Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29587 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22586-2007 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA VIA LAURA

MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato GARDIN LUIGI,

rappresentata e difesa dall’avvocato INVERNIZZI MAURO, giusta delega

a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 67/2006 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 12/07/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE ENNIO ATTILIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il giorno 16.8.2007 è stato notificato a M.M.L. un ricorso dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale descritta in epigrafe (depositata 12.7.2006) che ha respinto l’appello dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 73/12/2004 che aveva accolto il ricorso della M. avverso il silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso della somma di Euro 17.815,18 corrisposta da quest’ultima a titolo di INVIM. La M. si è difesa con controricorso.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 24 novembre 2011, in cui il PG ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

2. I fatti di causa.

A seguito del decesso di L.M.G., avvenuto in data (OMISSIS) e della presentazione della dichiarazione di successione (nella cui massa era caduto anche un immobile sito in (OMISSIS)), presentata in data 23.11.2005, la coniuge-erede del L. M. aveva versato (insieme agli altri eredi, suoi figli) l’imposta principale di successione a detta dichiarazione correlata, determinata nell’importo di L. 17.780.000. Nelle more di detta vicenda l’immobile era stato venduto a terzi e l’accertamento per l’INVIM dovuta in relazione a detta cessione era stato oggetto di un atto di definizione per adesione (nel quale era stato determinato il valore iniziale dell’immobile in L. 100.000.000 ed il valore finale in L. 280.000.000), atto in esecuzione del quale la M. aveva corrisposto la somma di L. 34.495.000 (pari ad Euro 17.815,18) che era stata poi chiesta in restituzione dalla M. medesima.

L’adita CTP di Milano, sulla premessa che vi fosse stata duplicazione dell’imposta a fini INVIM, accoglieva il ricorso della M. avverso il provvedimento implicito. L’appello dell’Agenzia contro la predetta sentenza è stato disatteso dalla CTR della Lombardia.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della Commissione Tributaria Regionale, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che da un canto non poteva essere condivisa l’eccezione proposta dall’Agenzia di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto della firma del difensore, atteso il ricorso medesimo risultava sottoscritto dalla M. e che ad esso risultava allegata una procura speciale a difensore, in calce alla quale il difensore medesimo aveva autenticato la sottoscrizione della M., attestando inoltre la conformità della copia all’originale notificato.

D’altro canto, la richiesta di rimborso trovava la sua giustificazione nella differente valutazione circa il valore iniziale dell’immobile menzionato: la M. aveva infatti assento che il valore iniziale fosse uguale al valore finale, nel mentre l’Agenzia aveva accertato un differenziale costituente base imponibile. La CTR aveva aderito alla tesi della M. atteso che, ove gli accertamenti avessero avuto uno svolgimento regolare, all’atto del pagamento dell’imposta di successione si sarebbe tenuto conto dell’avvenuto pagamento dell’INVIM e perciò pur non potendosi parlare di duplicazione dell’imposta – l’eventuale INVIM sarebbe stata portata in deduzione dalla predetta imposta di successione.

L’accoglimento dell’istanza di rimborso, non generando “danno erariale” sarebbe valso a consentire il ripristino della “condizione di equità contributiva”.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con 8 motivi d’impugnazione e – dichiarato il valore della causa nella misura di Euro 24.000,00 – si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese processuali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 12 e 18” (assistito da idoneo quesito di diritto).

La ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello non abbia accertato l’inammissibilità del ricorso introduttivo di primo grado (relativo a causa di valore superiore a L. 5.000.000) per quanto questo risultasse firmato dal solo contribuente e non recasse l’indicazione del difensore nè del conferimento dell’incarico a quest’ultimo. La parte ricorrente aggiunge – peraltro – che al ricorso era allegato un foglio contenente il conferimento dell’incarico al difensore, con autentica della firma del contribuente ed attestazione di conformità all’originale notificato, ma assume che detti elementi – siccome “fuoriescono dal ricorso” – non possono valere ad attribuire carattere di ammissibilità al ricorso, atteso che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 3 impone che il conferimento dell’incarico sia apposto a margine o in calce al ricorso.

La doglianza è infondata.

Ed invero il giudice di appello ha espressamente precisato che al ricorso sottoscritto dalla M. appariva “allegata una procura speciale” a mezzo della quale la M. medesima dichiarava di delegare una professionista a difenderla.

Pur in presenza di tale procura speciale la parte ricorrente si duole vuoi del fatto che nel ricorso introduttivo del giudizio non sì faccia menzione nè del difensore nè del conferimento a quest’ultimo dell’incarico defensionale, vuoi del fatto che il ricorso non rechi la firma del difensore, vuoi del fatto che l’atto di conferimento dell’incarico non sia apposto a margine o in calce al ricorso (così che anche la firma di conferimento dell’incarico defensionale non sarebbe autenticata in modo valido).

I rilievi di parte ricorrente, anche a voler glissare sulla loro difformità dal precetto dell’autosufficienza del ricorso per Cassazione, non consentono a questa Corte di censurare la pronuncia qui impugnata.

Ed invero, per ciò che concerne il terzo aspetto dei rilievi, basta evidenziare da un canto che non è chiaro in nessun modo perchè non sarebbe valida la firma di autenticazione dell’incarico defensionale (giacchè la parte ricorrente non lo delucida in alcun modo, limitandosi ad affermarlo come conseguenza automatica del solo fatto che l’atto di conferimento dell’incarico non sia contenuto in calce o a margine del ricorso), e d’altro canto che la circostanza che l’incarico non sia posto in calce o a margine del ricorso non risulta affatto in difformità dalla lettera della legge (art.12) che non lo impone, prevedendo ulteriori modalità alternative di conferimento dell’incarico, del tutto compatibili con quelle descritte dal giudice di appello.

Ed invero, il predetto art. 12, comma 3 (norma che è rimasta invariata nel tempo, sicchè non rileva la circostanza che non sia chiaro in quale data il ricorso di primo grado è stato depositato in giudizio) prevede quanto segue:”Ai difensori di cui al comma 2 deve essere conferito l’incarico con atto pubblico o con scrittura privata autenticata od anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato. All’udienza pubblica l’incarico può essere conferito oralmente e se ne dà atto a verbale”.

Per effetto delle alternative modalità di conferimento dell’incarico defensionale, anche ove l’atto di incarico qui in questione non lo si volesse considerare parte del ricorso introduttivo, l’allegato risulterebbe comunque conformato come una scrittura privata e perciò del tutto idonea e rituale ai fini del conferimento dell’incarico.

Per quanto concerne il primo ed il secondo aspetto dei rilievi, invece, essi (nelle sintetiche affermazioni di cui il motivo di impugnazione si compone) paiono muovere dalla considerazione che sia necessario che il ricorso contempli l’indicazione del conferito incarico (per quanto esso sia contenuto in un atto esterno rispetto al ricorso) e sia sottoscritto dal difensore incaricato siccome prove della circostanza che detto conferimento sia avvenuto in epoca anteriore alla notifica del ricorso medesimo.

Nel processo tributario, invece, siffatta anteriorità non è richiesta in termini letterali dalla norma dianzi trascritta (tanto che la norma precisa che l’incarico può risultare annotato ad un qualsiasi atto del processo, così come anche conferito oralmente, dandosene atto al verbale di causa) e non è necessariamente presupposta in termini logici dalla regola del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18 secondo cui “il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore del ricorrente e contenere l’indicazione dell’incarico a norma dell’art. 12, comma 3”, atteso che poi la norma precisa “salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente, nel qual caso vale quanto disposto dall’art. 12, comma 5”.

Il disposto della predetta norma, che per vero (in termini di principio) si riferisce alle sole controversie di valore inferiore a L. 5.000.000 ed ai ricorsi di cui al D.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, art. 10, prevede che il presidente della commissione o della sezione o il collegio possono ordinare alla parte di munirsi di assistenza tecnica. La medesima disciplina si applica peraltro anche ai ricorsi di valore superiore, a decorrere da quando -con la sentenza n. 189 del 13 giugno 2000, con la quale è stata dichiarata l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, comma 5, e art. 18, commi 3 e 4, ove interpretato nel senso che il ricorso sottoscritto dal solo contribuente sia inammissibile – la Corte Costituzionale ha evidenziato che, secondo un’interpretazione corrispondente al significato delle norme del D.Lgs. n. 546 del 1992 e delle modifiche apportate dal D.L. n. 331 del 1993, convertito nella L. n. 427 del 1993, in armonia con un sistema processuale volto a garantire la tutela delle parti evitandosi irragionevoli sanzioni d’inammissibilità e ai principi contenuti nella L.D. 30 dicembre 1991, n. 413, l’inammissibilità del ricorso deve intendersi riferita soltanto all’ipotesi in cui sia rimasto ineseguito l’ordine del presidente della commissione, della sezione o del collegio, rivolto alle parti diverse dall’amministrazione, di munirsi, nel termine fissato, di assistenza tecnica, conferendo incarico a difensore abilitato.

A seguito di ciò è divenuto jus receptum anche nella giurisprudenza di questa Corte (secondo l’indirizzo fatto definitivamente proprio da Cass. Sez. U, Sentenza n. 22601 del 02/12/2004) il principio secondo cui: “Nel processo tributario, il giudice chiamato a conoscere di una controversia di valore superiore a L. 5.000.000, a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, comma 5, e art. 18, commi 3 e 4, è tenuto a disporre che l’attore parte privata che stia in giudizio senza assistenza tecnica si munisca di essa, conferendo incarico a difensore abilitato; con la conseguenza che l’inammissibilità del ricorso può essere dichiarata solo a seguito della mancata esecuzione di tale ordine”.

Decisiva è stata ritenuta, a questo fine, la considerazione che l’interpretazione proposta tiene conto del fatto che la legge processuale tributaria prevede una assistenza e non già una rappresentanza della parte privata e che i principi costituzionali del diritto di difesa e dell’adeguata tutela contro gli atti dell’amministrazione, sanciti dagli artt. 24 e 113 Cost., possono ben comportare un adeguamento della lettera della legge che garantisca un’ effettiva applicazione di tali principi, proprio in considerazione delle particolarità del processo tributario che, dovendo essere introdotto attraverso un meccanismo impugnatorio di particolari specie di atti impositivi, da esercitarsi entro brevissimi termini di decadenza, comporta già foltissime compressioni delle citate garanzie costituzionali, rispetto al modello classico del processo civile.

