Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29589 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. I, 14/11/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 14/11/2019), n.29589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31060/2018 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Grande Flavio

giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 31/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/09/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 4750/2018 depositato il 31-8-2018 e comunicato il 5-9-2018 a mezzo pec il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di M.A., cittadino del Pakistan ((OMISSIS)), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè minacciato di morte dai parenti della moglie, i quali volevano accaparrarsi i soldi della dote e del divorzio ed avevano in precedenza ordito una truffa in suo danno. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale e politico-economica del Pakistan, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione di legge (art. 111 Cost., comma 7) e/o violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3”. Ad avviso del ricorrente il Tribunale ha errato nel ritenere non credibile la vicenda narrata, che era invece stata adeguatamente circostanziata, ed ha errato nel vagliare i documenti prodotti, da valutarsi in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ossia alla luce dei principi di attenuazione dell’onere probatorio in capo al richiedente. Censura nel dettaglio i vari indici di inattendibilità esaminati dal Tribunale e denuncia, quindi, la violazione dei principi e delle regole che governano il soccorso istruttorio nella materia della protezione internazionale.

2. Con il secondo motivo denuncia “Violazione di legge (art. 111 Cost., comma 7) e/o violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6”. Il Tribunale non ha valutato la possibilità di protezione del richiedente da parte dello Stato di origine e, pur dando atto della corruzione della Polizia in Pakistan, ha tuttavia ritenuto che le affermazioni del richiedente non fossero sufficientemente circostanziate.

3. Con il terzo motivo denuncia “Violazione di legge (art. 111 Cost., comma 7) e/o violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”. Adduce il ricorrente che il legislatore nazionale, nel recepire la Direttiva Europea del 2011, non aveva richiamato l’art. 8, afferente alla protezione interna al Paese d’origine, anche in riferimento ad una situazione di pericolo in una sola porzione del territorio. Ad avviso del ricorrente, in Italia non è pertanto possibile considerare solo una porzione di un Paese terzo, ed invece il Tribunale, nella motivazione, aveva dato rilievo all’assenza di rischi solo nell’area di provenienza del ricorrente.

4. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

4.1. Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in base ai parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142 del 2019; Cass. n. 20580 del 2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito.

4.2. Nel caso di specie, il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità, difforme da quella accertata nel giudizio di merito, lamentando l’errata valutazione delle risultanze documentali e probatorie in generale, che è invece rimessa insindacabilmente al giudice di merito (tra le tante Cass. n. 11511 del 2014). Neppure il ricorrente si duole di vizi motivazionali, nei termini consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., sez. Un., n. 8053 del 2014), e in ogni caso il Tribunale ha espresso, con adeguata motivazione, la valutazione di non credibilità, indicando le parti del racconto ritenute generiche ed implausibili (pag.n. 6 del decreto impugnato).

4.3. Una volta esclusa dal Giudice di merito, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata, la credibilità delle vicende personali narrate dal richiedente, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b) D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275). Non vi è infatti ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa, se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo. In casi siffatti, una indagine nel senso indicato si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione. In tal senso, va ribadito che “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria art. 14, ex lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925 e Cass. n. 14283 del 2019).

Ne consegue che nel caso di specie non assume rilevanza alcuna la lamentata assenza di protezione del ricorrente da parte delle Autorità del suo Paese, non potendo egli considerarsi soggetto da tutelare in ragione della non credibilità della vicenda personale dallo stesso narrata, sicchè sono inconferenti le deduzioni svolte in ricorso, con il secondo motivo, circa la corruzione della Polizia in Pakistan.

5. Il terzo motivo è infondato.

5.1. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che “in tema di protezione internazionale dello straniero, il riconoscimento del diritto ad ottenere lo “status” di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, atteso che tale condizione, contenuta nell’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE, non è stata trasposta nei D.Lgs. n. 251 del 2007, essendo una facoltà rimessa agli Stati membri inserirla nell’atto normativo di attuazione della Direttiva”(Cass. ord. n. 2294 del 16/02/2012; Cass. 8399/2014; Cass. 28433/2018).

5.2. Nella fattispecie in esame, la sentenza impugnata non afferma che lo straniero, tornato in patria, deve trasferirsi in zona diversa da quella di provenienza ma, al contrario, che proprio nella zona di provenienza del ricorrente non sussistono situazioni di violenza e pericolo in caso di rimpatrio, sicchè non ricorre la violazione di legge denunciata, nè sussiste contrasto con i principi di diritto affermati da questa Corte e sopra richiamati.

6. Alla stregua delle considerazioni espresse nei paragrafi che precedono il ricorso deve essere rigettato, nulla disponendosi circa le spese del presente giudizio, atteso che il Ministero si è costituito tardivamente.

7. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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