Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2959 del 10/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2959 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: BENINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 8495-2010 proposto da:
RAMUNNO ROSA (c.f. RMNRS050S63H307W), RAMUNNO DONATO
(c.f. RMNDNT57D24H307V), elettivamente domiciliati
in ROMA, VIA L. MANTEGAllA 24, presso il dott. MARCO
GARDIN, rappresentati e difesi dall’avvocato
GENOVESE DONATELLO, giusta procura a margine del
2013

ricorso;
– ricorrenti –

2038

contro

COMUNITA’ MONTANA DEL VULTURE, in persona del

Data pubblicazione: 10/02/2014

Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA G. FILANGERI 4, presso
l’avvocato ANNA MARIA VETERE, rappresentata e difesa
dall’avvocato CAGGIANO RAFFAELE, giusta procura in
calce al controricorso;

avverso la sentenza n.

127/2009 della CORTE

D’APPELLO di POTENZA, depositata il 21/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/12/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO
BENINI;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato G. GALLO,
con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
l’accoglimento del primo motivo, rigetto del secondo
motivo.

– controri corrente –

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

.

1.Con atto di citazione notificato il 15.9.2003, Ramunno
Rosa e Ramunno Donato convenivano in giudizio la Comunità

Potenza

opponendosi

determinazione

alla

dell’indennità

stima
di

chiedendo

la

occupazione e

di

e

montana del Vulture davanti alla Corte d’appello di

esproprio relativamente a terreni di loro proprietà, in
agro di Ripacandida, contrada Cappa bianca, assoggettati a
procedura espropriativa da parte dell’amministrazione
convenuta per la realizzazione di opere di viabilità.
Si costituiva in giudizio la Comunità montana del Vulture,
contestando il fondamento della domanda, di cui chiedeva
il rigetto.
2.

Con sentenza depositata il 21.4.2009,

la Corte

, d’appello di Potenza, disposta c.t.u., determinava
l’indennità di esproprio e di occupazione, applicando il
criterio del valore agricolo medio, in complessivi euro
10.917,99, di cui euro 1.455,52 per l’espropriazione, euro
606,47 per l’occupazione, euro 8.856,00 per l’abbattimento
di manufatti. Nel determinare le indennità espropriative
il giudice disattendeva le indicazioni del c.t.u., il
quale, riscontrando sul terreno ablato, ricadente in zona
agricola, i requisiti dell’edificabilità fattuale
(ubicazione a ridosso del centro abitato di Rionero
Vulture), lo stimava come agricolo, attribuendogli però la
L

3

qualità della coltura più redditizia della regione agraria
I

(vigneto alto intelaiato). Secondo la Corte d’appello, la
rigida dicotomia adottata dall’art.

5 bis d.l. 11.7.1992

n. 333, conv. in 1. 8.8.1992 n. 359, non consente di
postulare un

tertium genus

di suoli, e attribuire

surrettiziamente a un terreno, per ragioni equitative, un
valore non dovuto, non trattandosi di area compresa in un
centro edificato. Negava inoltre potersi riconoscere una
diminuzione di valore alla proprietà residua degli
espropriati (che il c.t.u. aveva parametrato al costo di
una barriera antipolvere e antirumore), poiché i
prospettati danni derivanti dalla futura maggiore
esposizione al flusso del traffico veicolare sull’opera di
viabilità realizzata, apparivano destinati ad incidere
a

sulla proprietà residua come su tutte le altre proprietà
situate in prossimità della nuova strada.
3. Ricorrono per cassazione Ramunno Rosa e Ramunno Donato
affidandosi a due motivi, illustrati da memoria, al cui
accoglimento si oppone con controricorso la Comunità
montana.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, Ramunno Rosa e Ramunno
Donato, denunciando violazione e falsa applicazione
dell’art. 16 1. 22.10.1971 n. 865 ed omessa motivazione su

fatti controversi e decisivi per il giudizio, censurano la
I

4

sentenza impugnata per aver disatteso le indicazioni del
c.t.u., che considerava il terreno espropriato alla
stregua di area compresa nei centri edificati e suggeriva
di liquidare l’indennità al valore medio della coltura più
redditizia (vigneto alto intelaiato), cioè in euro

