Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29597 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2011, (ud. 30/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.N., L.M., P.M., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA COLA DI RIENZO 44, presso lo studio

dell’avvocato CALANDRELLI DOMENICO, che li rappresenta e difende,

giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 101/2007 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 14/06/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito per il ricorrente l’Avvocato CALANDRELLI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato MADDALO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del primo e secondo

motivo del ricorso, accoglimento per quanto di ragione dei restanti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.M., P.M. e P.N. – dirigenti Enel in quiescenza, iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale FONDENEL/P.I.A. da epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993 – ricorrono contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha respinto la loro domanda di rimborso della ritenuta d’ imposta operata sulla somma loro versata a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale;

ritenuta che era stata calcolata dal sostituto d’imposta applicando sull’intero importo l’aliquota con la quale era stato tassato il TRR. La Commissione Tributaria Regionale ha respinto la domanda di rimborso ritenendo l’intero importo percepito dai contribuenti soggetto a tassazione separata – e quindi tassabile con la medesima aliquota del TFR – ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a).

Il ricorso dei contribuenti è affidato a cinque motivi.

Con il primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 300 del 1999, artt. 68 e 69, per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto ammissibile l’appello avverso la sentenza di primo grado, ancorchè esso non fosse stato proposto dal direttore dell’Agenzia delle Entrate (unico titolare, secondo i ricorrenti, del potere di rappresentare in giudizio l’Agenzia), bensì dal direttore dell’ufficio locale della medesima Agenzia.

Con il secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 53, per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto ammissibile l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado ancorchè i relativi motivi fossero privi di specificità.

Con il terzo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 669 del 1996, art. 1, comma 5, dell’art. 41, lett. g) e g quater), e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42, comma 4, (D.P.R. n. 917 del 1986), della L. n. 482 del 1985, art. 6, dell’art. 26, comma 5, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26 ter e dell’art. 1362 c.c..

Con il quarto motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16 (D.P.R. n. 917 del 1986).

Con il quinto motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, si denuncia l’insufficienza della motivazione della sentenza gravata.

L’Agenzia si è costituita depositando controricorso.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 30.11.11, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I primi due motivi di ricorso propongono questioni processuali e vanno entrambi disattesi.

Il primo motivo è infondato, avendo questa Corte già chiarito che gli uffici periferici dell’Agenzia delle entrate hanno la capacità di stare in giudizio, in via concorrente ed alternativa ai direttore, secondo un modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli artt. 2203 e 2204 cod .civ.; detti uffici, infatti, si configurano quali organi dell’Agenzia che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza, con la conseguenza dell’imputabilità all’organo rappresentato dell’attività da loro svolta e l’ulteriore conseguenza della sussistenza della legittimazione passiva ed attiva concorrente (vedi Cass. 6338/08, Cass. 8703/09).

Il secondo motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza, non avendo il ricorrente riportato nel ricorso i motivi dell’appello dell’Ufficio di cui contesta la genericità. Questa Corte ha infatti già precisato che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, fondato sul principio della responsabilità della redazione dell’atto, vale anche per i motivi d’appello in relazione ai quali si denuncino errori da parte dei giudici di merito. Ne consegue che il ricorrente che si dolga della mancata declaratoria della nullità dell’atto di appello per genericità dei relativi motivi deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i detti motivi formulati dalla controparte (cfr. Cass. 9734/04, Cass. 1170/04).

Il terzo, quarto e quinto motivo – che, per la loro intima connessione possono essere trattati congiuntamente – pongono la questione dei trattamento tributario delle somme corrisposte a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale erogato dal fondo previdenziale FONDENEL/P.I.A. In proposito è preliminarmente opportuno sottolineare che, poichè l’oggetto del presente giudizio è una domanda di rimborso dei contribuenti, questi ultimi rivestono la qualità di attore in senso non soltanto formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche sostanziale (cfr. Cass. 13057/04, Cass. 22567/04, Cass. 10797/10).

