Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29588 del 24/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/12/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 24/12/2020), n.29588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 396/2020 proposto da:

R.H., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIO NOVELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 13653/2019 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato

il 12/11/2019 R.G.N. 992/2019.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Ancona, con decreto n. 13653 del 2019, ha respinto la domanda di protezione internazionale avanzata dal R.H..

2. Il richiedente, cittadino del Ghana, originario di (OMISSIS), di etnia (OMISSIS) e religione cristiana, aveva dichiarato che il padre era stato accusato dai mussulmani di avere causato la morte del re Y.N., per cui si era allontanato dal Paese e per molti anni era stato lontano dalla famiglia senza dare alcuna notizia di sè; che, fatto ritorno in Patria, i musulmani intendevano ucciderlo, ma non riuscendo a trovarlo si erano vendicati causando la morte della moglie e della figlia; che, per evitare che anche il figlio venisse ucciso, il padre lo aveva condotto con sè in Libia; che, rimasto orfano del padre in Libia, aveva deciso di imbarcarsi per l’Italia; che, in caso di rientro nel paese di origine, temeva di essere ucciso dei musulmani.

3. Il Tribunale ha ritenuto le dichiarazioni del richiedente asilo non attendibili: innanzitutto, il richiedente non era stato in grado di circostanziare la vicenda su fatti essenziali e determinanti l’espatrio; non era stato in grado di riferire le circostanze nelle quali era stato ucciso il re Y.N., nè le ragioni per le quali il padre sarebbe stato ritenuto responsabile di tale morte; non era stato in grado di quantificare il tempo trascorso dal padre all’estero, nè di riferire come avesse fatto a nascondersi dai musulmani che lo cercavano, una volta rientrato al paese. Il Tribunale ha ritenuto non plausibile che il richiedente e la sua famiglia potessero avere vissuto tranquillamente nel loro villaggio dopo la fuga del padre dal paese e che, dopo il suo ritorno, a distanza di anni, i mussulmani, non riuscendo a trovarlo, avessero deciso di uccidere la madre e la sorella. Ha osservato che, dal punto di vista della coerenza esterna, le dichiarazioni del richiedente erano smentite dalle fonti acquisite, in quanto la morte del re Y.N. non era stata causata da ragioni di ordine religioso, bensì dalla rivalità fra i due clan (OMISSIS) e (OMISSIS).

4. Quanto alla situazione del Ghana, il Tribunale, sulla base delle fonti specificamente menzionate (direttiva “qualifiche”, art. 8, pf. 2 direttiva 2011/95/UE), ha rilevato l’assenza di situazioni di allarme diverse dall’aumento della criminalità comune a causa della povertà o dal fenomeno dell’estrazione illegale di oro. Ha aggiunto che dal report EASO del 2017 nel Ghana vige una democrazia ben funzionante e il paese viene considerato un modello per l’intero continente africano; in particolar modo, vi si registra una crescita economica dinamica, della quale tuttavia non tutta la popolazione riesce a beneficiare (v. pagg. 2-4 ordinanza).

5. Il Tribunale ha poi ritenuto, quanto alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, che fossero insussistenti i presupposti normativi stabiliti dalla Convenzione di Ginevra, atteso che il richiedente non aveva fornito elementi attendibili circa la situazione individuale, da cui desumere una situazione tale da configurare una “persecuzione grave” nei suoi confronti per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato un gruppo sociale o professione di un’opinione politica.

6. Quanto alla richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria, ha ritenuto che non venisse in rilievo alcuno dei profili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

7. Quanto alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno per gravi motivi umanitari, alla stregua della disciplina ratione temporis applicabile, anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, il Tribunale ha rilevato che la mera allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza non è sufficiente, occorrendo verificare se ricorra o meno una condizione individuale di elevata vulnerabilità in caso di rientro nel Paese di appartenenza, e che nel Ghana esistono strumenti istituzionali in funzione di protezione dei propri membri. Ha concluso che, in base ad una valutazione tra vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata a quella vissuta prima della partenza e alla quale egli si troverebbe esposto in caso di rientro, è dato esprimere un giudizio prognostico negativo di elevata vulnerabilità.

8. Per la cassazione di tale decreto R.H. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. Il Ministero ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione alla discussione orale.

9. Il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

10. Con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per avere il Tribunale di Ancona ritenuto inattendibile la narrazione del richiedente omettendo di ricorrere ai poteri-doveri officiosi di indagine ed attivandosi per la ricerca della documentazione necessaria ai fini del decidere e così trascurando di considerare che il giudice deve svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda di protezione internazionale, prescindendo dal principio dispositivo proprio del giudizio civile e delle relative preclusioni.

11. Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per erroneo rigetto della domanda di protezione sussidiaria a motivo di una sottovalutazione della vicenda personale del richiedente, il quale dovette lasciare il Ghana per timore della vendetta di coloro che accusavano il padre di aver preso parte all’uccisione del re Y.N.. Si deduce che all’epoca della fuga il richiedente era minorenne; che non era stato protetto proprio per la decisione del padre di non avvalersi delle forze dell’ordine, probabilmente ritenendo inutile la denuncia della persecuzione della sua famiglia a conferma dell’inefficienza delle stesse, colpevoli di una lunga serie di abusi dei diritti umani e notoriamente corrotte; che il giudicante aveva ignorato i report citati dalla difesa tra cui il report di Amnesty International 2015/2016 sul Ghana, dove appunto veniva segnalato un uso eccessivo della forza da parte della polizia nel contesto di manifestazioni e durante gli sgomberi di massa e che l’accesso alla giustizia è rimasto limitato, soprattutto per le persone a basso reddito o appartenenti alle fasce emarginate della popolazione.

12. Con il terzo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere il Tribunale omesso l’esperimento di qualsivoglia concreta ed effettiva istruttoria in ordine alla situazione del Ghana e del paese di transito, senza procedere al reperimento di documentazione attuale ed aggiornata, come invece prescritto dalla norma anzidetta.

13. Con il quarto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (protezione umanitaria).

Si deduce che non era stata considerata la natura del percorso migratorio affrontato dal richiedente in giovane età, i traumi subiti non soltanto nel Paesi di origine, ma anche in quelli di transito; che non era stato tenuto in debito conto il proficuo percorso di integrazione sociale intrapreso dal ricorrente in Italia.

14. Il ricorso è infondato.

15. Occorre premettere che questo Collegio condivide l’orientamento recentemente espresso da questa Corte in difformità dal principio secondo il quale le dichiarazioni del richiedente asilo giudicate inattendibili non consentirebbero, comunque, un approfondimento istruttorio officioso. Si è affermato (Cass. n. 10286 del 2020, n. 8819 del 2020, n. 2954 del 2020 e n. 3016 del 2019) che il suddetto principio “vada opportunamente precisato e circoscritto, nel senso che esso vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)” – e ciò qualora, va ulteriormente specificato, la mancanza di tali presupposti emerga ex actis. Di converso, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria una volta assolto da parte del richiedente asilo il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)” (sent. cit.).

16. Nel caso in esame, il Tribunale ha motivatamente argomentato il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, quanto alle ipotesi di cui dell’art. 14 cit., lett. a) e b), per la non credibilità dell’istante, mentre, quanto all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c), sulla scorta delle informazioni acquisite tramite C.O.I.: la sentenza impugnata ha dato conto analiticamente delle fonti informative utilizzate e pertanto ha rispettato l’onere, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (in tali termini, cfr. Cass. n. 13449 del 2019; v. pure Cass. 11096 e 13897 del 2019).

17. Va poi ribadito che, quanto alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, dev’ essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15 direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018, n. 30105).

18. In tal senso, la valutazione del giudice di merito è stata compiuta in coerenza con i richiamati presupposti normativi. Il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale ed in tal senso risulta inammissibile.

19. Quanto all’allegazione del difficile percorso migratorio compiuto dal ricorrente e del suo transito in Libia, va osservato che, ove la domanda prospetti un rischio persecutorio e di danno grave in caso di rimpatrio (v. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e-g), l’indagine va effettuata con riferimento al “paese di origine” che è “il paese o i paesi in cui il richiedente è cittadino”, mentre solo per gli apolidi va effettuata con riferimento al paese in cui egli “aveva precedentemente la dimora abituale” (dir. CE n. 83 del 2004, art. 2, lett. k; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. n). Una conferma della necessità di avere riguardo al “paese di origine” viene anche dalla dir. UE n. 115 del 2008 che prevede la possibilità del ritorno del richiedente nel “paese di transito” solo in conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese (v. sent. cit.).

