Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29588 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. I, 14/11/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 14/11/2019), n.29588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29499/2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Labicana 45

presso lo studio dell’avvocato D’Uffizi Alessandro, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cortesini Sara giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 11/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/09/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con decreto n. 4961/2018 depositato l’11-9-2018 e comunicato il 12/9/2018 a mezzo pec il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di S.A. (alias A.), cittadino del Pakistan, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito per timore di essere ucciso, anche da appartenenti alla Polizia, in quanto aveva denunciato un fatto delittuoso. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale e politico-economica del Pakistan, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 10, commi 4 e 5, per omessa traduzione di tutti gli atti del procedimento, dal provvedimento della Commissione Territoriale, al decreto del Tribunale di Milano nonchè della relativa comunicazione e mancata notifica ove effettuata e di tutti gli atti connessi e consequenziali e relativa” e con il secondo motivo lamenta la nullità del provvedimento o del procedimento. Nell’illustrare congiuntamente i due motivi, assume il ricorrente di non aver avuto piena conoscenza del contenuto dei provvedimenti impugnati, dal momento che era stata omessa la traduzione in (OMISSIS) e neppure in lingua inglese, degli atti del procedimento (provvedimento di rigetto della Commissione Territoriale, decreto del Tribunale di Milano e degli atti conseguenti). Deduce che l’eventuale non tempestività del deposito del ricorso per cassazione dovrebbe imputarsi alla nullità dell’atto impugnato per mancata traduzione.

2. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione internazionale, l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, aqrt. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un vulnus all’esercizio del diritto di difesa ed in particolare, qualora deduca la mancata comprensione delle allegazioni rese in interrogatorio, deve precisare quale reale versione sarebbe stata offerta e quale rilievo avrebbe avuto (da ultimo Cass. n. 11295 del 2019).

2.2. Nel caso di specie il ricorrente non allega minimamente quale sia stato il vulnus all’esercizio del suo diritto di difesa. Per quanto occorra, va aggiunto che il ricorso avanti al Tribunale è stato tempestivo e sull’audizione e sulla versione dei fatti narrata il ricorrente nulla allega di diverso rispetto a quanto risulta dal decreto impugnato.

3. Con il terzo motivo lamenta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e violazione o falsa applicazione delle norme di diritto art. 1 Convenzione di Ginevra del 28.7.51 ratificata dall’Italia con L. 24 luglio 1954, n. 722 e conseguente nullità”. Deduce il ricorrente che il Tribunale ha omesso di valutare il fatto che in caso di rientro in patria corre il rischio di essere minacciato, aggredito e percosso o ucciso dal criminali che ha denunciato per omicidio, avvenuto a seguito di contesa sul possesso di alcuni terreni, e che sono persone potenti ed aiutate dalla Polizia.

4. Con il quarto motivo lamenta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e violazione o falsa applicazione delle norme di diritto D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e conseguente nullità”. Ad avviso del ricorrente il Tribunale ha omesso di valutare che nel Paese di origine non sono rispettati i diritti umani, il sistema giudiziario è inefficiente e gli agenti di polizia sono corrotti, nonchè sussiste una condizione di violenza generalizzata ed indiscriminata, come risulta da fonti di conoscenza del 2015 e 2014 che richiama.

5. I motivi terzo e quarto, che concernono il mancato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, involgendo le doglianze, sotto distinti ma collegati profili, il giudizio di credibilità della vicenda personale narrata dal ricorrente e quello sulla situazione del Paese di provenienza.

5.1. Occorre precisare, quanto al giudizio di credibilità, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142 del 2019; Cass. n. 20580 del 2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito.

5.2. Nel caso di specie il Tribunale ha vagliato la credibilità del racconto del ricorrente nel rispetto dei principi di diritto suesposti. In particolare ha ritenuto non credibili le cause di inclusione riferite dal richiedente, il quale affermava di essere fuggito per timore di essere ucciso dagli assassini che aveva denunciato alla Polizia, dopo aver assistito all’omicidio di due persone mentre si trovava in un negozio di parrucchiere. Il Tribunale ha motivatamente escluso la credibilità dei fatti narrati, sottolineando la genericità, le lacune e le incongruenze del racconto sotto molteplici e dettagliati profili (pag.n. 4 decreto impugnato). Il ricorrente deduce di aver dichiarato avanti alla Commissione che gli assassini erano persone potenti e aiutate dalla Polizia, ma i Giudici di merito hanno vagliato anche la credibilità di dette circostanze, escludendola, dato che due degli assassini erano stati processati e condannati, in base a quanto pure riferito dallo stesso ricorrente.

Una volta esclusa dal Tribunale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata, la credibilità delle vicende personali narrate. dal richiedente, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b) D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275). Non vi è infatti ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa, se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo. In casi siffatti, una indagine nel senso indicato si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione. In tal senso, va ribadito che “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria art. 14, ex lett. a) e b) escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925 e Cass. n. 14283 del 2019).

5.3. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018).

5.4. Nel caso di specie il Tribunale, con motivazione adeguata ed indicando fonti di conoscenza più aggiornate di quelle richiamate dal ricorrente (tra le altre Rapporto Easo agosto 2017 -pag.5 del decreto impugnato), ha escluso che la situazione generale del Pakistan realizzi la fattispecie di cui trattasi. La situazione politica del paese è stata approfonditamente analizzata dal giudice territoriale, che ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente. La censura si risolve, quindi, in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

Non ricorrono, pertanto, i vizi denunciati con i motivi terzo e quarto, che non meritano accoglimento.

6. Con il quinto motivo denuncia “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e violazione o falsa applicazione delle norme di diritto D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e conseguente nullità”. Il ricorrente, nel richiamare la giurisprudenza della Corte di Giustizia e di questa Corte, assume che in Pakistan sussista una situazione di instabilità in un contesto di corruzione ed inefficienza giudiziaria, idonea a pregiudicare la possibilità di esercizio dei diritti fondamentali. Lamenta pertanto l’errata valutazione sia del quadro complessivo di conflitto nel Paese di origine, sotto il profilo oggettivo, e sia del quadro della personalità del ricorrente, sotto il profilo soggettivo, dato che era stato testimone oculare di due omicidi.

7. Il quinto motivo è inammissibile.

7.1. In ordine alla protezione umanitaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte la valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990/2018). Ciò nondimeno il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato ed il potere istruttorio ufficioso può esercitarsi solo in presenza di allegazioni specifiche sui profili concreti di vulnerabilità (Cass. n. 27336/2018).

7.2. Nel caso di specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte dei giudici di merito, che hanno escluso l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità con idonea motivazione, valutando le allegazioni del ricorrente e le informazioni sul Paese di origine, dove vivono, come afferma il Tribunale, i suoi genitori, i suoi figli e sua moglie.

L’accertata assenza di vulnerabilità rende recessivo il fattore costituito dal percorso di integrazione (Cass. n. 4455/2018).

La doglianza, oltre che genericamente formulata, si risolve, inammissibilmente, in una ricostruzione dei fatti difforme da quella accertata dal giudice di merito.

8. Alla stregua delle considerazioni espresse nei paragrafi che precedono il ricorso deve essere rigettato, nulla disponendosi circa le spese del presente giudizio, atteso che il Ministero è rimasto intimato.

9. Deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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