4.760,80, e l’indennità di occupazione in euro 105.543,08,
calcolata su una base comprendente anche il deprezzamento
della residua proprietà.
Con il secondo motivo di ricorso, Ramunno Rosa e Ramunno
Donato, denunciando violazione e falsa applicazione degli
artt. 40 e 46 1. 25.6.1865 n. 2359, ed omessa, motivazione
su fatti controversi e decisivi per il giudizio, censurano
la sentenza impugnata per avere ancora contraddetto il
c.t.u., che descrivendo i pregiudizievoli e intollerabili
effetti che la strada ha sulle pregresse condizioni di
vivibilità dell’abitazione rimasta in proprietà degli
attori, nella parte non espropriata, postulava la
necessità di costruzione di una barriera anti-polvere e
anti-rumore a protezione del fabbricato, del costo di euro
225.247,50, oltre euro 29.854,14 quale costo di fondazione
della barriera stessa, somma che rappresentava il
deprezzamento della proprietà residua.
2. Riguardo al primo motivo è da osservare che l’indennità
era stata liquidata dalla Corte d’appello di Potenza
nell’unico modo consentito dal sistema normativo, che per

5

i suoli di natura agricola prevede, in base all’art. 16
1.n. 865/71, il criterio del valore agricolo medio.
La sentenza impugnata correttamente si distaccava dalla
valutazione del c.t.u., che, palesemente mosso da intenti
equitativi,

che

sono

estranei

alla

liquidazione

indennitaria, e oltretutto, non competono all’ausiliario
del giudice, aveva suggerito un criterio di indennizzo
che, pur considerando la natura agricola del fondo,
applicava i correttivi in melius stabiliti dall’art. 16 in
presenza di determinati presupposti. Nella specie il
giudice ha escluso la presenza del presupposto per
l’applicabilità del correttivo, avendo accertato non
trattarsi di area compresa in un centro edificato. Va
anche notato che, a voler seguire il ragionamento del
c.t.u., ovvero tenendo conto delle costruzioni che nelle
vicinanze dei terreni espropriati, sarebbero proliferate,
si perverrebbe al risultato di attribuire a questi ultimi
una natura, quella della edificabilità di fatto, che
rinnegherebbe il presupposto fondamentale su cui ruota il
sistema indennitario, l’edificabilità legale.
L’intervenuta dichiarazione d’incostituzionalità dell’art.
5 bis d.l. 333/92 (Corte cost. 24.10.2007, n. 348) non

toglie, nella persistente vigenza del comma 3, come
dell’art. 37, comma 3, d.p.r. 8.6.2001 n. 327, che il
valore venale da attribuire al proprietario espropriato,

6

quale indennizzo costituzionalmente garantito,

debba

essere ancorato alle caratteristiche oggettive secondo il
fondamentale parametro dell’edificabilità legale (dunque
secondo la disciplina del territorio), e solo in presenza
di tale requisito (Cass. 23.4.2001, n. 172/SU; 16.9.2002,

n. 13473; 9.6.2004, n. 10889; 3.3.2006, n. 4703;
30.8.2007, n. 18314; 29.7.2009, n. 17672), anche della
valutazione integrativa che ne dà il mercato
(edificabilità di fatto).
L’elemento scriminante ai fini della scelta del criterio
di indennizzo è la disciplina urbanistica, che inquadra il
suolo in zona edificabile o agricola. Riguardo ai suoli
indubitabilmente agricoli, il riferimento al mercato non
può valere ad attribuire ad essa la prerogativa
dell’edificabilità (con la conseguente valutazione
economica) che la disciplina legale le nega (Cass.
28.1.2010; n. 1890; 3.3.2006, n. 4703).
La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 16 (Corte
cost. 10.6.2011, n. 181), comporta però ora che
l’espropriazione dei suoli agricoli, come quelli di cui si
discute in causa, debba essere indennizzata a un giusto
prezzo che tenga conto delle prerogative oggettive
dell’immobile, senza, peraltro, che allo stesso possa
essere attribuita natura edificabile in contrasto con la
disciplina urbanistica. Per tale ragione, come si

7

specificherà oltre,

deve

comunque procedersi

alla

cassazione della sentenza.
3. Il secondo motivo è infondato. La Corte d’appello ha
correttamente ritenuto che la diminuzione di valore subita
dalla parte residua del fondo è indennizzabile solo quando

sussiste un rapporto immediato e diretto tra la parziale
ablazione e il danno, non anche allorché il deprezzamento
sia dovuto a limitazioni legali della proprietà o a
vincoli che non colpiscono in modo specifico e
differenziato la porzione residua del fondo, risolvendosi
in obblighi o limitazioni di carattere generale che
gravano, indipendentemente dall’intervento ablatorio, su
tutti i beni che si trovino in una certa posizione di
vicinanza rispetto all’opera pubblica realizzata o da
realizzare (Cass. 7.12.2011, n. 26357). In particolare
l’indennizzo è da escludere allorché l’espropriazione
parziale sia funzionale alla costruzione di tracciati
stradali o autostradali, con conseguenti perdite di
visuali e simili, che non eccedano la normale
tollerabilità e che non colpiscano in modo specifico e
differenziato la porzione residua del fondo, risolvendosi
in obblighi o limitazioni di carattere generale che
gravano, indipendentemente dall’intervento ablatorio, su
tutti i beni che si trovino in una certa posizione di
vicinanza rispetto all’opera pubblica realizzata o da

8

realizzare (Cass. 8.2.2006, n. 2810; 7.2.2008, n. 2938).
Non è inoltre rilevante la pretesa perdita dell’attitudine
edificatoria sull’immobile residuo (ammesso che tale
prerogativa possieda alla stregua della disciplina
urbanistica), per via dello spostamento, all’interno di
esso, della fascia di rispetto, il che attiene alle

.

limitazioni legali della proprietà a seguito della
costruzione delle strade, che costituiscono vincoli
conformativi non indennizzabili

(Cass.

13.4.2006, n.

8707). Va in conclusione esclusa la violazione dell’art.
40 1. n. 2359/1865 (l’art. 46 è non è appropriatamente
invocato dai ricorrenti, concernendo danni lamentati da
chi è rimasto estraneo alla vicenda espropriativa).
4. Come sopra anticipato, pur nell’infondatezza dei motivi
proposti, poiché la parte espropriata ha contestato la
quantificazione operata dalla Corte di appello con il
criterio del valore agricolo medio previsto dagli artt. 16
della legge n. 865 del 1971 e 5 bis,

comma quarto, della

legge n. 359 del 1992 e dichiarato incostituzionale dalla
sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n.
181/11, la stima dell’indennità deve essere effettuata
utilizzandosi il criterio generale del valore venale
pieno, tratto dall’art. 39 della legge n. 2359 del 1865,
applicandosi la menzionata pronuncia di illegittimità ai
rapporti non ancora definitivamente esauriti

(Cass.

9

23.7.2013,

n.

17868),

potendo

l’interessato

anche

dimostrare che il fondo è suscettibile di uno sfruttamento
ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza
raggiungere il livello dell’edificatorietà e che, quindi,
ha una valutazione di mercato che rispecchia possibilità
utilizzazione

intermedie

tra

l’agricola

e

di

l’edificatoria, ad esempio, parcheggi, depositi, attività
sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti
(Cass. 17.10.2011, n. 21386).
E’ pur vero che la stessa parte ricorrente, nell’atto di
impugnazione, riferisce che il c.t.u., nell’evidenziare le
caratteristiche del fondo espropriato, non ne riconosce
“potenzialità paraedificatorie e possibili sfruttamenti
economici non strettamente agricoli”, ritenendo assorbente

il riconoscimento della natura edificabile di fatto: se di
questo secondo aspetto si è riconosciuta l’irrilevanza,
per le ragioni sopra esposte, per il primo aspetto occorre
condurre un’indagine mirata che miri a valorizzare
precipuamente la possibilità di utilizzazione extraagricola (comunque non edificatoria), che certamente non
era negli intendimenti del giudice di merito accertare,
atteso il regime di rigida bipartizione dei suoli, vigente
all’epoca della pronuncia, che escludeva la teorizzazione
di un tertium genus.

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5. La sentenza va dunque cassata, con rinvio alla Corte
d’appello di Potenza in diversa composizione, che
procederà ad una nuova liquidazione dell’indennità alla
stregua dei principi da ultimo enunciati, oltre che alle

P.Q.M.
La Corte pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza
impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di
cassazione, alla Corte d’appello di Potenza in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, il 18.12.2013

spese di questo giudizio di cassazione.

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