Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29591 del 11/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 29591 Anno 2017
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: GIUSTI ALBERTO

Data pubblicazione: 11/12/2017

ORDINANZA
sul ricorso 28965-2016 proposto da:
OROBICA INERTI SRL, BARONCHELLI TOMMASO e
GIUPPONI ANNA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
DELLA BALDUINA 289, presso lo studio dell’Avvocato MARIA
GLORIA DI LORETO, rappresentati e difesi dall’Avvocato
NICOLA CAVALLARO;

– ricorrenti contro
COMUNE di FARA GERA D’ADDA, elettivamente domiciliato in
ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 229, presso lo studio
dell’Avvocato RAFFAELE BONFIGLIO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FRANCESCO FUGAZZOLA;

– contron.corrente –

gitA

avverso la sentenza n. 461/2016 della CORTE D’APPELLO di
BRESCIA, depositata il 18/05/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2017 dal Consigliere ALBERTO GIUSTI.

Ritenuto che la Orobica Inerti s.r.1., in forza di autorizzazione n.
529, rilasciata il 22 maggio 1997 dalla Provincia di Bergamo, e di
convenzione n. 1161, sottoscritta il 25 maggio 1997 con il Comune di
Fara Gera d’Adda, eseguì lavori di bonifica agricola su terreni siti in
detto Comune di proprietà di Tommaso Baronchelli ed Anna
Giupponi;
che con ordinanza n. 8027 del 14 luglio 1999, il Comune applicò
alla società, al Baronchelli ed alla Giupponi la sanzione amministrativa
di lire 245.276.580, in relazione alla violazione degli artt. 34 della legge
regionale della Lombardia n. 18 del 1982 e 29 della legge regionale
della Lombardia n. 14 del 1998, per l’avvenuta escavazione di materiali
in eccedenza rispetto all’autorizzazione, ed il TAR per la Lombardia,
sezione di Brescia, dinanzi al quale gli interessati avevano impugnato il
provvedimento, con sentenza n. 1359 del 30 ottobre 2006 dichiarò il
proprio difetto di giurisdizione;
che per la riscossione della sanzione applicata il Comune emise nei
confronti della Orobica Inerti, del Baronchelli e della Giupponi
l’ingiunzione di pagamento n. 6221 del 15 maggio 2000, che venne
opposta dai destinatari, sia davanti al TAR per la Lombardia, sezione di
Brescia, sia davanti al Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di
Treviglio;
che il TAR dichiarò il proprio difetto di giurisdizione, mentre
il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 28 gennaio 2003, accolse
2

oR,

l’opposizione ed annullò l’ingiunzione sul rilievo dell’illegittimità
dell’ordinanza, perché l’applicazione della sanzione non era stata
preceduta dalla comunicazione dell’avvio del relativo procedimento;
che la sentenza, gravata dal Comune, venne riformata il 26
settembre 2006 con sentenza n. 816/06 dalla Corte di appello di

osservarono i giudici di secondo grado che era fondata l’eccezione del
Comune di difetto di giurisdizione dall’autorità giudiziaria ordinaria a
conoscere della legittimità dell’applicazione della sanzione; aggiunsero
che l’ingiunzione di pagamento non doveva essere preceduta
dall’avviso di procedimento, essendo consequenziale all’ordinanza di
applicazione della sanzione in precedenza notificata agli ingiunti, e che
era inconferente il richiamo alla violazione della legge n. 689 del 1981,
non attendendo essa al momento della riscossione della sanzione, ma a
quello della sua irrogazione;
che la società Orobica Inerti, il Baronchelli e la Giupponi
sollevarono conflitto negativo di giurisdizione;
che le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza n.
5455 del 6 marzo 2009, hanno dichiarato inammissibile il ricorso della
Orobica Inerti e, pronunciando sugli altri ricorsi, hanno dichiarato la
giurisdizione del giudice ordinario e cassato la sentenza della Corte di
appello di Brescia, alla quale hanno rinviato la causa;
che pronunciando in sede di riassunzione, la Corte d’appello di
Brescia, con sentenza n. 461/2016 pubblicata il 18 maggio 2016, in
riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di
Treviglio, ha respinto l’opposizione proposta avverso l’ingiunzione
emessa dal Comune di Fara Gera D’Adda n. 6221/EC del 17 maggio
2000, compensando tra le parti le spese di lite;

