Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29591 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24264-2007 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliata in ROMA VIA SICILIA 66,

presso lo studio dell’avvocato GIULIANI FRANCESCO, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati FANTOZZI AUGUSTO, TIEGHI ROBERTO,

con procura speciale notarile del Not. Dr. ADOLFO BRIGHINA in MILANO,

rep. n. 42946 del 19/09/2011;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 69/2006 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 20/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito per il ricorrente l’Avvocato ALIBERTI, delega Avvocato

GIULIANI, che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.R. propose appello avverso la sentenza della commissione tributaria provinciale di Varese che aveva respinto un suo ricorso contro il silenzio-rifiuto serbato dall’amministrazione finanziaria su un’istanza di rimborso di somme versate a titolo di Irap negli anni dal 1998 al 2002 compresi.

La commissione regionale della Lombardia, convenendo con l’eccezione all’uopo sollevata dall’amministrazione, dichiarò il gravame inammissibile.

Evidenziò che l’originale dell’appello non conteneva la procura al difensore, la quale era stata allegata soltanto alla copia del ricorso depositata presso la commissione provinciale. Osservò non essere stato l’incarico conferito nell’originale del ricorso in appello (notificato all’ufficio), ma in un separato documento, unito, dopo l’attestazione di conformità, alla copia per la commissione.

Ritenne dunque violati il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 3, e art. 12, comma 3.

La G. ha proposto, contro questa sentenza, ricorso per cassazione sorretto da tre motivi e illustrato anche da memoria.

L’intimata non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – I motivi, con idonei quesiti, deducono violazioni di norme del processo tributario, segnatamente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 3, anche in relazione all’art. 83 c.p.c., comma 3, e del D.Lgs., art. 18, comma 3.

Segnatamente si sostiene:

(a) col primo motivo, che diversamente da quanto ritenuto dal giudice d’appello, non sussisterebbe alcuna violazione dell’art. 12, comma 3, in quanto la procura era stata conferita al difensore nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (tanto nell’originale rimesso all’agenzia delle entrate, quanto nella copia depositata presso l’adita commissione provinciale). Invero la procura era stata conferita mediante foglio separato, ma congiunto materialmente con tutti gli altri costituenti il ricorso; ed era stata conferita mediante espressione (“nel presente procedimento”) tale da determinarne la validità anche per i successivi gradi;

(b) col secondo motivo, che era da considerarsi irrilevante la posizione topografica della procura rispetto all’atto – se, cioè, in calce o a margine – in generale dovendosi la medesima ritenere apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato, che sia congiunto materialmente all’atto cui inerisce;

(c) col terzo motivo, che la tesi, svolta, in particolare, nel primo motivo, doveva trovare forza nel fatto di essere stato comunque legittimamente proposto l’appello relativo a controversia di valore superiore a Euro 2.582,28, in quanto contenente l’indicazione dell’incarico difensivo a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 3.

2. – Giova osservare che la ratio deciderteli espressa dall’impugnata sentenza, in sintonia con l’eccezione formulata dall’appellata agenzia delle entrate, verte sulla sola considerazione dell’atto contenente l’appello, la cui inammissibilità è stata affermata in base al rilievo di essere risultato – codesto atto – mancante del conferimento dell’incarico a un professionista abilitato alla difesa tecnica. Tanto risulta in modo planare dalla seguente frase della motivazione: “(..) l’incarico al difensore non risulta conferito nell’originale del ricorso in appello pervenuto all’Ufficio mentre, nella copia depositata in commissione, esso non risulta conferito a norma dell’art. 12, comma 3 (non essendo la procura redatta in calce od a margine dell’appello, ma in un separato documento, unito dopo l’attestazione di conformità, alla copia per la commissione)”.

I tre motivi dell’odierno ricorso, tra loro strettamente connessi al punto da richiedere un esame unitario, postulano invece – e pregiudizialmente – che la questione del conferimento dell’incarico in calce (o a margine) dell’atto contenente l’appello non avrebbe dovuto essere considerata decisiva, stante la rilevanza ultrattiva della procura rilasciata al difensore in primo grado, con formula volutamente ampia (“nel presente procedimento”) e tale da rivestire validità anche per il grado successivo. Codesta procura, del resto, dalla sentenza non risulta aver formato oggetto di contestazione nell’arco del giudizio.

3. – Essendo dedotto il vizio in procedendo, la Corte, giudice della fattispecie, è tenuta alla diretta verifica degli atti processuali richiamati.

E da questi risulta che, in effetti, il ricorso in primo grado contenne, in calce, su foglio separato, ma congiunto agli altri da apposita spillatura, la delega al difensore così testualmente congegnata: “Il sottoscritto G.R. (..) conferisce procura speciale con ogni più ampia facoltà di legge al Dr. Luigi C., affinchè lo rappresenti, assista difenda nel presente procedimento eleggendo a tal fine domicilio presso il suo studio in (..), con promessa di rato e valido”. Seguì la firma del conferente e l’autentica del difensore nominato.

Ora, il D.Lgs. n. 546 del 1992 non prevede il rilascio di una procura di rappresentanza, ma soltanto, ove la causa sia di valore superiore a Euro 2.582,28, la necessità del conferimento di un incarico professionale a prestare assistenza (è fatta salva la possibilità di conferire una procura di rappresentanza, ma a soggetti che esercitino attività di avvocato; mentre il Dr. C. è commercialista).

Sennonchè il conferimento dell’incarico di assistenza in giudizio può certamente avvenire in forme proprie del mandato ad litem, essendo pur sempre previsto che lo stesso sia rilasciato “con atto pubblico o scrittura privata autentica od anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato” (cit. D.Lgs., art. 12, comma 3).

La validità di un tal mandato segue le regole generali dettate per il processo civile dall’art. 83 c.p.c., e in particolare la regola secondo la quale “la procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che però sia congiunto materialmente all’atto cui si riferisce”.

4. – Da quanto precede deriva la fondatezza dell’attuale doglianza di parte ricorrente. E difatti il collegio condivide e ribadisce il principio, già da questa Corte affermato, che la procura ad litem (nella specie per l’assistenza tecnica davanti al giudice tributario), rilasciata in primo grado impiegando l’espressione “per il presente giudizio”, a altra equivalente, vale ad abilitare il difensore medesimo altresì alla proposizione dell’appello, senza necessità del conferimento di un’ulteriore delega, quando dal contesto dell’atto non risulti – come nella specie – l’esistenza di elementi limitativi (v. ex multis Cass. n. 10813/2010; n. 12170/2005;

n. 8806/2000).

Ha dunque errato l’impugnata sentenza nel dichiarare l’inammissibilità dell’appello, donde essa va cassata con rinvio della causa ad altra sezione della commissione tributaria regionale per l’esame del merito. La quale commissione provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla commissione tributaria regionale della Lombardia, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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