Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29601 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. I, 24/12/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 24/12/2020), n.29601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13880/2019 proposto da:

A.A., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Andrea Maestri, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3049/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Bologna, pubblicata il 10 dicembre 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da A.A. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale di Bologna. Il giudice di primo grado aveva respinto la domanda di protezione internazionale del ricorrente.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, si è limitato a depositare un atto di costituzione in cui non sono state svolte difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo sono denunciate violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14 e 178 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, art. 33 della Convenzione di Ginevra sulla protezione dei rifugiati. Viene in sostanza rilevato che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve prescindersi della posizione personale del richiedente giacchè, con riferimento a detta fattispecie, non trova applicazione il principio della personalizzazione della minaccia o del danno. Nel motivo si osserva, inoltre, che nel paese da cui proviene il ricorrente, il Pakistan, “non sarebbe tutelata l’indipendenza e la libertà di espressione, principalmente di quegli operatori che agiscono in difesa dei diritti umani, i quali sono spesso vittima di minacce, ritorsioni, sparizioni forzate e violenze”.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello ha evidenziato come non fosse stato oggetto di censura l’accertamento, da parte del giudice di prime cure, della non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente. Tanto esclude che in questa sede possa discutersi della legittimità delle statuizioni adottate dalla Corte distrettuale con riferimento allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b). Infatti, la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria art. 14, ex lett. a) e b) escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925, in motivazione).

Quanto alla particolare ipotesi della violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, di cui all’art. 14, lett. c) D.Lgs. cit., la Corte di appello ha negato, sulla scorta di fonti informative aggiornate (rapporto EASO del 2018) che la regione di provenienza del ricorrente (il (OMISSIS)) vi sia interessata. Viene in discorso un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), oltre che per assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054): censure, queste, nemmeno sollevate dall’odierno ricorrente.

2. – Il secondo mezzo oppone l’omesso esame un fatto decisivo in riferimento ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. E’ affermato che il difetto di credibilità in ordine alla protezione internazionale non esclude l’obbligo del giudice del merito di pronunciarsi quanto alla domanda di protezione umanitaria: nel caso in esame, invece – secondo il ricorrente -, la domanda relativa alla detta forma di protezione era stata respinta senza accertare l’esistenza o meno delle specifiche condizioni che avrebbero potuto giustificare il diritto al rilascio del relativo titolo di soggiorno.

Il motivo è inammissibile, in quanto mostra di non cogliere il preciso contenuto della decisione nel punto che qui interessa.

Contrariamente a quanto ritenuto in ricorso, infatti, la Corte di appello non ha affatto mancato di verificare se, nonostante il mancato riconoscimento delle altre forme di protezione, l’istante potesse aver diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari. Lo ha però escluso, osservando che la relativa domanda si fondava su asseriti problemi relativi alla sua condizione fisica che il giudice di primo grado, con affermazione non oggetto di specifica censura, aveva ritenuto insussistenti; la stessa Corte appello ha poi evidenziato come la protezione umanitaria non possa essere riconosciuta per il semplice fatto che lo straniero versi in uno stato di salute non buono, essendo di contro necessaria l’allegazione di una grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel paese di provenienza: e nella fattispecie – era spiegato – l’appellante non aveva neppure allegato (ancor prima che provato) che le proprie condizioni fossero “tali da non consentirne l’allontanamento ovvero la cura nel paese d’origine”.

Ciò detto, la ravvisata mancata aderenza della censura al decisum destina la stessa alla statuizione di inammissibilità (Cass. 7 settembre 2017, n. 20910, che nel pronunciarsi in tali termini, richiama il principio già enunciato da Cass. 7 novembre 2005, n. 21490, secondo cui la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio).

3. – Il ricorso è da dichiararsi in conclusione inammissibile.

4. – Non è luogo a pronuncia sulle spese di giudizio.

PQM

LA CORTE

dichiara l’inammissibilità del ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, sempre che questo sia dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

 

 

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