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Brescia, che rigettò l’opposizione alla ingiunzione di pagamento:

che la Corte d’appello ha preliminarmente rilevato che nel corso
del giudizio di riassunzione le Sezioni Unite della Corte di cassazione,
con l’ordinanza 22 febbraio 2012, n. 2566, decidendo
sull’impugnazione avverso la medesima sentenza della Corte d’appello
di Brescia n. 816 del 2006, altresì proposta da Orobica Inerti, dal

inammissibili e in parte infondati;
che dato atto di quanto sopra, la Corte territoriale ha dunque
ritenuto oggetto residuale del giudizio esclusivamente la questione
devoluta alla cognizione della Corte d’appello in sede di rinvio, ossia la
possibilità di sindacare la legittimità anche dell’atto presupposto nel
giudizio promosso ai sensi dell’art. 3 del regio decreto n. 639 del 1910:
questione demandata in conseguenza della

translatio del giudizio

conclusosi con la sentenza del TAR n. 1359 del 2006, che ha dichiarato
il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine
all’opposizione proposta dagli intimati avverso l’ordinanza applicativa
della sanzione;
che a tale riguardo, la Corte di Brescia ha sottolineato che gli
appellanti, per effetto della pregressa notifica delle ordinanze comunali
del 18 gennaio 1999 e del 21 aprile 1999 di sospensione e di definitiva
cessazione della attività di escavazione, hanno partecipato con un
proprio perito alle operazioni di carotaggio e di verifica svolte dal
tecnico del Comune;
che la Corte d’appello ha ritenuto provato che l’attività di
estrazione del materiale ghiaioso venne eseguita indebitamente in
misura superiore a quanto autorizzato per effetto della rilevante
escavazione in eccesso effettuata (mq. 54.329 in luogo di mq. 21.783
autorizzati);

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Baronchelli e dalla Giupponi, hanno dichiarato i motivi in parte

che la Corte di Brescia ha infine giudicato non censurabile
l’operata quantificazione della sanzione;
che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di
Brescia l’Orobica Inerti, il Baronchelli e la Giupponi hanno proposto
ricorso, con atto notificato il 19 dicembre 2016, sulla base di cinque

motivi;
che il Comune ha resistito con controricorso;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.,
è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza in camera di consiglio;
che entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che il primo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in tema di onere e distribuzione
della prova nonché violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.;
che il secondo mezzo lamenta violazione e falsa applicazione
dell’art. 2697 cod. civ. in tema di onere e distribuzione dell’onere della
prova nonché violazione ed errata applicazione degli artt. 115 e 116
cod. proc. civ. sotto il profilo del travisamento dei fatti, del materiale
probatorio e delle norme applicate;
che con il terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa
applicazione degli artt. 61, 115 e 116 cod. proc. civ., sul rilievo che il
giudice avrebbe dovuto farsi assistere da un consulente tecnico
d’ufficio in vista dell’accertamento dei dati forniti dal Comune e della
giustificazione del quantum della sanzione;
che il quarto mezzo denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.,
lamentandosi che la sentenza impugnata sarebbe pervenuta a
conclusioni su dati affermati e non riscontrati, non essendo giustificato
e neppure comprensibile l’importo di cui alla sanzione irrogata;
5

a,

che il quinto motivo censura violazione e falsa applicazione degli
artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché 2697 e 2729 cod. civ., mancando
una idonea spiegazione rispetto al presunto materiale in eccesso ed al
quantum

della sanzione;

che i motivi si appalesano manifestamente infondati, quando non

che infatti, la Corte d’appello ha non solo premesso il corretto
principio di diritto secondo cui nel giudizio di opposizione l’ente
comunale assume, sul piano dell’onere probatorio, la posizione di
attore in senso sostanziale, ma ne ha anche tratto le conseguenti
valutazioni, affermando, sulla base del congruo esame delle risultanze
processuali, che risulta provata l’accertata violazione, essendo stata
l’attività di escavazione di materiale ghiaioso eseguita indebitamente in
misura superiore a quanto autorizzato per effetto della rilevante
escavazione in eccesso effettuata (mq. 54.329 in luogo di mq. 21.783
autorizzati);
che a tale riguardo, la Corte territoriale — dopo avere precisato che
gli opponenti hanno partecipato con un proprio perito alle operazioni
di carotaggio e di verifica svolte dal tecnico del Comune — ha
sottolineato che il teste Reguzzi, geologo, tecnico incaricato dal
Comune di Fara Gera d’Adda, ha confermato la relazione a sua firma
in atti, che individua il terreno interessato, le operazioni di scavo, le
caratteristiche dei materiali rinvenuti e il calcolo dei volumi, e ha
riferito che l’indagine eseguita ha comportato l’esecuzione di 20 scavi
in punti diversi, tramite escavatore, di profondità variabile, fino a
cinque metri;
che queste circostanze — ha messo in luce la Corte di Brescia —
hanno trovato riscontro nelle dichiarazioni del teste ing. Marsetti, che

