Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29589 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/12/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 24/12/2020), n.29589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15/2020 proposto da:

B.F., (ALIAS A.B.), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE G. MAZZINI 6, presso lo studio dell’Avvocato MANUELA

AGNITELLI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI MILANO, in persona del legale rapp.te pt.;

– intimata –

avverso il decreto n. 8932/2019 del TRIBUNALE di MILANO, depositato

il 09/11/2019 R.G.N. 6398/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/06/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 9.11.2019 n. 8932 il Tribunale di Milano, rigettando il ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, proposto avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale notificato il 4.12.2018, ha respinto le istanze volte al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, avanzate in via gradata, da B.F., cittadino del (OMISSIS).

2. Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

3. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione. La Commissione territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano non ha svolto attività difensiva.

4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, per mancata convocazione innanzi al Tribunale di Milano per il suo libero interrogatorio, in sede giudiziale, in assenza della videoregistrazione dell’audizione personale in Commissione.

2. Con il secondo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 11, lett. e) ed f), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè la illogica, contraddittoria e apparente motivazione, per avere il Tribunale rigettato la richiesta dello status di rifugiato, ritenendo insussistenti i presupposti: in particolare, per non avere ritenuto che il sussistente timore di subire trattamenti carcerari denigranti comportava una palese lesione dei diritti fondamentali dell’uomo tanto da richiedere la concessione dello status di rifugiato.

3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e art. 3, comma 3, lett. a) e artt. 2, 3, 5, 8 e 9 CEDU, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere il Tribunale rigettato la istanza di protezione sussidiaria omettendo ogni valutazione sulla sussistenza del danno grave, soffermandosi unicamente sulla sussistenza o meno di una situazione di pericolo generalizzato in Senegal e senza mettere in atto i poteri officiosi di indagine e di informazione indicati nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 lett. a e b, artt. 3 e 7 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere il Tribunale respinto la richiesta di protezione sussidiaria, anche sulla base di un giudizio prognostico, futuro (ed incerto) e non “sullo stato effettivo ed attuale del Paese di origine” ritenendo che in Senegal non vi fosse un pericolo generalizzato.

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’illogica, contraddittoria e apparente motivazione, per avere il Tribunale rigettato la istanza di protezione umanitaria senza operare un esame specifico ed attuale della situazione soggettiva e oggettiva di esso richiedente, con riferimento al Paese di origine.

6. Il primo motivo è infondato.

7. E’ stato affermato, in sede di legittimità (Cass. n. 1771 del 2018; Cass. n. 2817 del 2019), con un orientamento cui si intende dare seguito, che in tutti i casi di indisponibilità della videoregistrazione nella procedura innanzi alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale, sussiste l’obbligo della fissazione dell’udienza davanti al Tribunale adito avverso il provvedimento di diniego, configurandosi in difetto la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, mentre non è automatica la necessità di dare corso all’audizione in quanto il giudice può decidere di non procedere all’audizione nel caso in cui ritenga di potere effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale svoltosi in occasione del procedimento di primo grado (cfr. Corte di Giustizia UE 26.7.2017 in causa C-348/16, Moussa Sacko).

8. Nel caso in esame, l’udienza D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, comma 11, è stata fissata; in quella sede parte ricorrente è stata sentita (cfr. pag. 2 del gravato decreto) e, rimessa la causa al Collegio per la decisione, questo ha reputato non necessario procedere a rinnovare il colloquio personale con il ricorrente, essendo stati raccolti tutti gli elementi necessari

ai fini della decisione (pag. 3 del gravato decreto).

9. Nessuna violazione procedurale è, pertanto, sulla base dei principi sopra esposti, ravvisabile nella fattispecie ed inoltre la censura appare generica, nelle doglianze formulate, e non pertinente rispetto all’iter processuale come delineato nel provvedimento impugnato.

10. Preliminare all’esame degli altri motivi è la precisazione delle ragioni in ordine ai motivi di fuga e al prospettato timore di ritornare nel proprio Paese, secondo quanto riferito dal ricorrente.

11. Questi, infatti, ha sostenuto di essere fuggito dal Senegal perchè, mentre pascolava le mucche di un signore presso cui lavorava da circa due anni, era stato accerchiato da quattro uomini armati che lo avevano aggredito, colpito ferendolo con un machete e rubato gli animali; recatosi a raccontare l’episodio al padrone, quest’ultimo non gli aveva creduto e lo aveva denunziato alla Polizia. Temendo, pertanto, di scontare ingiustamente circa 10 anni di carcere, ha dichiarato di avere preferito scappare.

12. Ciò premesso, il secondo motivo, relativo al mancato riconoscimento dello status di rifugiato, non è fondato.

13. Va sottolineato che il D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8, prevedono i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato che consistono, in primo luogo, nella presenza di atti di persecuzione sufficientemente gravi e tali da rappresentare una violazione dei diritti umani che possono assumere la forma di: a) atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale; b) provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio; c) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie; d) rifiuto di accesso ai mezzi di tutela giuridica e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria; e) azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo potrebbe comportare la commissione di crimini, reati o altri; e-bis) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie che comportano gravi violazioni dei diritti fondamentali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare per motivi di natura morale, religiosa, politica o di appartenenza etnica o nazionale; f) atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia. La presenza di siffatti atti, però, non implica di per sè la possibilità di riconoscimento dello status di rifugiato perchè i detti atti debbono essere collegati a ben specifici motivi di persecuzione indicati nell’art. 8 e, cioè, motivi di: a) razza; b) religione; c) nazionalità; d) particolare gruppo sociale; e) opinione politica. Inoltre, tali atti devono provenire dai soggetti indicati nell’art. 5 del citato D.Lgs..

14. Tali presupposti non ricorrono nel caso in esame, atteso chè il richiedente è fuggito dal proprio Paese per vicende attinenti alla commissione di reati comuni (cfr. Cass. n. 9043 del 2019) in un contesto in cui, peraltro, non risulta neanche che abbia adito la polizia senegalese.

15. Il terzo ed il quarto motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione avendo entrambi ad oggetto la richiesta di protezione sussidiaria, sono anche essi infondati.

16. Il Tribunale ha affermato che, dall’esame delle fonti esaminate (Annua) report on human rights 2017 e 2018, 13 March 2019; Bertelsmann Stiftung BTI 2018 Country report – Senegal; Country Reports on Human Rights Pratices 2016 Senegal) era emerso che nella zona del Senegal di origine e di provenienza del ricorrente non si presentava una generalizzata situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno tale da porre la popolazione in pericolo per il solo fatto di essere presente sul territorio.

17. Così argomentando il Tribunale ha fatto corretta applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che richiede, ai fini della sussistenza del grave danno rilevante per il riconoscimento della protezione sussidiaria che la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona derivi dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale. Inoltre, ha valutato la situazione all’attualità, conformemente all’orientamento di legittimità secondo cui il diritto alla protezione sussidiaria, in considerazione della natura di condizione dell’azione e non di presupposto processuale, va accertato alla data della decisione (Cass. n. 16100 del 2015; Cass. n. 9427 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018).

18. Quanto, poi, al mancato esercizio di poteri officiosi da parte del giudice, deve rilevarsi che il Tribunale, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, sulla base di quanto da egli dichiarato, ha raccolto e specificato in concreto le fonti utilizzate ed il contenuto in esse richiamato onde consentire la verifica della pertinenza di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di origine.

19. Anche il quinto motivo è infondato.

20. Deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, secondo la normativa ratione temporis applicata che è quella di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali (cfr. Cass. n. 29459 del 2019), presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass. n. 5358 del 2019).

21. La condizione di vulnerabilità del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (cfr. Cass. n. 13709 del 2019; Cass. n. 9304 del 2019).

22. Con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. n. 4455 del 2018).

23. Infatti, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

24. Tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non di specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento di interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. n. 17072 del 2018).

25. Orbene, il giudice di merito ha escluso la sussistenza di siffatta condizione di vulnerabilità all’esito di una siffatta valutazione comparativa, ponendo in rilievo sia l’assenza di un rischio di compromissione dei diritti fondamentali del ricorrente in caso di rimpatrio, sia l’assenza di prova di avere svolto alcuna attività in Italia che escludeva, pertanto, ogni radicamento rilevante sotto il profilo dell’art. 8 CEDU.

26. Il Tribunale, pertanto, ha operato la doverosa effettiva valutazione comparativa al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dello esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costituito dallo statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, pervenendo ad una conclusione negativa.

27. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

28. Nulla va disposto in ordine alle spese non avendo le Amministrazioni resistenti svolto attività difensiva.

29. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali (Cass. Sez. Un. 4315 del 2020), come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA