Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29599 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. I, 14/11/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 14/11/2019), n.29599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23799/2018 proposto da:

Y.C., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Ibraim Khalil Diarra, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

02/07/2018;

udita la relazione della dal Cons. Dott. LUCIA TRIA causa svolta

nella camera di consiglio del 16/10/2019.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Brescia, con decreto pubblicato il 2 luglio 2018, respinge il ricorso proposto da Y.C., cittadino di Costa d’Avorio, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente con riguardo al luogo di provenienza, ai motivi che l’hanno indotto a lasciare il proprio Paese e alle ragioni per le quali non intende rimpatriare non ha indicato elementi idonei a superare la valutazione di non verosimiglianza espressa dalla Commissione territoriale;

b) l’inattendibilità delle dichiarazioni dell’interessato porta a considerare non veritiera la vicenda familiare narrata dalla quale comunque non emerge la sussistenza di alcun rischio effettivo di essere ucciso o di subire trattamenti inumani o degradanti in caso di rientro in Costa d’Avorio;

c) pertanto, è senz’altro ad escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b);

d) con riferimento all’ipotesi indicata nel medesimo art. 14, lett. c, va rilevato che le notizie raccolte da fonti affidabili aggiornate evidenziano che in Costa d’Avorio si riscontra, in generale, una situazione caratterizzata da episodi di violenza che hanno incidenza limitata e che si collegano principalmente alle contestazioni nei confronti del governo in carica di alcuni appartenenti alle forze armate che non ricevono lo stipendio da qualche tempo;

e) si tratta, quindi, di una situazione certamente non corrispondente a quella prevista dall’art. 14 cit., lett. c;

f) infine, non sussistono neppure gli elementi per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari perchè non sono state allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità soggettiva (per motivi personali o di salute) o oggettiva che consentano di accordare tale permesso;

3. il ricorso di Y.C. domanda la cassazione del suddetto decreto per tre motivi; il Ministero dell’Interno, resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Sintesi dei motivi.

1. il ricorso è articolato in tre motivi.

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni del D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs.n. 25 del 2008, oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere il Tribunale fondato la propria valutazione di non credibilità del ricorrente anche sulle dichiarazioni rese alla Questura in sede di compilazione del modello C3 nonchè su quelle rese alla Commissione territoriale, mentre eventuali lacune riscontratesi in tali sedi possono essere superate in sede giudiziaria (Cass. 10 luglio 2014, n. 15782);

1.2. con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio motivazionale, per avere il Tribunale escluso la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata e conflitto armato interno in Costa d’Avorio, in conseguenza della non corretta applicazione delle regole istruttorie (enunciata nel primo motivo) ed avere così erroneamente escluso il riconoscimento al ricorrente della protezione sussidiaria;

1.3. con il terzo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e degli artt. 115 e 116 c.p.c.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio motivazionale, in riferimento alla mancata concessione della protezione umanitaria, disposta senza considerare che il ricorrente ha richiamato tutti gli aspetti della propria vicenda rilevanti nell’ambito del contesto socio-politico del Paese d’origine ed ha anche e depositato in udienza copia di un attestato di conoscenza della lingua italiana oltre ad un contratto di lavoro;

Esame delle censure.

2. l’esame delle censure porta all’inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte;

3. tutti i profili di censura genericamente riferiti ai vizi di motivazione vanno dichiarati inammissibili perchè il vizio della motivazione non costituisce più ragione cassatoria a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis – in base al quale la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano;

4. anche gli altri profili di censura – al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione dei motivi – vanno dichiarati inammissibili in primo luogo perchè essi finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito della condizione personale del ricorrente, basate sulla scarsa credibilità del racconto effettuato perchè generico e contraddittorio;

5. inoltre, per quanto riguarda in particolare il primo motivo, in esso si contesta il raffronto effettuato dal Tribunale tra le dichiarazioni rese sul modello C3 (peraltro non allegato) e quelle rese in sede giudiziaria, così assumendosene la non correttezza ai fini della valutazione della credibilità del ricorrente, senza considerare che per costante indirizzo di questa Corte nel ricorso per cassazione una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice del merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (vedi per tutte: Cass. 17 gennaio 2019, n. 1229 e Cass. n. 27000 del 2016);

6. nel secondo motivo neppure si considera che la vicenda narrata dal richiedente è una vicenda familiare e che, in base alla giurisprudenza di questa Corte, simili vicende non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave soltanto se lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi alla persona, ma sempre che si tratti di atti persecutori o di danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b) (Cass. 18 novembre 2013, n. 25873; Cass. 12 dicembre 2016, n. 25463; Cass. 15 febbraio 2018, n. 3758);

6.1. nella specie invece dal decreto impugnato non risulta che, nel corso del procedimento, sia emersa la sussistenza dei suindicati elementi (per effetto di “ogni ragionevole sforzo compiuto” al riguardo dall’interessato, elemento che rappresenta la ineludibile premessa per la collaborazione istruttoria del giudice) nè nel ricorso si effettuano contestazioni in merito all’anzidetta mancata menzione;

6.2. nel ricorso non vengono forniti elementi utili su tale questione che ha carattere decisivo, in quanto si sviluppano altre argomentazioni che non sono idonee a contestare la statuizione del Tribunale al riguardo, conforme al suindicato orientamento di questa Corte;

6.3. la statuizione relativa al carattere familiare della vicenda riferita, non accompagnata dalla dimostrazione che gli atti persecutori o il danno grave paventati non siano imputabili esclusivamente a soggetti non statuali (nella specie: familiari), nel senso suindicato – che costituisce la ratio decidendi principale del provvedimento impugnato con riguardo al mancato riconoscimento della protezione internazionale, idonea da sola a sorreggere la decisione sul punto – non viene attinta dalle censure formulate nel ricorso al riguardo le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale;

6.4. tale omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, le relative censure, in quanto la statuizione non censurata è divenuta definitiva e quindi non si può più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

6.5. di qui l’inammissibilità del secondo motivo relativo alla ipotizzata violazione della normativa in materia di protezione sussidiaria;

7. inammissibile è anche il terzo motivo, con il quale è stata dedotta la violazione della normativa in materia di protezione umanitaria perchè con esso – sempre sulla base dell’erronea premessa della ipotizzata violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. a causa di una contestata valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice del merito – si sostiene che, diversamente da quanto affermato dal Tribunale, il ricorrente avrebbe pieno diritto ad ottenere almeno la protezione umanitaria in considerazione dell’insicurezza del proprio Paese di origine e del suo percorso di integrazione in Italia (dimostrato con un attestato della conoscenza della lingua italiana e con un contratto di lavoro);

7.1. tuttavia, i suddetti elementi che sono inidonei, di per sè, a legittimare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che dipende dalla dimostrazione di specifici di vulnerabilità del richiedente, nella specie mancante, come ha rilevato motivatamente il Tribunale.

Conclusioni.

8. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

9. nulla si deve disporre per le spese del presente giudizio di cassazione in quanto il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede;

10. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA