Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29593 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/12/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 24/12/2020), n.29593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 238/2020 proposto da:

O.I., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA CANNATA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CASERTA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 8972/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato

il 27/11/2019 r.g.n. 19087/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con decreto 27 novembre 2020, la competente sezione specializzata del Tribunale di Napoli rigettava il ricorso proposto da O.I., cittadino (OMISSIS) originario di un villaggio nell’Imo State, avverso il provvedimento della Commissione Territoriale di Caserta di negazione della protezione internazionale richiesta, avendo dovuto abbandonare la Nigeria (nel (OMISSIS) ed avendo raggiunto l’Italia il (OMISSIS), dopo avere attraversato Niger e Libia) per timore di essere ritrovato da un componente del commando che ne aveva ucciso lo zio, nonostante il pagamento del riscatto dopo il suo rapimento e che egli aveva riconosciuto avendo assistito all’episodio: per tale ragione non potendovi ritornare;

2. anche il Tribunale riteneva la non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, intimamente contraddittorie e sfornite di prova, per l’inverosimiglianza della vicenda narrata: pure sottolineandone l’inadempimento all’obbligo di cooperazione nell’istruttoria, in quanto non comparso all’udienza delle parti fissata allo scopo. In ogni caso, esso escludeva la ricorrenza dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,7 e 8, in difetto degli atti persecutori da parte dei soggetti ivi indicati, nonchè della protezione sussidiaria, in assenza dei rischi in caso di rimpatrio previsti dall’art. 14 D.Lgs. cit. e della situazione di instabilità della regione nigeriana interessante il ricorrente, ma soltanto la parte a nord del Paese. Nè infine esso riteneva sussistere i gravi motivi umanitari ostativi all’allontanamento dall’Italia, non risultando neppure un grado di inserimento del cittadino nigeriano nel tessuto sociale, economico e culturale (peraltro da valutare non già come fattore esclusivo, ma concorrente con altri elementi di valutazione comparativa per apprezzarne la vulnerabilità) tale da renderne traumatico il reinserimento nel contesto di origine;

3. con atto notificato il 23 dicembre 2019, lo straniero ricorreva per cassazione con tre motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per non corretta valutazione della propria credibilità (negata dal Tribunale) sulla base di riscontri oggettivi relativi alla situazione generale della Nigeria, senza inserire la propria vicenda personale in essa, ritenuta anzi “nel rapporto di Amnesty International” l’area dell’Imo State proprio quella ad alto potenziale di criminalità politica e comune (primo motivo);

2. il motivo è inammissibile;

3. premessa la necessità che: la valutazione di credibilità del richiedente sia sempre frutto di una valutazione complessiva di tutti gli elementi e che non possa essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti, quando invece venga trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto (Cass. 8 giugno 2020, n. 10908); il giudice, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, osservi l’obbligo di compiere le valutazioni di coerenza e plausibilità delle dichiarazioni del richiedente, non già in base alla propria opinione, ma secondo la procedimentalizzazione legale della decisione sulla base dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 11 marzo 2020, n. 6897; Cass. 6 luglio 2020, n. 13944; Cass. 9 luglio 2020, n. 14674);

3.1. la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (soltanto il mancato rispetto dei parametri procedimentali di tale norma integrando un errore di diritto denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: Cass. 30 giugno 2020, n. 13257) e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero mancanza assoluta della motivazione, motivazione apparente o perplessa od obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340); la verifica di credibilità è sottratta al controllo di legittimità, al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, devono essere sottoposte non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 7 agosto 2019, n. 21142; Cass. 19 giugno 2020, n. 11925);

3.2. il motivo difetta di specificità e sollecita in modo evidente un riesame dell’accertamento in fatto, di spettanza esclusiva del giudice di merito e pertanto insindacabile in sede di legittimità, laddove, come nel caso di specie (relativo ad una vicenda personale di carattere privato, per la quale lo straniero neppure ha chiamato la polizia), sia congruamente argomentato (per le ragioni esposte all’ultimo capoverso di pg. 2 e a pg. 3 del decreto): così risolvendosi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in base al novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 4 settembre 2020, n. 18420);

4. il ricorrente deduce poi violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non corretta valutazione di sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria, sulla base di parametri diversi da quelli normativi (di situazione di vulnerabilità dello straniero alla luce degli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato), per omessa verifica dei diritti più immediatamente interessanti la sfera personale, in particolare alla salute e all’alimentazione, non direttamente tutelati dal riconoscimento dello status di rifugiato nè della protezione sussidiaria ma comportanti gravi condizioni di vulnerabilità, non adeguatamente assicurati dal suo Paese di origine, per le gravi ed oggettive difficoltà economiche, di povertà diffusa e di limitato accesso dalla maggioranza della popolazione ai più elementari diritti della persona (secondo motivo);