20. Il fatto che in un Paese di transito (nella specie, la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, è irrilevante ove non sia evidenziato dal richiedente asilo quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda (Cass. n. 2861 del 2018 e n. 31676 del 2018).

21. Per altro verso, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, qui condivisa, le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, ove potenzialmente idonee – quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità – ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, possono legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018), sempre in presenza di specifiche e concrete condizioni, da allegare e valutare caso per caso (Cass. 13096 del 2019; v. pure Cass. n. 10622 del 2020).

22. Ed infatti, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso. In tale contesto, questa Corte ha chiarito (Cass. n. 29875 del 2018 e n. 13096 del 2019) che il vissuto nel Paese di transito può rilevare ove abbia determinato nel richiedente una situazione di vulnerabilità per i traumi psichici subiti.

23. Neppure sotto questo diverso aspetto il richiedente ha chiarito il nesso tra il prospettato stato di vulnerabilità indotto dal suo transito in Libia e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio in Ghana, costituente la ragione giuridica posta a fondamento della domanda di protezione umanitaria. Il motivo di ricorso è del tutto generico al riguardo.

24. Sempre in ordine alla protezione umanitaria e ai profili di censura oggetto del quarto motivo, va aggiunto quanto segue.

25. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 29459 del 2019, hanno definitivamente chiarito, quanto ai presupposti necessari per ottenere la protezione umanitaria (in consonanza con la citata pronuncia 4455/2018 di questa Corte, ed in difformità da quanto ritenuto nella ordinanza di rimessione 11749/2019):

1. che non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano;

2. che gli interessi protetti non possono restare “ingabbiati” in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096);

3. che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione;

4. che era necessario dar seguito a quell’orientamento di legittimità (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e riaffermato, tra le altre, da Cass. n. 11110 e n. 12082 del 2019) nonchè della prevalente giurisprudenza di merito, che assegnava rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare, come già detto, la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (v. pure, tra le tante successive, Cass. nn. 2563, 2964, 3776, 3780, 5584, 7599 7675, 7809, 8232, 8819, 8020 del 2020).

26. Nel caso in esame, il Tribunale ha dimostrato di condividere l’orientamento espresso, tra le altre, da Cass. n. 4455/2018 – orientamento poi condiviso della S.U. – e non ha omesso di compiere la valutazione comparativa indicata dalla giurisprudenza di questa Corte, ma ha espresso un “giudizio prognostico negativo di elevata vulnerabilità in caso di rimpatrio” (pag. 6 sent.).

27. Il giudice di merito non ha affatto negato, come pare ritenere l’istante, che la protezione umanitaria potesse trovare, in astratto, uno spazio applicativo: ha invece escluso che potesse essere in concreto riconosciuta, essendo mancata la dimostrazione di specifiche situazioni soggettive di vulnerabilità riferibili all’appellante.

28. Il ricorso per cassazione si limita a generiche affermazioni circa l’avvenuta integrazione nel tessuto sociale e lavorativo in Italia, omettendo di indicare quali elementi fossero stati introdotti nel giudizio di merito e debitamente sottoposti all’esame del Tribunale. Deve ribadirsi che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 27336 del 2018).

29. Il ricorso va dunque rigettato. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

30. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

31. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente chiarito (sent. n. 4315 del 2020) che “La debenza di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione è normativamente condizionata a “due presupposti”, il primo dei quali – di natura processuale – è costituito dall’aver il giudice adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione, mentre il secondo – appartenente al diritto sostanziale tributario – consiste nella sussistenza dell’obbligo della parte che ha proposto impugnazione di versare il contributo unificato iniziale con riguardo al momento dell’iscrizione della causa a ruolo. L’attestazione del giudice dell’impugnazione, ai sensi all’art. 13, comma 1-quater, secondo periodo, T.U.S.G., riguarda solo la sussistenza del primo presupposto, mentre spetta all’amministrazione giudiziaria accertare la sussistenza del secondo”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2020

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