Ritenuto che:

L’Agenzia delle entrate accertava ai fini Irpef D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 1, lett. D, un maggior reddito di impresa per l’anno 2009 nei confronti di F.G., in qualità di titolare dell’impresa familiare “Bar Dea”, un maggior volume d’affari ed una maggiore Irap.

F.G. impugnava l’atto impositivo avanti alla CTP di Pavia che con sentenza nr 660/2015 lo accoglieva parzialmente e rideterminava “i maggiori ricavi accertati da ricostruzione indiretta con un abbattimento pari al 25% rimanendo immutati i compensi da slot machine”.

Detta decisione veniva impugnata dal contribuente avanti alla CTR della Lombardia che con sentenza nr 3058/2019 accoglieva il gravame con l’imputazione al F. del 51% di quanto definitivamente accertato.

Il giudice di appello escludeva l’esistenza di un litisconsorzio necessario tra il titolare dell’impresa e i suoi partecipanti alla luce della più recente giurisprudenza (Cass. 2017 n. 30842).

Riteneva fondata la domanda formulata in via subordinata dal contribuente considerando corretta l’imputazione del maggior reddito accertato dal primo Giudice nella misura del 51% essendo le quote residue imputabili per trasparenza ai collaboratori familiari.

Avverso tale sentenza l’Ufficio propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, con cui si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 4, (T.U.I.R.), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento ai maggiori redditi accertati in capo all’impresa familiare.

Si sostiene che sulla base del dettato normativo (art. 5 menzionato in rubrica) l’imputazione del reddito ai familiari presuppone che quel reddito sia stato dichiarato sicché detta imputazione non può trovare applicazione nel caso di redditi eventualmente accertati che vanno interamente ascritti in capo all’imprenditore.

Il motivo è fondato.

L’istituto dell’impresa familiare è disciplinato dall’art. 230-bis c.c., che considera tale l’impresa nella quale collaborano i componenti la famiglia prestando in modo continuativo la propria attività lavorativa; tale forma di impresa si presenta ai terzi come un’impresa individuale, in cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado, i quali hanno diritto di partecipazione agli utili dell’impresa, trovando applicazione nei confronti dell’impresa familiare un sistema di tassazione per trasparenza analogo a quello che opera per le società di persone.

Rispetto alla disciplina civilistica, l’applicazione del regime fiscale dell’impresa familiare, contenuto nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, commi 4 e 5, postula che ricorrano le seguenti condizioni: a) l’indicazione nominativa dei familiari partecipanti all’attività d’impresa, risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all’inizio del periodo d’imposta, recante la sottoscrizione dell’imprenditore e dei familiari partecipanti; b) l’indicazione, nella dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, delle quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l’attestazione che le stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell’impresa in modo continuativo e prevalente nel periodo di imposta; c) l’attestazione di ciascun partecipante, nella propria dichiarazione dei redditi, di avere prestato l’attività di lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente.

La natura individuale dell’impresa familiare comporta che titolare dell’impresa resta comunque l’imprenditore, per cui la posizione degli altri familiari, che prestano il loro apporto sul piano lavorativo, assume rilevanza esclusivamente nei rapporti interni, tanto che resta esclusa la configurabilità di un’ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. n. 874 del 18/1/2005; Cass. n. 2472 del 31/1/2017).

Sussistendo le condizioni richieste dall’art. 5 T.U.I.R., commi 4 e 5, il reddito dell’impresa familiare risultante dalla dichiarazione

dell’imprenditore va imputato ai familiari che abbiano prestato in modo continuativo e prevalente la loro attività nell’impresa, proporzionalmente alla rispettiva quota di partecipazione agli utili, ma la quota di reddito attribuibile ai soggetti partecipanti all’impresa familiare non può superare il 49 per cento dell’ammontare complessivo del reddito emergente dalla dichiarazione annuale, mentre le eventuali perdite conseguite dall’imprenditore non possono essere imputate ai collaboratori, ma sono di esclusiva pertinenza del titolare dell’impresa.

Sebbene si parli di “imputazione” e, quindi, di determinazione di un unico reddito con successiva ripartizione ai partecipanti, risulta evidente, quanto alla natura dei redditi, che il reddito del titolare, pari al reddito dell’impresa familiare al netto delle quote spettanti ai familiari collaboratori, costituisce reddito d’impresa, mentre le quote spettanti ai collaboratori – che non sono contitolari dell’impresa familiare – costituiscono redditi di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa (Cass. n. 28558 del 2/12/2008; Cass. n. 26388 del 30/12/2010; Cass. n. 2472 del 2017 cit.; Cass. n. 30842 del 22/12/2017; Cass. 2019 nr 34222).

Ne consegue, alla luce del dato letterale del richiamato art. 5 T.U.I.R., commi 4 e 5, che fa espresso riferimento alla dichiarazione dell’imprenditore, che, dal punto di vista fiscale, soltanto al titolare dell’impresa resta riferibile il reddito oggetto di accertamento nel caso di omessa dichiarazione o di accertamento di maggior reddito a seguito di rettifica della dichiarazione dallo stesso presentata.

Infatti, poiché il reddito che viene suddiviso tra i componenti l’impresa familiare è soltanto quello oggetto della dichiarazione, deve escludersi che siano riconducibili nel perimetro normativo i redditi che siano emersi a seguito di accertamento condotto nei confronti dell’imprenditore.

L’imputazione proporzionale può, dunque, essere effettuata soltanto sul reddito d’impresa familiare emergente dalla dichiarazione dell’imprenditore e non può, di conseguenza, essere operata sul maggior reddito accertato dall’Ufficio, né sul reddito accertato dall’Ufficio in caso di omessa dichiarazione del titolare, i quali vanno perciò attribuiti esclusivamente al titolare dell’impresa e non possono essere attribuiti pro quota agli altri familiari collaboratori aventi diritto alla partecipazione agli utili d’impresa.

Analogamente, anche le sanzioni, essendo applicabili in dipendenza della mancata presentazione della dichiarazione o dell’accertamento del maggior reddito d’impresa, vanno irrogate soltanto nei confronti del titolare dell’impresa, quale unico soggetto cui va ricondotto l’evento omissivo assunto ad elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria.

La sentenza impugnata si è discostata dai suddetti principi e va pertanto cassata, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese di questa fase.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2021

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