5. il motivo è inammissibile;

6. esso difetta di specificità, per la genericità della deduzione, pure relativa ad una questione nuova (concernente i diritti alla salute e all’alimentazione: e dunque implicante un accertamento in fatto) non trattata dal decreto impugnato, nè indicata dal ricorrente come posta nel giudizio di merito e non esaminata, pertanto inammissibile (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28480; Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804);

6.1. in ogni caso, è rilevante una condizione di povertà soltanto se estrema, ossia tale da porre a repentaglio l’esistenza della persona (Cass. 17 luglio 1992, n. 8687), che non è stata allegata dal richiedente; nè rileva la circostanza che la Nigeria sia uno dei Paesi più poveri al mondo, poichè la valutazione comparativa da compiere tra le condizioni di vita in Italia del predetto e quelle che il medesimo incontrerebbe nel Paese di origine in caso di rimpatrio deve comunque avere attinenza con i diritti fondamentali della persona e non può tradursi nel puro e semplice confronto tra due differenti stili di vita (Cass. 14 novembre 2019, n. 32964);

7. il ricorrente deduce infine violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per erronea assunzione dal Tribunale, senza neppure adempiere all’onere di cooperazione istruttoria attraverso l’acquisizione di informazioni in via officiosa, dell’assenza di pericolosità, per la situazione generale di instabilità e di violenza indiscriminata anche nella parte meridionale della Nigeria, del rimpatrio del ricorrente, tale da dover prescindere dalla sua condizione personale, con omissione di valutazione del suo significativo percorso di integrazione sociale, documentato dal contratto di lavoro subordinato e dal modello Unilav prodotti (terzo motivo);

8. anch’esso è inammissibile;

9. i fatti costitutivi del diritto alla protezione devono necessariamente essere indicati dal richiedente, su cui grava un dovere di cooperazione imposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, consistente nell’allegare, produrre e dedurre tutti gli elementi e i documenti necessari a motivare la domanda, circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del Paese di provenienza, non potendo il giudicante supplire attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi alle decisioni probatorie del ricorrente (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016), non sottraendosi la proposizione del ricorso giurisdizionale nella materia della protezione internazionale dello straniero all’applicazione del principio dispositivo (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197): sicchè, non deve essere confuso l’onere probatorio attenuato che connota i giudizi in materia di protezione internazionale con un inesistente onere di allegazione attenuato (Cass. 15 maggio 2019, n. 13088);

9.1. il Tribunale ha, da un lato, rilevato il mancato assolvimento dallo straniero dell’onere, su di lui incombente, di cooperazione processuale sotto il profilo dell’adeguata specificazione dei fatti allegati (così “sottraendosi alla possibilità di essere interrogato dal giudice proprio su quelle circostanze che la commissione aveva evidenziato come poco plausibili”: primo capoverso di pg. 3 del decreto); dall’altro, ha adeguatamente accertato la situazione socio-politica e di ordine pubblico della regione della Nigeria interessante il ricorrente, con puntuale indicazione delle fonti (all’ultimo capoverso di pg. 3 del decreto), pure più attuali (in conformità all’esigenza dell’aggiornamento dell’accertamento al momento della decisione e non su informazioni risalenti: Cass. 28 giugno 2018, n. 17075; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 maggio 2020, n. 8819) di quelle indicate dal richiedente (a pg. 6 del ricorso);

9.2. è irrilevante, ai fini della protezione umanitaria, l’integrazione lavorativa in Italia in quanto non rientrante di per sè tra i requisiti di vulnerabilità per essa previsti (Cass. 23 ottobre 2017, n. 25075), nè il versare in condizioni di indigenza, diverse da una dimostrata situazione di povertà assoluta, occorrendo invece che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza, in conformità al disposto degli artt. 2, 3 e 4 della CEDU (Cass. 21 dicembre 2016, n. 26641; Cass. 23 novembre 2017, n. 28015);

9.3. d’altro canto, il Tribunale ha pure considerato con argomentazioni congrue il grado di integrazione dello straniero, in applicazione del principio di valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4445; Cass. s.u. 13 novembre 2019, n. 29459), accertandone in fatto un’insufficiente rilevanza ai fini della sua vulnerabilità (nella parte finale, a pg. 7, dell’ultimo capoverso di pg. 6 del decreto);

10. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza alcun provvedimento in ordine alle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto alcuna difesa e con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

 

 

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