Tutto ciò – in definitiva – implica di necessità che il presupposto della anteriorità del conferimento dell’incarico al difensore non sia richiesto a pena di inammissibilità del ricorso sicchè -in difetto di detto incarico – l’irritualità dell’atto sottoscritto dalla sola parte o da soggetto non abilitato è sanabile mediate il conferimento di incarico successivo. Ne è conseguenza ulteriore che l’atto di conferimento di incarico al difensore qui in argomento non potrebbe in nessun caso considerarsi inidoneo nè per le ragioni dichiarate ed espresse dalla parte ricorrente (e cioè perchè contenuto foglio separato rispetto al ricorso, ciò che non confligge con la comprensiva regola dell’art. 12, comma 3 dianzi menzionato) nè per le ragioni implicite che sono adombrate dalla stessa parte ricorrente mediante l’indicazione del successivo art. 18 (e cioè perchè non vi sarebbe certezza dell’anteriorità del conferimento dell’incarico rispetto alla notifica dell’atto di ricorso) siccome dette ragioni restano irrilevanti alla luce della anzidetta pacifica interpretazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 12 e 18.

6. Il terzo ed il quarto motivo d’impugnazione.

Il terzo ed il quarto motivo d’impugnazione sono collocati sotto la seguente identica rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 3” e sono assistiti da idonei quesiti.

La parte ricorrente si duole, in sostanza, del fatto che il giudice di secondo grado abbia accolto una domanda di rimborso di imposta scaturente da un accertamento con adesione (previa determinazione della base imponibile in termini difformi da quelli determinati nell’atto di adesione all’accertamento) nonostante le somme dovute in base all’atto di adesione siano “irrefragabilmente dovute dal contribuente, sicchè questi non può chiederne mai il rimborso”.

I due motivi vanno congiuntamente esaminati, siccome centrati sulla stessa questione giuridica e l’esame di essi va anteposto a quello sub 2 del ricorso, atteso che i motivi medesimi appaiono di più pronta soluzione ed assorbenti rispetto agli altri.

Ed invero, con due distinte e mai contraddette pronunce, questa Corte ha avuto modo di evidenziare che:”In tema di imposte sui redditi, poichè avverso l’accertamento definito per adesione è preclusa ogni forma d’impugnazione, devono ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso in quanto costituirebbero una surrettizia forma d’impugnazione dell’accertamento in questione che, invece, in conformità alla “ratio” dell’istituto, deve ritenersi intangibile” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20732 del 06/10/2010; Idem: Sez. 5, Sentenza n. 18962 del 28/09/2005).

Ben vero, a mente del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 3, comma 4 (dettato per le altre imposte indirette, come quelle di cui alla fattispecie in esame), l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’Ufficio”. Il fatto che avverso l’accertamento definito con adesione sia preclusa l’impugnazione (quali che siano le ragioni di doglianza avverso l’atto di definizione) non può che comportare la ovvia conseguenza della improponibilità di istanze di rimborso di quanto versato a perfezionamento dell’accordo, che deve ritenersi intangibile, in conformità alla rado dell’istituto, connotata, a fronte dell’effetto premiale per il contribuente, dall’interesse pubblico alla immediata acquisizione delle somme risultanti dall’accordo, le quali, una volta versate, non possono più essere messe in discussione attraverso richieste di rimborso (con l’ulteriore effetto della deflazione del contenzioso).

Perciò, una volta che l’accertamento (nella fattispecie, dell’INVIM) sia stato definito con adesione, e la definizione si sia perfezionata con il versamento delle somme dovute, ai sensi del citato D.Lgs., art. 3, è da escludersi che il contribuente conservi la facoltà di proporre istanza di rimborso di quanto a suo avviso versato in eccesso e per effetto di errore o altra ragione di supposta incongruità dell’adesione.

Anche nella specie di causa, perciò, le ragioni dedotte dal giudice di secondo grado a sostegno dell’accoglimento dell’istanza di rimborso appaiono del tutto irrilevanti, situandosi ancora più a monte rispetto ad esse la soluzione della controversia, che risiede appunto nella non impugnabilità dell’atto conclusivo della procedura di accertamento.

La sentenza impugnata deve perciò essere cassata. La controversia può poi essere decisa nel merito, non sussistendo ragione di effettuare ulteriori accertamenti di fatto, con il rigetto dell’impugnazione avverso il silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso.

La regolazione delle spese di lite è improntata al canone della soccombenza, limitatamente a questo grado di giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e – decidendo nel merito – rigetta il ricorso del contribuente avverso il silenzio – rifiuto sull’istanza di rimborso. Condanna la parte intimata a rifondere all’Agenzia le spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.600,00 oltre a spese prenotate a debito, compensando tra le parti quelle relative ai gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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