Da tale rilievo discende una duplice conseguenza: per un verso, l’onere di allegare e provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato in domanda grava sui contribuenti;

per altro verso, le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o contesta che i medesimi siano qualificabili giuridicamente nei termini proposti dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale; salva l’ipotesi di formazione di un giudicato interno o – ove in concreto ne ricorrano i presupposti – l’applicazione del principio di non contestazione. Quanto a tale ultimo principio, va altresì sottolineato che esso non può essere invocato per sostenere l’assunto secondo cui la mancata contestazione, da parte dell’Ufficio, dei contenuti della certificazione rilasciata dal sostituto d’imposta Enel sulla composizione della somma erogata ai contribuenti implicherebbe ammissione della quantificazione del rendimento finanziario operata in detta certificazione. In proposito va precisato, per un verso, che il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore, allorchè il convenuto si limiti a negare in radice l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull’aro debeatur (Cass. SSUU 761/02); per altro verso, che il principio di non contestazione opera sul piano della prova, cosicchè nel processo tributario (nel quale pure è certamente applicabile, vedi Cass. 1540/07) esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, nè determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello proposte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie (cfr. Cass. 7789/06).

Svolta tale premessa, osserva la Corte che la questione del regime fiscale delle somme corrisposte a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale erogato dal fondo previdenziale FONDENEL/P.I.A. è stata recentemente chiarita dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13642 del 2011, resa in controversia analoga, che ha affermato il seguente principio: “In tema, di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate informa capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettala al regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del ed, rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista della L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturali a decorrere dal 1 gennaio 200 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17″.

Alla stregua di tale principio, il meccanismo impositivo di cui alla L. 1. n. 482 del 1985, art. 6 (aliquota del 12,5% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) si applica a coloro che siano iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale FONDENEL/P.I.A. da epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, solo limitatamente agli importi maturati entro il 31.12.2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento finanziario del capitale; per tale intendendosi, come espressamente precisato nella parte motiva della citata sentenza delle Sezioni Unite (ultima parte del penultimo periodo del paragrafo 6.1), il “rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato”.

Il ricorso va quindi giudicato fondato, perchè la sentenza gravata ha errato nello statuire che l’intera somma percepita dai contribuenti a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale è soggetta al regime impositivo della tassazione separata e, quindi, alla medesima aliquota del TFR;

la Commissione Tributaria Regionale avrebbe invece dovuto distinguere, nell’ambito della suddetta somma, la parte derivante dal rendimento generato dalla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato (quantificando il relativo importo in base agli investimenti concretamente effettuati dal Fondo sul mercato finanziario, alla stregua delle norme contrattuali via via applicabili, e delle plusvalenze con essi realizzati) e applicare a tale parte l’aliquota del 12,50%, secondo il meccanismo impositivo, sopra richiamato, dettato dalla L. n. 482 del 1985, art. 6.

La sentenza va quindi cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale che procederà -previa disamina dei meccanismi di funzionamento del fondo FONDENEL/P.I.A. nel corso degli anni – ad accertare se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sui mercato finanziario, quali siano stati i risultati dell’investimento ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali; sulla scorta di tale indagine, quantificherà la parte della somma complessivamente erogata a ciascun contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcolerà l’imposta dovuta da ciascun contribuente (e, conseguentemente, l’ammontare del suo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,5%, secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17. In definitiva, il ricorso va accolto e, per l’effetto, la sentenza gravata va cassata con rinvio, dovendosi rimettere le parti alla Commissione Tributaria Regionale perchè questa si pronunci sulla domanda restitutoria dei contribuenti determinando l’imposta da costoro dovuta secondo i principi sopra enunciati. Spese al merito.

P.Q.M.

La Corte respinge i primi due motivi di ricorso, accoglie i motivi terzo, quarto e quinto, cassa la sentenza gravata e rinvia le parti alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in altra composizione, che si atterrà ai principi di cui in motivazione e regolerà anche le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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