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inammissibili;

aveva eseguito accesso in loco munito di strumentazione idonea, ed
ancora nella relazione ASL redatta da Nadia Ccruti;
che in questo contesto, nel quale l’accertamento della violazione
riposa su un ponderato esame delle risultanze probatorie compiuto
dalla Corte di merito, risulta non pertinente il richiamo all’art. 2697

civ. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice del merito abbia
attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è
gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando
si assuma che lo stesso giudice sia pervenuto ad un erroneo
apprezzamento relativamente all’esito della prova (Cass., Sez. III, 5
settembre 2006, n. 19064);
che i motivi concernenti l’accertamento della violazione, anche là
dove denunciano la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., si
risolvono nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di
risultanze di fatto sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del
procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia
trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito
giudizio di merito;
che detti motivi sottopongono alla Corte, nella sostanza, profili
relativi al merito della valutazione delle prove, che sono insindacabili in
sede di legittimità, quando — come nel caso di specie — risulta che i
giudici di merito hanno esposto in modo ordinato e coerente le ragioni
che giustificano la loro decisione, sicché deve escludersi tanto la

mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e

grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto
irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, figure queste
manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto
il profilo della esistenza della motivazione — che circoscrivono l’ambito
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cod. civ., posto che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod.

in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art.
360 cod. proc. civ. operata dall’art. 54 del decreto-legge n. 83 del 2012,
convertito in legge n. 134 del 2012, fermo restando che l’omesso
esame di elementi istruttori — ai sensi del nuovo testo del n. 5 dell’art.
360 cod. proc. civ. — non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di

comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza
non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, 7
aprile 2014, n. 8053);
che inammissibile è la censura sollevata con riguardo al fatto che il
giudice non si è avvalso di un consulente tecnico d’ufficio, censura
formulata senza neppure indicare specificamente, nella pagina 16 del
ricorso dedicata all’illustrazione del motivo, il quesito su cui avrebbe
dovuto vertere il mezzo, ma prospettata attraverso l’indicazione
dell’esigenza di rimessione “in istruttoria in vista dell’accertamento dei
dati forniti dal Comune e della giustificazione del quantum della
sanzione, tramite anche l’espletamento di idonea c.t.u.”;
che, sotto questo profilo, va d’altra parte ricordato che la
consulenza tecnica d’ufficio è un mezzo istruttorio (e non una prova
vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al
prudente apprezzamento del giudice del merito, rientrando nel suo
potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario
giudiziario e la motivazione del diniego potendo anche essere
implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni
svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente
considerato effettuata dal suddetto giudice (Cass., Sez. III, 2 marzo
2006, n. 4660);
che quanto alle censure articolate sul quantum della sanzione
occorre premettere che la Corte d’appello ha respinto il motivo di
8

un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato

opposizione rilevando che l’operata quantificazione non appare
censurabile stante l’imponenza del materiale ghiaioso asportato e la
genericità della doglianza svolta, oltre che tenuto conto della misura di
escavazione quantitativamente autorizzata e della misura
normativamente vincolata ai fini del computo della sanzione, la quale

mq. di materiale asportato;
che tanto premesso, è assorbente considerare che i motivi di
ricorso per cassazione in relazione all’entità della sanzione non si
correlano all’intera

ratio decidendi,

perché non impugnano

specificamente, attraverso la formulazione di idonea censura, il rilievo
della Corte d’appello — costituente autonoma ragione, sufficiente a
giustificare l’esito decisorio — secondo cui gli opponenti si sono
limitati, nel giudizio di opposizione, ad esporre una generica doglianza
sul quantum della sanzione;
che il ricorso è infondato;
che le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza;
che ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002
(inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012), applicabile
ratione /empori s (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30
gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento
del contributo unificato da parte dei ricorrenti, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
P. Q. M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle
spese processuali sostenute dal Comune controricorrente, che liquida
in complessi euro 5.200, di cui euro 5.000 per compensi, oltre alle
spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge;
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in concreto è da quantificare in misura prefissata ed in base ai (reali)

dichiara — ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/02,
inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228/12 — la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Civile, il 30 novembre 2017.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta-2 Sezione

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